Desiderio, godimento e capitalismo tra gli autori de L’anti-Edipo e Jacques Lacan

img- generata da IA dominio pubblico

di A. Marin

Tra gli anni sessanta e settanta del ‘900, la dimensione del desiderio, comincia a diventare sempre più centrale tanto per il meccanismo di riproduzione del Capitale, quanto per le strategie da mettere in campo per opporsi ad esso. La nuova configurazione che il capitalismo sta assumendo nella sua fase post-industriale, infatti, lo porta in misura sempre maggiore a esercitare il suo potere non più in modo disciplinare e repressivo, come nella precedente fase industriale, ma piuttosto, seduttivo. Sedurre, sollecitare e blandire il desiderio, mettendolo al lavoro, per intensificare ed espandere il ciclo di produzione e consumo, diventano gli strumenti più efficaci a disposizione del capitalismo per perpetuare se stesso. Viceversa, sul fronte antagonista, il desiderio sembra poter assumere il ruolo di una forza in grado di portare avanti quel programma politico rivoluzionario, che il movimento del Sessantotto aveva avviato. Continua a leggere

Cavalcare il nemico

Processi di identificazione e propaganda politica.                      di M. Minetti

L’articolo è stato pubblicato in versione ridotta sulla rivista NOT (Nero On Theory) il 14-09-2022

Il nemico marcia in testa a te
ma anche alle tue spalle.
Il nemico marcia con i piedi
nelle tue stesse scarpe.
Quindi anche se le tracce non le vedi
è sempre dalla tua parte
(Claudio Lolli 1977)

Chi vuole essere influencer.

Posso forse affermare, senza scandalizzare nessuno, che viviamo nella società dell’informazione, come qualche anno fa vivevamo nella società del valore. Ciò significa che, mentre in gran parte del secolo scorso la società si divideva, grossolanamente, per chi utilizza un paradigma del conflitto fra classi, in proprietari di capitale e non proprietari, oggi si divide in produttori di informazioni e consumatori di informazioni (Lyotard 2014, La condizione postmoderna, p.8). Continua a leggere

La mia vita fuori di me

di M. Minetti

L’articolo è apparso in origine il 7-12-2021 su NOT in versione ridotta.

Molti mi conoscono, ma quella persona non sono io.

Fino a pochi anni fa poteva accadere soltanto a persone con una certa fama, che avevano costruito attraverso la carriera un’immagine coerente con il proprio pubblico, di essere riconosciute per ciò che non erano. Questo è il tema della canzone di Francesco de Gregori, “Guarda che non sono io“.

Cantanti, attori, intellettuali, aristocratici, politici, imprenditori, si mostravano in fotografie posate, interviste, biografie e, ovviamente nelle loro opere. La scissione si rifletteva, in questi personaggi, nella oscillante considerazione tra la propria immagine pubblica e quella privata che gli veniva riflessa nei rapporti più prossimi. Solo poche persone, i famosi, avevano una vita fissata al di fuori della propria memoria senza possibilità di oblio, portandone il peso a volte insostenibile. La vita privata (privacy) poteva comunque, anche se con difficoltà, essere mantenuta separata e nascosta dalle curiosità morbose del pubblico. Le persone comuni, invece, agivano le proprie relazioni sociali soltanto nella prossimità del faccia a faccia, controllando attraverso il proprio corpo e le parole, l’”immagine di sè” che volevano mettere in scena, come su un palcoscenico (Goffman 1969). Continua a leggere

Lo spazio necessario (appunti su social media e dis‑individuazione)

di M. Alfano

Ho fisso in mente il momento in cui si diffuse Facebook tra le mie conoscenze. Meglio ancora, ricordo quando nel 2008 si diffuse nella mia città proprio come si diffonde una pandemia, un virus incontrollabile. Mi viene in mente la scena del film sui dieci comandamenti (1), quando la terribile piaga biblica colpisce le case degli egiziani bussando silenziosamente e infettando a morte i primogeniti. Ero a casa di un mio amico, mi affacciai al balcone e immaginai in quante abitazioni e in quanti dispositivi fosse entrata la piaga di Zuckerberg. Dopo un poco di tempo e un po’ di tira e molla, ne sono uscito: sono tra i pochi che non hanno Facebook, che nei successivi tredici anni avrebbe raggiunto l’inimmaginabile cifra di due miliardi e mezzo di utenti. Continua a leggere

Lockdown generation: l’ibernazione strisciante. Covid-19, claustrofilie e Screen New Deal.

di G. Nicolosi [1]

Prologo sui tetti: il testamento dell’androide

L’indimenticabile finale del film Blade Runner di Ridley Scott, a distanza di un quarantennio, continua a suscitare fantasie e interrogativi. Quando Batty, il più performante e pericoloso dei replicanti, raggiunge sui tetti l’uomo incaricato di dargli la caccia (Harrison Ford), che penzola sul baratro appeso ad una trave malferma, lo gela con una battuta carica di ironia: «Esperienza interessante vivere nella paura, non ti sembra?». Salvo poi dissolvere l’ironia in un rabbioso: « Questo significa essere uno schiavo!». La vita del replicante ha dunque il tratto caratteristico dell’insicurezza, della paura. Ma quando il cacciatore manca la presa della sua trave e precipita nel vuoto Batty lo afferra con un solo braccio e lo salva. La ragione dell’inatteso atto di generosità dell’androide va cercata in una zona situata al confine tra quel che è individuale e ciò che appartiene a una dimensione collettiva, comune. I replicanti di Blade Runner non hanno una vera storia. Il loro senso di identità è fittizio, costruito in laboratorio: fantasie, ricordi, sogni, sono stati implementati in una loro coscienza artificiale di robot. Continua a leggere

Dio non ama giocare a Doom. Il rizoma e la terza tesi su Feuerbach

img Elisatron

di Rattus Norvegicus e G. Nicolosi

Armonie buie / rabbie oscure / toni negri

Tommaso Di Francesco

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Non c’è cosa peggiore, per iniziare un breve saggio, che l’excusatio non petita. Tuttavia qualche autolimitazione mi sembra indispensabile. Non sono un frequentatore abituale dei testi filosofici di Gilles Deleuze e, in generale, dei grandi intellettuali francesi del secondo dopoguerra. Sebbene consideri Deleuze un autore di notevole interesse, per il momento lo trovo eccessivamente impegnativo. Analogamente, come psicologo che, sia pure in modo piuttosto occasionale, ha avuto a che fare con la clinica, sono rimasto colpito dalla statura intellettuale di Felix Guattari, dalla sua concezione dell’inconscio e dalla serie di problemi teorici che L’anti-Edipo1 (scritto con Deleuze) ha posto alla psicoanalisi. Tuttavia, anche in questo caso, non ho competenze sufficienti per esprimere pareri fondati sulla critica che Guattari ha rivolto a Lacan o sulla sua concezione dell’inconscio. Come militante di quella che, per farla breve, chiamerò con espressione dubbia “sinistra radicale”, posso però senz’altro dire che sono sempre stato incuriosito dall’aura che da oltre quarant’anni avvolge l’espressione rizoma nell’ambito dei movimenti libertari e socialisti. Sebbene nel 1977 avessi solo tredici anni, mi pare di ricordare l’esistenza di un “Collettivo Rizoma” a Roma. Cosa che trova conferma in un’opera recente del cantautore, romanziere e sceneggiatore Gianfranco Manfredi, interamente dedicata al movimento del 19772. Manfredi situa il “Collettivo Rizoma” proprio a Roma insieme a una serie di altre organizzazioni dai nomi piuttosto bislacchi (“Festa contro i sacrifici”, “Strippo teorico”, “Margine ambiguo” etc.). Di quello che dovrebbe essere un altro “Collettivo Rizoma”, questa volta di origini bolognesi, si parla invece in un delizioso librettino del fumettista Pablo Echaurren, sempre dedicato al ’77, che mi ha gentilmente segnalato Rossana De Simone3. Qui la cosa è anche divertente, perché il “Collettivo Rizoma” in questione distribuiva un volantino con scritto «Libertà per i compagni arrestati per aver diffuso questo volantino». Si trattava evidentemente di una balla, spiega Echaurren, perché se fossero stati veramente arrestati, i compagni in questione non avrebbero potuto distribuire il volantino. Chi abbia letto Logica del senso4 di Deleuze, con le sue considerazioni sul paradosso, capirà al volo che quel “Collettivo Rizoma” il nome non se l’ era scelto a caso. Continua a leggere

Internet mon amour. Raccontare le storie prima del crollo di ieri

img Elisatron

di A. Trocchi – CIRCE

Raccontare le storie prima del crollo di ieri

Il futuro è stato ieri, quando eravamo inseparabili da computer e smartphone, nel bene e nel male. Anche quando avremmo preferito farne a meno, perché sapevamo che potevano rivelarsi i nostri peggiori nemici. Gli scandali sulla sorveglianza globale di Internet erano solo la punta di un iceberg, le manipolazioni di massa erano solo l’inizio: eravamo tutti vulnerabili! Curiosità fuori luogo, truffe, furti d’identità e di dati, pornovendette, odiatori…

«Oh, quanta negatività!», esclamavano i tecnoentusiasti. «Le nuove tecnologie ci danno la possibilità di non dover scegliere. Non è fantastico?»… Continua a leggere