Desiderio, godimento e capitalismo tra gli autori de L’anti-Edipo e Jacques Lacan

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di A. Marin

Tra gli anni sessanta e settanta del ‘900, la dimensione del desiderio, comincia a diventare sempre più centrale tanto per il meccanismo di riproduzione del Capitale, quanto per le strategie da mettere in campo per opporsi ad esso. La nuova configurazione che il capitalismo sta assumendo nella sua fase post-industriale, infatti, lo porta in misura sempre maggiore a esercitare il suo potere non più in modo disciplinare e repressivo, come nella precedente fase industriale, ma piuttosto, seduttivo. Sedurre, sollecitare e blandire il desiderio, mettendolo al lavoro, per intensificare ed espandere il ciclo di produzione e consumo, diventano gli strumenti più efficaci a disposizione del capitalismo per perpetuare se stesso. Viceversa, sul fronte antagonista, il desiderio sembra poter assumere il ruolo di una forza in grado di portare avanti quel programma politico rivoluzionario, che il movimento del Sessantotto aveva avviato.

In quegli anni, la riflessione filosofica e psicoanalitica, giunge ad elaborare alcune figure del desiderio, a partire dalle quali, viene fornita una diversa lettura del rapporto tra quest’ultimo e il capitalismo. Una in particolare, che emerge in un contesto politico culturale immediatamente successivo al Sessantotto, è quella che Deleuze e Guattari (DG) presentano nel loro L’anti-Edipo, pubblicato nel 1972. Lo stesso anno nel quale Jacques Lacan, che aveva sviluppato nel tempo una riflessione clinico teorica, dalla quale erano emerse figure diverse del desiderio 1, parla per la prima volta del discorso del capitalista.

La riflessione di DG sul desiderio, ha per obiettivo quello di cogliere il divenire nel suo farsi, nella sua processualità, nella sua molteplicità, in funzione antagonista e di lotta contro i dispositivi del Capitale. Un pensiero che intende intercettare il funzionamento del Reale, ovvero secondo DG, del desiderio, al di sotto delle zolle molari2 agganciate su questo sfondo. Dove l’inseguimento del desiderio, porta questo pensiero ad essere nomadico, rizomatico3, frattale e in divenire perché è questo il movimento, il processo proprio del desiderio, secondo i due antiedipo. Un pensiero intimamente politico che diventa anche un vademecum di azione e lotta politica. Un pensiero che descrive visionariamente la meccanica di funzionamento del sistema capitalista, rimanendone però, a detta dei suoi detrattori, intrappolato.

Ne L’anti-Edipo, DG avanzano una feroce critica nei confronti della psicoanalisi, in particolare nella sua deriva post-freudiana della psicologia dell’Io, che l’aveva ingessata in una pratica atta a normalizzare l’Ego e a rafforzare il principio di realtà del soggetto, rendendolo in questo modo più funzionale al sistema. Un Io la cui armatura andava irrobustita per far fronte sia ai marosi dell’Es che alle sollecitazioni dis-equilibranti della realtà esterna.

E’ possibile definire L’anti-Edipo un libro antistrutturalista, che declina la sua opposizione alla struttura attraverso il concetto di macchina. A differenza della struttura, che è morfostatica e dell’ordine della rappresentazione, la macchina è morfogenetica, ovvero è dell’ordine della produzione. DG riconoscono la formidabile scoperta di Freud, quella della produzione simbolica dell’inconscio, ma ritengono che, prima lui e poi Lacan, si siano arenati nella sua rappresentazione teatrale e familistica, quella del mito di Edipo. Ciò che Freud scopre “è il campo delle libere sintesi, ove tutto è possibile, le connessioni senza fine, le disgiunzioni non esclusive, le congiunzioni senza specificità, gli oggetti parziali e i flussi”. Ci sarebbero già tutti gli ingredienti per costruire quelle che DG chiameranno le “macchine desideranti”, se non fosse che “tutto questo andrà perduto, o verrà almeno singolarmente compromesso, coll’instaurazione d’Edipo sovrano. L’associazione libera, invece di immettere sulle connessioni polivoche, si rinchiude in un vicolo cieco d’univocità. Tutte le catene dell’inconscio vengono bi-univocizzate, linearizzate, sospese ad un significante dispotico. Tutta la produzione desiderante viene schiacciata, sottoposta alle esigenze della rappresentazione, ai tetri giochi del rappresentante e del rappresentato nella rappresentazione. […] L’inconscio produttivo fa posto ad un inconscio che non sa più che esprimersi – esprimersi nel mito, nella tragedia, nel sogno”4. Attraverso le loro macchine desideranti DG vogliono fare a pezzi quella struttura che, secondo loro, ha irregimentato il desiderio depotenziandolo e rendendolo più docile preda del controllo del sistema di relazioni sociali del Capitale. Ricordiamo però anche che il Lacan che rientra nell’orbita della loro critica è quello che àncora il desiderio alla struttura, attraverso la Legge della castrazione e l’istanza simbolica del Nome del padre (Ndp), non tanto quello che formulerà l’oggetto piccolo (a), che è un Lacan assolutamente convergente con la loro idea di “macchina desiderante”. La figura del desiderio oggetto della loro critica, è quella che considera la Legge della castrazione simbolica come la conditio sine qua non affinché si dia desiderio, il quale perciò non si darebbe prima dell’instaurazione di questa legge, diretta emanazione del Ndp e quindi dell’Edipo. Per DG il desiderio è invece anedipico, nomade, eslege; è infinita produzione di concatenamenti, e fissarlo ad una struttura vuol dire decretarne la morte o quantomeno l’impoverimento. Il desiderio fluisce lungo infinite direttrici, connettendo flussi continui e oggetti parziali, accoppiando una macchina con un’altra, laddove una produce un flusso che l’altra interrompe e preleva, e questo non è altro che lo stesso funzionamento dell’inconscio come Es: “L'(es) funziona ovunque, ora senza sosta, ora discontinuo. Respira, scalda, mangia. Caca, fotte. Che errore aver detto l'(es). Ovunque sono macchine, per niente metaforicamente: macchine di macchine, coi loro accoppiamenti, con le loro connessioni. Una macchina-organo è innestata su una macchina-sorgente: l’una emette un flusso che l’altra interrompe. Il seno è una macchina che produce latte, e la bocca una macchina accoppiata con quella. La bocca dell’anoressico oscilla tra una macchina da mangiare, una macchina anale, una macchina da parlare, una macchina da respirare (crisi d’asma). Così si è tutti bricoleurs; a ciascuno le sue macchinette. Una macchina-organo per una macchina-energia, sempre flussi e interruzioni. Il presidente Schreber ha i raggi del cielo nel culo. Ano solare. E state certi che funziona; il presidente Schreber sente qualcosa, produce qualcosa, e può farne la teoria. Qualcosa si produce: effetti di macchine, e non metafore”5. In realtà tutto ciò che esiste è macchina, ci sono macchine alpestri, celesti, clorofilliane e altre ancora, ognuna in connessione con l’altra6.

Uno dei punti di massima polarizzazione tra il pensiero di DG e quello di Lacan ruota proprio attorno al desiderio. Per DG il desiderio non manca di nulla, è un tutto pieno animato da un vitalismo naturale che lo proietta lungo linee di fuga che oltrepassano continuamente ogni limite. Esattamente il contrario di Lacan che lo pensa come mancanza a essere (manque à être), dove quell’essere pieno, non mancante di nulla, è da sempre perduto, a causa di quel (ri)taglio del significante che amputandolo, nega il suo essere di godimento assoluto. Quello che ne rimarrà, sarà l’oggetto piccolo (a), ovvero quel che resta del Reale, dell’essere della Cosa, dopo il taglio simbolico. Oggetto piccolo (a) che si insedierà all’interno della topografia pulsionale delle zone erogene, segnatamente orale, anale, fallica e scopica..

L’inequivocabile somiglianza del desiderio di DG con il godimento di Lacan, secondo Recalcati è una vera e propria coincidenza: “Il desiderio di Deleuze coincide con il godimento’ (Jouissance) lacaniano di cui gli antiedipo mettono soprattutto in risalto la sua eccentricità nei confronti di ogni processo di soggettivazione. Il desiderio deleuziano non ha infatti a che fare col soggetto ma ha una natura impersonale, ultraumanistica, eccentrica ad ogni versione soggettivistica; è ‘macchina desiderante’ capace di generare positivamente flussi di godimento che minano incessantemente i confini rigidi della territorialità edipica”7. Potremmo però anche pensare che un soggetto del desiderio in DG esista, ma che abbia caratteristiche completamente diverse da quello lacaniano. Infatti, la serie di macchine che il desiderio connette una con l’altra, registrano la loro produzione desiderante su di una superficie che è quella di un “enorme oggetto non differenziato”, ovvero il corpo pieno senza organi (CSO). Il CSO è percorso da un “flusso amorfo indifferenziato” che lo rende improduttivo, sterile. Si tratta di un corpo opaco, liscio, senza contorni e senza immagine. Il CSO è il corpo dello schizofrenico, sul quale le macchine si agganciano per creare una topografia d’organi mutuamente escludentisi, laddove invece questi organi nel CSO, sono infinitamente permutabili: “il «sia … sia» schizofrenico dà il cambio all’«e poi»8. Il fatto però è che su questa superficie di registrazione “qualcosa si lascia individuare, dell’ordine di un soggetto. E’ uno strano soggetto, senza identità fissa, che erra sul corpo senza organi, sempre a lato delle macchine desideranti […] il soggetto è prodotto come un resto, accanto alle macchine desideranti”. Questo soggetto “non è al centro, occupato dalla macchina, ma ai limiti, senza identità fissa, sempre decentrato, concluso dagli stati attraverso cui passa”9. Un soggetto nomade, in continuo divenire, che non dà luogo a concrezioni identitarie se non temporanee e che evita le sclerotizzazioni dell’identità stessa, un soggetto che è un residuo, un resto del processo di produzione del desiderio. Un soggetto come processo che si muove di stato in stato, rimanendo sempre lungo i bordi delle macchine desideranti che si agganciano sul CSO, quella superficie opaca, dal carattere fluido e scivoloso, su cui viene registrato il processo di produzione del desiderio da parte delle macchine. Ma, si chiedono DG, questa “registrazione del desiderio passa attraverso i termini edipici? […] Oppure Edipo non è forse un’esigenza o una conseguenza della riproduzione sociale, in quanto essa si propone di addomesticare una materia e una forma genealogiche che le sfuggono da ogni parte? […] Il CSO è ciò che permette di mantenere il carattere lineare-binario del sistema della produzione desiderante in quanto “non interviene come tale che per ricusare ogni tentativo di triangolazione che implichi una produzione parentale”. La sua refrattarietà a subire qualsiasi iscrizione “ternaria e triangolare come quella di Edipo”10, deriva dalla capacità del suo desiderio di con-fondere i codici di iscrizione, qualunque essi siano, senza fissarsi stabilmente su nessuno. Questo non significa che non si dia una forma di individuazione ma che, come DG scriveranno nel secondo volume de L’anti-Edipo, intitolato Millepiani, pubblicato nel 1980, “c’è un modo di individuazione molto differente da quello di una persona, di un soggetto, di una cosa o di una sostanza. Gli riserviamo il nome di ecceità. Una stagione, un inverno, un’estate, un’ora o una data si caratterizzano per un’individualità perfetta, che non manca di nulla, sebbene non si confonda con quella di una cosa o di un soggetto. Sono ecceità nel senso che tutto è in rapporto di movimento e di stasi tra molecole o particelle […] tutto è un insieme di affetti non soggettivati”11. Un modo di individuazione che accade nel tempo dell’evento, al di là del concetto e del soggetto, e che si declina in maniera impersonale con una semiotica fatta di articoli indefiniti (si), nomi propri e verbi all’infinito (gioca).

Se il CSO è il corpo dello schizofrenico, qui la schizofrenia non è l’affezione patologica prodotta artificialmente dalla psichiatria attraverso le sue categorie e le sue razionalizzazioni fittizie, ma coincide con il funzionamento stesso delle macchine desideranti, costituisce il funzionamento naturale del desiderio, è “l’universo delle macchine desideranti produttrici e riproduttrici, l’universale produzione primaria come « realtà essenziale dell’uomo e della natura»”.

La naturalizzazione della schizofrenia da parte di DG, fa dello schizofrenico il modello dell’Homo natura. Un monismo nel quale la stessa distinzione tra uomo e natura tende a dissolversi sullo sfondo del lavorio delle “macchine desideranti”, al punto che io e non-io, interno ed esterno, non significano più nulla. La natura è infatti, al suo fondo, animata da questo processo di produzione, che lo schizofrenico vive specificamente: “uomo e natura non sono due termini uno di fronte all’altro come soggetto e oggetto, ma un’unica e medesima realtà essenziale del produttore e del prodotto. La produzione come processo […] forma un ciclo che si riconduce al desiderio in quanto principio immanente”12.

Tutt’altra cosa la schizofrenia per Lacan. Qui il corpo dello schizofrenico non è il paradigma del funzionamento del desiderio tout court, ma quello di un godimento malsano, non canalizzato che, non trovando i bordi e gli orifizi del corpo pulsionale, a causa di un taglio simbolico non avvenuto, di una Legge della castrazione non insediatasi, dilaga su tutto il corpo, erodendolo e dis-integrandolo. Il corpo dis-integrato dello schizofrenico è divorato da un godimento diffuso, senza limiti, dispersivo, che conduce alla morte del soggetto stesso. Per Lacan, questo corpo s-coagulato, dis-articolato e in frammenti dello schizofrenico, è anche il risultato di un mancato accesso all’immaginario, di un mancato contenimento degli oggetti pulsionali da parte di un’immagine in grado di fornire loro una Gestalt unitaria. Laddove non si instauri un’immagine narcisistica del proprio corpo all’interno del registro dell’Immaginario, temperata dall’Altro simbolico materno, gli oggetti pulsionali saranno liberi di reclamare la loro quota di godimento, disarticolando il corpo del soggetto nell’inferno della schizofrenia.

Anche la rilettura della figura metapsicologica dell’Es fatta da DG è diametralmente opposta a quella di Lacan. Se per Freud l’Es era il serbatoio in ebollizione delle pulsioni, minaccia costante alla stabilità dell’Io, per DG è l’espressione naturale del corpo come macchina produttrice di desiderio. E’ l’Es dello schizofrenico che sta su di un piano né immaginario né simbolico ma Reale, un luogo in cui l’energia libidica si è liberata dai vincoli simbolici che la opprimevano. Per Lacan invece, come scrive Recalcati, l’Es è “il luogo di una parola originaria […] da dove il soggetto è chiamato, da dove parla il suo desiderio come desiderio dell’Altro […] il luogo della vocazione del desiderio che si tratta di soggettivare”13. L’Es è già a bagno nel linguaggio in quanto “non è una realtà grezza, né semplicemente quel che è prima, l’Es è già organizzato, articolato, come organizzato e articolato è il significante […] L’Es è ciò che nel soggetto ha la possibilità di diventare, tramite il messaggio dell’Altro, io (je)”14.

Se il desiderio di DG abbatte qualunque argine, qualunque legge lo voglia perimetrare, territorializzare, come la Legge della castrazione, in questo modo però esso sembra eludere qualunque forma di responsabilità. E’ questo uno dei punti dirimenti tra la teoria del desiderio di DG e quella di Lacan. Ne L’anti-Edipo non si parla di responsabilità, mentre in Lacan, il nesso etico tra desiderio e responsabilità è fondamentale, perché se è vero che il soggetto non ha alcuna responsabilità sulla sua origine, sull’Es che gli è accaduto di essere, egli lo diventa nella misura in cui riesce, scegliendolo, a soggettivarlo. Se il soggetto si trova alla confluenza posizionale di direttrici simboliche che lo precedono e lo seguono, la sua responsabilità etica è quella di ri-assumerle in sé, soggettivandole, all’interno di un progetto di senso che a partire dal passato le riprenda e le rilanci verso il futuro: “venire all’essere là dove s’era”15.

In che senso, però, il desiderio per DG è produttivo? Non lo è nel senso di produzione di fantasmi o della stessa realtà psichica, ma in quello della produzione del reale tout court. Esso è autoproduzione di reale: “desiderare è produrre […] se il desiderio produce, produce del reale. Se il desiderio è produttore, non può esserlo se non in realtà, e di realtà. Il desiderio è l’insieme di sintesi passive che macchinano gli oggetti parziali, i flussi e i corpi, e che funzionano come unità di produzione. Il reale ne deriva, è il risultato delle sintesi passive del desiderio come autoproduzione dell’inconscio. Il desiderio non manca di nulla, non manca del suo oggetto. E’ piuttosto il soggetto che manca al desiderio, o il desiderio che manca di soggetto fisso; non c’è soggetto fisso che per la repressione. […] L’essere oggettivo del desiderio è il Reale in se stesso”. A questo punto de L’anti-Edipo, in una nota a piè di pagina, DG formulano il loro ambivalente tributo a Lacan: “La mirabile teoria del desiderio in Lacan ci sembra avere due poli, l’uno rispetto all’«oggetto a-minuscola» come macchina desiderante che definisce il desiderio tramite una produzione reale, superando ogni idea di bisogno ed anche di fantasma; l’altro rispetto al «grande Altro» come significante, che reintroduce una certa idea di mancanza”16. Questo giudizio di DG si riferisce a due Lacan distinti, il primo legato alla normatività territorializzata dell’Edipo, il secondo all’oggetto pulsionale piccolo (a). La rielaborazione a cui Lacan sottopone la sua teoria, infatti, lo porta da un lato, a sottrarre terra all’Edipo, a rinvenire un buco nella struttura da cui fluisce il Reale incandescente, a verificare quindi la non tenuta del Nome del Padre come punto archimedeo della struttura stessa, garante dell’Altro, Altro dell’Altro e a relativizzare la sua funzione, riducendolo alla fine a “una cosa qualunque”, ad un puro sembiante, dall’altro lo porta a formulare quell’idea di oggetto piccolo (a) che è ciò che lo avvicina massimamente al pensiero di DG, i quali lo definiranno come il rovescio della struttura, identificandolo con il loro concetto di “macchina desiderante”.

Se per Lacan il Reale (del godimento) è l’impossibile e di esso rimane solo una traccia depositata nell’oggetto piccolo (a) che, come residuo di quel godimento, rimasto dopo il taglio significante operato sul corpo, anima il desiderio, per DG è il Reale stesso a diventare possibile attraverso la produzione desiderante. Secondo Recalcati il pericolo non visto a quel tempo dai due antiedipo con la loro idolatria del desiderio che è stata piuttosto un “elogio metafisico del godimento”, è stato quello di mimare, inconsapevolmente, i meccanismi di riproduzione del Capitale e di rendere il CSO il modello su cui il Capitale stesso avrebbe scritto il suo funzionamento. Questo elogio “si è già realizzato nell’immanentismo folle del discorso del capitalista, il quale, per come Lacan ne ha formalizzato la struttura, si istituisce proprio sull’affermazione perversa dell’impossibile in possibile, sul mito narcisistico dell’autoaffermazione del desiderio, sul flusso di godimento che non conosce punti di arresto. L’esaltazione del godimento dell’Uno, del godimento emancipato dal desiderio, del godimento del corpo-schizo, “senza organi”, contrapposto al godimento negativizzato della castrazione, rivela, infatti, la deriva capitalistica dell’azzeramento di ogni trascendenza che resta invece indispensabile per sganciare il desiderio dal rischio mortifero della dissipazione e della distruzione di se stesso”17. La posizione di DG è invece quella che vede il CSO schizofrenico rappresentare quel limite estremo verso il quale le de-territorializzazioni della struttura capitalistica tendono, senza che esse permettano mai di raggiungerlo, pena la dis-articolazione della struttura stessa. Il sistema capitalistico infatti blandisce il desiderio/godimento fino ad un certo punto, oltre il quale tende a far ripiegare il CSO su territorialità più controllabili, quali la psicosi paranoica e le nevrosi edipiche, installando su di esso, lo spazio molare medicalizzato.

Una struttura per funzionare ha bisogno di una casella vuota che permetta la circolazione dei suoi elementi, come nel rompicapo del 15. Alessandro Fontana nella sua introduzione a L’anti-Edipo, scrive che in questo posto vuoto Lacan posiziona l’oggetto piccolo (a), il resto, lo scarto, ciò che non può accedere al simbolico, il luogo della maggiore instabilità della struttura, il punto di catastrofe. L’operazione de L’anti-Edipo è ancora più estrema, consiste nel porre il desiderio, la macchina desiderante, nella casella vuota, nel cuore stesso del reale (reale impossibile da simbolizzare). Il desiderio dunque, nella sua pura positività e immanenza, funziona allora come produzione del reale e non ha più nulla a che fare con la struttura18.

Per DG l’inconscio, attraverso le macchine desideranti, produce il reale. E’ un inconscio-fabbrica, non un inconscio-teatro, è produttivo, non rappresentativo. Attraverso il desiderio l’inconscio salda una macchina con l’altra formando catene fluide, eterogenee, polivoche che infrangono qualunque univocità fissata da un significante trascendentale come il Fallo e qualunque triangolarizzazione edipica. L’inconscio non significa nulla ma funziona, esso è “il funzionamento macchinico del desiderio che produce il reale a livello molecolare”19. Ma se il desiderio produce il reale, non essendoci altra produzione che quella del reale, la stessa produzione sociale è produzione del desiderio in determinate condizioni.

Molecolare e molare si presentano come due piani irriducibili ma inestricabilmente connessi, dove il primo costituisce la base di innesto dei dispositivi del secondo: “molecolare è una popolazione di elementi che tra di loro stabiliscono connessioni fluide, concatenamenti, suscettibili di continui mutamenti. Si può associare al rizoma, l’immagine della rete, ma anche quella di uno sciame d’api. La molarità ha un centro e si sviluppa in senso verticale, la molecolarità è senza centro e si sviluppa in orizzontale, la sua caratteristica è la connettività, i confini non rigidi, la dinamicità. La molarità è costituita da grandi insiemi, megamacchine tecnologiche, organiche, istituzionali, che rispondono alle leggi dei grandi numeri e alla statistica, la molecolarità è un’organizzazione fluida, che risponde alle leggi del caos dove sono presenti variabili stocastiche e l’aleatorietà del sistema aperto; il desiderio produce flussi molecolari nell’essere vivente”20.

Per DG il Reale è composto da flussi molecolari sub-individuali che le macchine desideranti, ovvero gli oggetti parziali, emettono e prelevano. Uno sfondo ultimo in perenne divenire, che i dispositivi molari si incaricano di ripiegare su rappresentazioni e strutture, a livello simbolico e immaginario, catturando i flussi all’interno di entità molari astratte (individuo, organismo, famiglia, stato, partiti ecc.). Secondo loro si tratta di de-strutturare queste astrazioni per arrivare a quel livello sottostante dove è in gioco l’essere delle cose e non la loro rappresentazione. Le rappresentazioni con cui l’uomo si orienta nel suo mondo interno e in quello esterno vengono perciò dopo questo piano innervato di flussi molecolari. Da questo consegue che le relazioni tra soggetto e oggetto e quelle tra soggetti sono in realtà ripiegamenti rappresentativi, perché quello che in realtà succede è la connessione di macchine, ovvero di oggetti parziali attraverso flussi anonimi, prepersonali, pulviscolari. Ciò che anima tutto questo processo è il desiderio, che “non cessa di effettuare l’accoppiamento di flussi continui e di oggetti parziali essenzialmente frammentari e frammentati. Il desiderio fa scorrere, scorre e interrompe”21. Secondo DG è la stessa mancanza del desiderio ad essere artificialmente indotta dai dispositivi molari del potere per controllare i corpi e renderli, attraverso la loro mancanza, dipendenti. Quella mancanza che per Lacan è un dato strutturale dell’essere umano che anima il suo desiderio, per DG è invece creata dal sistema molare, allo scopo di indurre dipendenza nell’essere umano.

L’inconscio strutturato come un linguaggio di Lacan, che si dispiega sul piano simbolico, sottende perciò un livello più profondo, nel quale l’inconscio stesso si insedia nel cuore del reale:poiché l’inconscio non è né immaginario né simbolico, è il reale stesso, il reale impossibile”22. Questo inconscio molecolare, che pullula di flussi di desiderio, che è dirompente e rivoluzionario, viene addomesticato dalle strutture molari del potere che, attraverso bracci operativi quali la stessa psicoanalisi, lo incanalano in strutture rigide, predisposte allo scopo e lo confinano tra le pareti della narrazione famigliare. Secondo Wilhelm Reich si tratta di una vera e propria repressione sociale esercitata sul desiderio attraverso la rimozione sessuale. La società capitalista tiene sotto controllo il desiderio riterritorializzandolo nel recinto di Edipo e utilizzando, a questo scopo, la famiglia che “è l’agente di questa rimozione, perché assicura una ‘riproduzione psicologica di massa del sistema economico di una società’. Questo tipo di repressione incanala il desiderio verso la dimensione edipica, la rimozione si distingue dalla repressione per il suo carattere inconscio, ed è tale la sua intensità che essa fa desiderare la repressione. La rimozione è al servizio della repressione e si esercita sulla produzione desiderante […] L’Edipo si costruisce in famiglia e trova nello studio dell’analista la sua ultima territorialità, si chiude il cerchio nascondendo così tutte le forze di produzione, riproduzione e repressione sociale. Ogni forza attiva e rivoluzionaria è rinchiusa nella nursery e nel rapporto mamma-papà”23.

Resta da spiegare perché questo desiderio tutto positivo, teorizzato da DG, si possa convertire nel suo contrario, ovvero come si possa rispondere alla domanda di Reich, che loro stessi si pongono: “perché gli uomini combattono per la loro servitù come si trattasse della loro salvezza?”24. DG affermano che il desiderio non è stato ingannato, che le masse hanno veramente desiderato il fascismo e l’oppressione, animate dalla perversione del desiderio gregario, ed è questo che bisogna spiegare. Si potrebbe allora dire che nello stesso funzionamento molecolare e nomadico delle macchine desideranti si annida potenzialmente quella fissazione molare che DG ne L’anti-Edipo, dipingono come strutturalmente antagonista? Che molecolare e molare non sono due categorie irrelate, ma profondamente intrecciate, che il polo “paraoico fascisteggiante” può ritrovarsi disseminato all’interno dei flussi molecolari di desiderio con cui lo schizo fa detonare ogni struttura? E’ questa la riflessione, vicina alla microfisica del potere foucaultiana, a cui DG arriveranno in Millepiani: “E’ la potenza micro-politica o molecolare a rendere pericoloso il fascismo […] Soltanto il micro-Fascismo può fornire una risposta alla domanda globale: «Perché il desiderio desidera la propria repressione, come può desiderare la propria repressione?» […] La segmentarietà molecolare rischia di riprodurre in miniatura le affezioni, le affettazioni di quella rigida: si sostituisce la famiglia con una comunità, si sostituisce la coniugalità con un regime di migrazione e di scambio, ma è ancora peggio, dei micro-Edipi s’insediano, i micro fascismi dettano legge, la madre si crede obbligata a masturbare il figlio, il padre diventa mamma […] E’ troppo facile essere antifascista a livello molare, senza vedere il fascista che siamo noi stessi, che nutriamo e coltiviamo, a cui ci affezioniamo, con molecole personali e collettive. […] Ogni centro di potere strutturalmente molare è anche molecolare, si esercita su un tessuto micrologico dove non esiste se non diffuso, disperso, demoltiplicato, miniaturizzato, in perpetuo spostamento […] Non vi è centro di potere che non abbia una tale micro-testura. Quest’ultima – e non il masochismo – spiega come un oppresso possa sempre svolgere un ruolo attivo nel sistema di oppressione: gli operai dei Paesi ricchi partecipano attivamente allo sfruttamento del Terzo Mondo, all’armamento delle dittature, all’inquinamento dell’atmosfera”25.

Quand’anche la figura del desiderio come pienezza produttiva e il piano di consistenza del CSO elaborati da DG, abbiano mai avuto potenzialità rivoluzionarie e non siano stati in realtà nient’altro che un mero fermo immagine del meccanismo di riproduzione del Capitale, quel che è certo è che quest’ultimo, nel tempo, si è dimostrato più forte. Gli stessi flussi molecolari sono sembrati rappresentare plasticamente quella fluidità delle relazioni sociali, che ha generato aggregazioni contingenti e senza durata, proprio come quelle di uno sciame, e che sono la cifra più evidente delle nostre società capitalistiche. Questo desiderio, che a questo punto, seguendo la riflessione di Lacan, potremmo tradurre in godimento, si è rivelato fino ad oggi, lo strumento più efficace, a disposizione del capitalismo per continuare a riprodursi. Secondo lo psicoanalista francese si dà desiderio, solo in presenza di una struttura simbolica e di una Legge, che fornendo una cornice di senso e un indirizzo al godimento, ne permettono il contenimento e la potenziale sublimazione. Ma il modus operandi del capitalismo ha dis-articolato le strutture simboliche, che fornivano senso e orientamento al godimento, attraverso una rete di significanti territorializzati, e desertificato le relative comunità, che introiettando parole e simboli, si davano una collocazione nello spazio e nel tempo, lasciando campo libero a un godimento autistico. Se la struttura simbolica, infatti, “è ciò che fa si che la vita si fermi a un certo limite verso il godimento”, permettendo un’articolazione desiderante della vita, il suo sfaldamento, ha aperto le porte a un godimento senza limiti, ovvero, prosegue Lacan, a un “percorso verso la morte, perché un tale percorso non è altro rispetto a ciò che chiamiamo godimento”26.

Si potrebbe anche dire che il colpo di genio del capitalismo, sia stato quello di sfruttare la strutturale mancanza a essere del parlante che siamo, il quale vede nell’oggetto che ha di fronte, la causa del suo desiderio, quando invece quest’ultima sta alle sue spalle e lo sospinge di oggetto in oggetto senza potersi mai saturare, perché al fondo il desiderio, nella sua metonimica mancanza a essere, è “desiderio di ni-ente”. Fino a quando la struttura simbolica teneva, era possibile l’instaurazione di una Legge e con essa, un’articolazione del desiderio sì metonimica, ma che trovava nella struttura, le parole e le regole con cui dirsi e farsi. Quando la struttura perde la presa perché soppiantata da una forma astratta e universale, quella della merce, che tende a sussumere in sé qualunque senso disponibile, il desiderio non più contenuto dalla parola esplode in una dinamica perversa di puro godimento. Nutrito da una cornucopia infinita di merci messe a disposizione dal Capitale, il godimento continuerà compulsivamente a riprodursi, perché la spinta che sta al suo fondo è un vuoto a-significante, a-semantico, una strutturale mancanza a essere, vera e propria cifra dell’umano, che nessun oggetto sarà mai in grado di colmare.

Nel seminario XVII, Il rovescio della psicoanalisi, tenutosi tra il 1969 e il 1970, Lacan espone per la prima volta la sua teoria dei quattro discorsi27. Qui per discorso egli intende il piano dell’enunciazione, a partire dal quale possono poi articolarsi i diversi enunciati discorsivi. Attraverso questi quattro discorsi, generati da quattro variazioni di uno schema base, Lacan riassume le diverse forme possibili del legame sociale. A partire dal discorso del padrone (P), costruito avendo alle spalle il modello del Menone platonico, nel quale Socrate dimostra come il sapere appartenga al servitore e come lui non faccia altro che farlo venire alla luce, come la levatrice fa con un bimbo e la dialettica hegeliana servo/padrone, nella quale, tra i due, come noto, arriva a consumarsi una lotta a morte per il riconoscimento. Il discorso del padrone sta a fondamento degli altri discorsi, perchè rappresenta la prima forma di legame sociale, resa possibile dall’interdizione aurorale del godimento, quella da cui nasce la Civiltà: “l’assunzione da parte dell’uomo della postura civile si fonda sulla rinuncia al godimento: per questo l’uomo con la sessualità non si ritroverà mai a suo agio”28. In questo discorso al posto dell’agente c’è S1, ovvero il significante padrone il quale, riverberandosi in S229, cioè nel sistema simbolico e polarizzandolo, comanda l’articolazione della catena significante, secondo una Legge che impone un divieto al godimento. Nello schema, infatti, il rapporto tra i denominatori delle due frazioni, ovvero $ e a, è interdetto30. Al soggetto diviso $, è proibito l’accesso a quell’operatore di godimento (a), che è causa del desiderio stesso: “la barriera che potremmo prontamente nominare a livello del discorso del padrone è quella del godimento, semplicemente in quanto vietato, vietato nel suo fondamento31.

Il padrone vieta il godimento perché il suo comando, il suo imperativo categorico è “Devi”, a differenza di quello del discorso del capitalista, che sarà invece “Godi”. Il suo è un Ego trascendentale, identico a se stesso e dimentico della verità della divisione ($), che pur appartenendogli, in questo discorso risulta rimossa32. Il suo potere ha ancora una declinazione personale, il suo comando è un comando incarnato in un corpo. Ma se il padrone, nella forma del signore antico, non gode, il servo in qualche modo invece si. Quest’ultimo, sotto il comando dell’obbedienza della legge, S1“Devi”, ricava un’altra forma di godimento, del resto l’unica attingibile dal soggetto, che è quella del plusgodere, esemplificata dall’oggetto piccolo (a). Quella cioè che prende avvio a partire dalla perdita del godimento originario, operata dall’iscrizione della struttura significante Sspan style=”color: ;”>2 (il sistema simbolico come sapere), sul corpo, a partire dal comando S1. Il significante da un lato cancella un godimento originario dall’altro produce godimento, di plusgodere infatti “è possibile parlare solo nella misura in cui esso sia legato all’origine stessa dell’entrata in gioco del significante”33. Ma il godimento, spiega poi Lacan, poi “ritorna alla portata anche del padrone”, per la stessa ragione e nello stesso momento in cui articola il suo comando. Un godimento che il padrone hegeliano arriva a procurarsi sfruttando il sapere del servo e appropriandosi del suo plusgodere, cosa che lo destinerà alla sconfitta nel momento in cui il servo, attraverso il lavoro, prenderà coscienza del suo potere sul padrone. Questa vittoria del servo, però, non libererà quest’ultimo, perché il sapere con il quale andrà al potere sarà sempre un sapere da padrone. Siamo in prossimità del passaggio a una nuova forma di padrone schematizzata da Lacan con una rotazione antioraria di un quarto di giro nello schema P. Il nuovo discorso che ne risulta, è il discorso dell’Università (U), ovvero il discorso del padrone moderno. P, infatti, si mantiene in U, assumendo una diversa forma, quella per cui la verità rimossa di U è S1, (vedi schema 2) a dire che il sapere S2 che ora sta nella posizione di comando, è in verità un sapere da padrone. In U, quindi, il posto dell’agente è occupato da S2, l’insieme dei significanti, “la rete di quello che chiamiamo un sapere” quello che Lacan chiama un sapere da padrone. Il suo comando sulla catena significante diventa possibile a partire dalla formalizzazione della realtà, che si presenta come oggettività, laddove la sua verità, nascosta sotto la barra della rimozione nella prima frazione, rimane il comando di S1: “c’è un Maître antico e un Maître moderno: il che vuol dire che ad un’accumulazione primitiva del sapere in cui c’è furto, trasferimento del sapere dalle tasche del servo a quelle del padrone, subentra una sua gestione moderna in cui a fare la parte del padrone è il sapere stesso”34.

Nel passaggio tra P e U si colloca la prima fase del capitalismo, quella in cui il comando S1 sottopone i corpi all’irregimentazione del lavoro, mentre il “sapere da padrone” S2, ovvero la formalizzazione del sapere scientifico, li espropria del loro sapere artigianale preindustriale, sussumendo quest’ultimo nel coagulo del lavoro morto della macchina. Secondo Mario Pezzella, infatti, “in un certo senso anche il primo capitalismo fino all’Ottocento mantiene questo carattere personalizzato del potere, configurato in una persona a cui ci si sottomette come a un buon padre o che si odia come un despota. Passando tuttavia dal regime formale al dominio reale del capitale, il luogo del padrone si spersonalizza: non troveremo più in questo posto simbolico una figura di carne e di ossa, ma l’impersonale astrazione del capitale, che diviene il vero unico invisibile soggetto del movimento sociale”35. In questo passaggio, che corrisponde al dispiegamento della forma di legame sociale capitalistica, il lavoro in eccesso dell’operaio (pluslavoro), rispetto a quello necessario alla sua riproduzione, genera quel plusvalore di cui il capitalista si appropria innescando il processo di accumulazione di capitale. Plusvalore che si accumula, secondo Lacan, nella misura in cui è lo stesso plusgodere dell’operaio, nella forma di salario non corrisposto, a venire sottratto e contabilizzato, ponendosi tra plusvalore e plusgodere un’omologia ovvero un’equivalenza strutturale: “qualcosa è cambiato nel discorso del padrone da un certo momento della storia. Non ci romperemo le scatole per sapere se è a causa di Lutero o di Calvino oppure di certi traffici di navi attorno a Genova, nel mare Mediterraneo o altrove, poiché il punto importante è che, a partire da un certo giorno il più-di-godere viene contato, contabilizzato, totalizzato. Comincia allora quel che è chiamato accumulazione di capitale”36. In U, S1 attraverso S2, si appropria di (a): “Marx denuncia questo processo come spoliazione. Ma lo fa senza rendersi conto che è proprio nel sapere che si trova il segreto – come quello della riduzione del lavoratore a puro valore. Passando a uno stadio superiore, il più-di-godere non è più-di-godere, ma si inscrive semplicemente come valore, da inscrivere o dedurre dalla totalità di ciò che si accumula […] il lavoratore diventa pura unità di valore […] Ciò che Marx denuncia nel plusvalore è la spoliazione del godimento”37. Il lavoratore perciò non viene espropriato solo di una parte del suo lavoro, che egli esegue senza alcun contraccambio economico, ma anche e in primis del suo desiderio, in quanto, “la forza lavoro vende sul mercato non un’appendice di se stessa, ma la sua essenza più profonda. Vende in un certo senso la propria specificazione più qualificante: vende il proprio desiderio38 Lo stesso significante padrone (S1) che ora comanda, rimosso, dal posto della verità, attraverso un “sapere da padrone”, fa si che esso non sia identificabile e che il dominio sia ora quello di un sapere astratto e senza soggetto: “il significante-padrone appare anche più inattaccabile proprio nella sua impossibilità. Dov’è dunque? Come nominarlo? Come reperirlo se non di certo nei suoi effetti omicidi? Denunciare l’imperialismo? Ma come fermarlo questo piccolo meccanismo?”39.

Per Žižek, il discorso dell’Università, da un lato descrive la logica del dispiegamento del capitalismo, realizzatasi a partire dalla fissazione del sapere, dall’altro quella dell’anonima burocrazia di stato, che il socialismo reale ha realizzato nella maniera più compiuta: “Il Discorso dell’Università inteso come discorso egemonico del mondo contemporaneo si presenta in due forme distinte attraverso le quali la sua tensione intrinseca (la sua “contraddizione”) si rende manifesta: il capitalismo, la sua logica dell’eccesso integrato, di un sistema capace di riprodursi attraverso un’auto-rivoluzione costante, e il “totalitarismo” burocratico che può essere concettualizzato in modi diversi (come dominio della tecnologia, della ragione strumentale, della biopolitica o come “mondo amministrato”) […] dove il “totalitarismo” stalinista non era in fondo altro che la logica capitalistica della produttività che si alimenta da sola, liberata dalla forma capitalistica, ed è per questo che ha fallito: lo stalinismo è stato il sintomo del capitalismo”40. Laddove quello che accomuna i due è “unaspecifica patologia del sapere caratterizzata dalla sua separazione irreversibile dalla dimensione della verità. Accade più emblematicamente nella nostra epoca dominata dal culto della cifra e della quantificazione” in cui “misurare, quantificare, valutare, numerare diventano le operazioni asettiche più specifiche del discorso dell’università e della sua grigia versione del sapere”41. Il sapere (S2), che come ricerca e invenzione viene da Lacan apparentato al “sapere al servizio della verità” dell’isterica 42, nella sua forma irrigidita e astratta, priva di connessione con la verità del desiderio del soggetto diviso ($), che in U sta nella posizione dello scarto, è anche quello proprio dell’astrazione della forma merce. Quest’ultima, forclude la dimensione singolare desiderante del soggetto, sussumendone l’identità nell’anonimato di una rappresentazione di cose e sottoponendolo, come vedremo in C, alla coazione a ripetere di un godimento acefalo e dis-individuante.

Se già nel discorso del padrone e in quello dell’università, presentati nel seminario XVII, si annunciava l’ethos capitalistico, Lacan ad un certo punto, esattamente il 12 maggio 1972, in una conferenza tenutasi a Milano, sente il bisogno di aggiungerne un altro, quello del capitalista43. E’ un discorso, questo, anomalo rispetto ai precedenti, perché non viene generato da una rotazione di un quarto di giro degli elementi, ma da un’inversione tra numeratore e denominatore della prima frazione del discorso del padrone. Al comando personale del padrone capitalista e all’astrazione impersonale del sapere sintetizzata dalla forma merce, si aggiunge un’ingiunzione anonima al godimento. Se nel discorso del padrone il godimento era reso impossibile, anche nella “scala rovesciata della Legge del desiderio”44, a causa della disarticolazione del fantasma a, in quello del capitalista viene evocato un fantasma perverso, che “cancella la dimensione dell’impossibile affermando che tutto il godimento è possibile”45. Il significante padrone (S) si anonimizza, diventando la verità rimossa di un discorso, quello del capitalista, che mette nella posizione dell’agente il soggetto dell’inconscio ($), che non è più soggetto di desiderio, ma di un godimento senza fine suscitato dall’ingiunzione di S1: “Godi”. A tal fine nella posizione del prodotto sta l’oggetto piccolo (a), sotto forma di oggetto gadget, che il sapere (S2) del discorso del capitalista, produce a ciclo continuo. Un oggetto piccolo (a) che non è più oggetto causa di desiderio, ma nel suo moltiplicarsi infinito, nella veste di oggetto gadget, diventa catalizzatore di un circuito chiuso di promessa (di godimento) e di conseguente delusione. Qui sta il fondo maniacale depressivo del soggetto, che avendo investito tutto, in maniera maniacale, su qualcosa che di volta in volta puntualmente lo deluderà, proprio perché progettato a tal fine, risponderà a questa delusione con un tono depressivo.

Il discorso del capitalista comporta la rottura di ogni legame, sia quello interno con l’Altro di me che quello esterno con l’Altro da me. Sussumendo ogni cosa nel regime astratto del sapere della merce (S2), corrompe la struttura simbolica del grande Altro (A), distruggendo qualunque legame intra e inter soggettivo, possibili solo all’interno di una struttura simbolica di linguaggio data (A). Se il simbolo è mediazione tra me e l’alterità, la sua corruzione porta con sé un passaggio all’atto che può declinarsi nel suicidio del soggetto o nell’omicidio dell’altro. Decompostosi A, disattivatasi la Legge simbolica che non trova più S1 nella posizione dell’agente, rimangono solo rapporti sociali mimetici in cui a si rispecchia in a46, innescando un rifrangersi di specchi infinito. Qualsiasi forma di trascendenza è perduta e l’Ego si demoltiplica in innumerevoli frammenti che non dispongono di un collante che li tenga assieme, a causa della “caduta dell’Ideale dell’Io e della sua funzione orientativa nel regime di precarietà simbolica dell’Altro contemporaneo”47. Se la vita umana si fonda sulla perdita, ovvero sull’elisione di quella totalità godente che è la diade madre figlio, quella Cosa fusionale che sta all’origine della vita, il discorso del capitalista è quello che rifiuta questa perdita, ovvero rifiuta la castrazione simbolica, che espungendo una parte d’essere del soggetto, ne consente l’umanizzazione.

Questo discorso non rimuove il desiderio del soggetto diviso ($), come fa quello del padrone, ma lo distrugge. Il capitalismo, blandendo il desiderio, con la promessa di suturare la mancanza strutturale che ne sta a fondamento, in realtà lo annienta, lasciando spazio in questo modo alla ripetizione di un pernicioso godimento senza limiti, che va contro non solo al principio di piacere ma alla vita tout court: la ripetizione, inscritta “in una dialettica del godimento, è esattamente ciò che va contro la vita”48. Qui sta il tenore profondamente nichilistico del discorso del capitalista.

La finta aura con la quale ogni nuovo oggetto si presenta, è tale da promettere la saldatura definitiva della divisione del soggetto. Ma, puntualmente, ogni oggetto delude la sua promessa, in quanto quello più nuovo che lo segue, ridesta la mancanza, che il precedente sembrava poter colmare. Costretto in un circuito infernale, il soggetto, estenuandosi nel consumo infinito di merci, alla fine arriva a consumare se stesso. Secondo Lacan, però, alla fine è lo stesso discorso del capitalista che, nonostante la sua astuzia, è destinato a consumarsi: “Non vi dico, assolutamente, che il discorso capitalista sia debole, al contrario è qualcosa di pazzescamente astuto, vero? Molto astuto, ma destinato a scoppiare. Insomma, è il discorso più astuto che si sia mai tenuto. Ma destinato a scoppiare. Perché è insostenibile […] va così veloce da consumarsi, si consuma fino a consunzione”49.

Sembra che il tardo capitalismo abbia ben compreso che mentre il desiderio è rivoluzionario, il godimento, laddove venga opportunamente alimentato, non lo è. Se il desiderio, articolandosi metonimicamente, apre alla trascendenza e al cambiamento, il godimento, nella ripetizione del girare attorno al vuoto dell’oggetto50, da parte della pulsione, rimane immobile. Che è quanto interessa al Capitale, che appoggiandosi a U, “imbriglia ‘a’ nella rete dei saperi per trovare una misura scientifica di ‘a’ che collimi con l’esigenza di forcludere quella béance da cui nasce il desiderio”51. Il capitalismo combatte il desiderio perché quest’ultimo potrebbe metterlo in discussione, e per far questo occulta feticisticamente la mancanza da cui il desiderio trae alimento, attraverso una cornucopia di oggetti che promettono illusoriamente di colmarla, ma che in realtà la alimentano, tramite la produzione a ciclo continuo di pseudo-mancanze. Quello che il capitalismo produce per auto perpetuarsi sono, appunto, false mancanze, che avvitano il soggetto nella coazione a ripetere del consumo di oggetti che di volta in volta puntano a colmarle. Queste pseudo-mancanze possono essere riprodotte all’infinito, per la semplice ragione che sono epifenomeni di quella strutturale mancanza a essere che sta al fondo della costituzione del soggetto diviso ($).

Il capitalismo contemporaneo, nella sua forma neoliberista, è anche in grado di trasmutare la stessa idea di libertà del soggetto, in quanto quest’ultimo non subendo più, in apparenza, la dimensione coercitiva ma quella seduttiva del capitale, declina la sua libertà in quella di consumare, sottoponendosi in realtà a un nuovo regime di schiavitù, che ha la sua forma più dissimulata nella figura del prosumer52.

Il consumismo ha bene inteso quale sia l’intima natura dell’uomo, il quale organizza il proprio godimento individuale, costruendo il proprio fantasma attorno al buco lasciato dall’originaria castrazione simbolica. Se l’oggetto piccola (a) sostiene il desiderio, questo lo fa infatti nella forma del fantasma: “il consumismo ha dimostrato di conoscere a fondo il segreto che attesta come tutti gli atti umani, compresi quelli apparentemente banali connessi al consumo, siano gesti abitati da fantasmi. Certo, l’uomo consuma oggetti e cose, ma per farlo continuare a consumare, soprattutto per farlo consumare in eccesso, è necessario che attorno a questi oggetti e cose si coagulino dei fantasmi”53.

D’altra parte se per un verso le società a capitalismo avanzato promettono di superare la strutturale rinuncia pulsionale sulla quale, secondo Freud, si fonda ogni civiltà, promessa che se realizzata forse le farebbe collassare, dall’altro esse continuano ad avere al loro interno, e non potrebbe essere altrimenti, “il tipico conflitto tra il desiderio e la sua interdizione, tra una pretesa di godimento e la richiesta di rinunciarvi”. Quella che appare come una “slatentizzazione del godimento” è in realtà un mero camuffamento che rinnova il fondamento irrinunciabile di ogni società: “il discorso del capitalista non esonera il soggetto dall’esperienza della rinuncia pulsionale, sebbene sia proprio in funzione della sua (illusoria) risoluzione che organizza il circuito consumistico sul quale si fonda”54.

La merce più decisiva per il suo perpetuarsi che il capitalismo produce è la mancanza-a-godere, la sua è una “produzione estensiva, dunque insaziabile, della mancanza-a-godere”55. Il godimento è continuamente promesso e continuamente mancato. Ogni nuovo oggetto sembra quello che sigillerà per sempre il vuoto attorno al quale costruiamo il nostro fantasma inconscio, per poi rilevarsi l’ennesimo deludente gadget.

Gli oggetti stessi che il mercato mette a disposizione, diventano altrettanti idoli ai quali sacrificare la propria vita, attraverso il lavoro, il tempo libero e l’indebitamento. Essi funzionano da alibi identitari o come promesse sempre mancate di eternazione. Infatti, se il discorso del capitalista, nella spinta alla reiterazione parossistica al consumo, contiene in sé una spinta alla morte, è altrettanto vero che il capitalismo promette di esorcizzarla, di occultarla feticisticamente per il tramite dell’idolo merce, garanzia, quest’ultimo, di una fantasmatica salvezza.

In alcuni casi l’effetto segnico del marchio è tale da ammantare gli oggetti di un’aura che sa di elezione e di trascendenza. Allo stesso tempo la diversificazione e la personalizzazione estrema dei prodotti rimandano spesso al consumatore l’illusione di esserne lui stesso l’artefice. I mall sono diventati cattedrali del consumo che fungono da agenzie di socializzazione, mentre le liturgie che si celebrano al loro interno testimoniano l’avvento di queste nuove divinità: “analogamente a quanto accade per l’idolo, ogni singolo prodotto, all’interno della logica imposta dal consumismo, deve “risplendere”, poiché è proprio per questo ch’esso viene messo in commercio”56. Se l’uomo pensa di possedere l’oggetto idolo e possedendolo dare consistenza e solidità alla propria identità, questa idea viene però puntualmente smentita, in quanto ogni idolo fabbricato, è destinato a sfaldarsi e a venire sostituito prontamente da un altro.

L’idolatria dell’oggetto gadget interrompe la continuità del vissuto del soggetto in una serie temporale scandita dal ritmo della produzione. La vita rimane sospesa in un’altalena immaginaria nella quale ogni biografia è impossibile, perché le pseudo esperienze, generate da ogni oggetto gadget, risolvono l’identità stessa in una serie di puntuazioni emotive tra loro irrelate, che predispongono lo stesso soggetto, alla propria gadgetizzazione. Attesa e delusione sono gli stati emotivi tra il quali il soggetto oscilla, nell’incapacità di strutturare un carattere che sia in grado di far fronte al reale della vita. L’unico cemento dell’identità del soggetto rimane l’Ego, ovvero, come scrive Lacan, il “sintomo umano per eccellenza, la malattia mentale dell’uomo”57. Un Ego ipertrofico, dai tratti paranoidi e narcisisti, nel quale la pulsione a godere trascina con sé ogni argine, compresa la cornice dell’Ego stesso. Semmai dovesse scoppiare il capitalismo, come preconizzava Lacan, questo sarebbe anche il destino del soggetto che esso ha prodotto, il quale, non più sostenuto dall’altalena immaginaria della merce, si scompenserebbe, esplodendo in un delirio psicotico. Prima che questo accada, è auspicabile demistificare, quanto prima possibile, la trama feticistica del capitalismo, nella consapevolezza che la resistenza a barattare il lato manifesto dei sogni a occhi aperti indotti da esso, con quello occulto del suo reale funzionamento, sarà molto forte. Se a questa demistificazione non si accompagnerà però una sovversione dello stesso soggetto, come spiega Lacan, ogni rivoluzione non farà che reintrodurre il comando del discorso del padrone.

Se quest’ultimo pone la sottomissione del soggetto al comando personale dell’Ego ideale del leader, con il quale si identifica, quello dell’università la sua risoluzione nel reticolo universale astratto delle procedure scientifiche del sapere e quello del capitalista la cancellazione della sua verità singolare inconscia ($), assorbita nell’anonimia di un godimento acefalo, è il discorso dell’analista quello che, sovvertendo il soggetto e sciogliendo la centralità del suo Ego, lo apre alla verità singolare del suo inconscio. In questo discorso la posizione dell’agente appartiene all’oggetto piccolo (a), ovvero l’analista va a identificarsi con quel resto, quello scarto del taglio significante, quelle parte d’essere perduta del soggetto, che contiene il desiderio dell’analizzante e sulla quale quest’ultimo proietterà il suo transfert. L’analista si trasforma perciò da soggetto supposto sapere a oggetto, oggetto piccolo (a), ed “è in quanto oggetto (perduto, scartato, rifiuto) che egli fomenta la vitalità del desiderio”58 dell’analizzante. La disposizione di $ nel posto del sapere sta a significare che quest’ultimo non appartiene all’analista, ma al desiderio inconscio dell’analizzante ($). Desiderio, per raggiungere il quale, l’analizzante deve rifiutare il godimento eslege. Il godimento può infatti essere raggiunto, ma solo nella misura in cui la Legge del desiderio lo rovesci, umanizzandolo.59. Qui sta la posizione etico politica della psicoanalisi.

Le figure del desiderio e del godimento, analizzate attraverso le diverse posizioni di DG e Lacan, dimostrano quanto esse siano centrali per qualunque pensiero abbia l’ambizione di interrogare criticamente il modello sociale capitalista e il soggetto che ne è l’immagine. Nella certezza che qualunque loro superamento, debba portare con sé un’analisi del desiderio e del godimento, affinché essi possano diventare uno strumento di lotta e di cambiamento e non uno strumento di asservimento.

Note

1Ricordiamo che la riflessione di Lacan passa attraverso l’elaborazione di una serie di figure del desiderio che partono da quella di impronta hegelo-kojèviana la quale lo identifica, mediante la dialettica simbolica del riconoscimento, come desiderio del desiderio dell’altro, per arrivare a definirlo come metonimia della mancanza a essere. In questo approdo finale il desiderio non si dirige più verso l’Altro, ma “verso un Altrove che nessun Altro può incarnare”, non è mai desiderio di qualcosa, ma sempre di qualcos’altro, ovvero non si soddisfa mai di niente e di nessuno. Questo perché anelante a una ricongiunzione impossibile, quella con il reale della Cosa (Das Ding), resa indisponibile dal marchio del linguaggio, ma tale da sopravvivere in quel suo cascame che è l’oggetto piccolo (a) che funge da motore del desiderio. Metonimia della mancanza a essere, significa che il soggetto è in perdita d’essere a causa del taglio significante e che questa condizione lo sospinge a ritrovare la parte persa d’essere, spostandosi metonimicamente da un oggetto all’altro, ma fallendo di volta in volta il suo ritrovamento perché quest’ultimo è impossibile.
2 Molare e molecolare sono due livelli intrecciati tra loro, in cui si articolano tutti gli elementi. L’ordine molecolare riguarda i flussi, le loro intensità e i processi che scandiscono il puro divenire. I flussi vengono poi segmentati, conchiusi e fissati nel macro ordine del livello molare, che con le sue perimetrazioni de-finisce oggetti, soggetti rappresentazioni e sistemi di riferimento.
3 Il rizoma si pone in opposizione al modello semantico dell’albero, gerarchico, centrato e con un ordine di significazione che dispone i significati linearmente. Il rizoma collega qualunque punto con qualunque altro punto, è “come un tubero che agglomera atti molto diversi, linguistici, ma anche percettivi, mimici, gestuali, cogitativi […] Contro i sistemi centrati (anche policentrati), a comunicazione gerarchica e collegamenti prestabiliti, il rizoma è un sistema acentrato non gerarchico e non significante, senza generale, senza memoria organizzatrice o automa centrale, definito univocamente dalla circolazione di stati” (G.Deleuze F. Guattari, Millepiani, Castelvecchi, Roma 2010, pp. 52, 66)
4 G. Deleuze F. Guattari, L'anti-Edipo, Capitalismo e schizofrenia, (1972), Einaudi, Torino 1975, p.57
5 Ibidem, p.3
6 Si veda schema 1
7 M. Recalcati, Schizofrenia e responsabilità [a cura di] F.Vandoni, E.Redaelli, P.Pitasi, Legge, desiderio, capitalismo, Mondadori, Milano-Torino, 2014, p. 80. 
8 G.Deleuze F. Guattari, L'anti-Edipo, Capitalismo e schizofrenia, cit., p.14
9 Ibidem p.18 e sgg
10 Ibidem p.15 e sgg
11 G.Deleuze F. Guattari, Millepiani, cit., pp. 320, 321
12 Ibidem pp. 6,7
13 M. Recalcati, Schizofrenia e responsabilità, cit., pp. 83, 84
14 J. Lacan, Il seminario, Libro IV, Einaudi, Torino 2007, p. 41
15 J. Lacan, La cosa freudiana. Senso del ritorno a Freud in psicoanalisi, in Scritti, Einaudi, Torino 1976, p. 408
16 G.Deleuze F. Guattari, L'anti-Edipo, Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 29
17 M. Recalcati, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, Raffaello Cortina, Milano 2016, p. 214
18 A. Fontana, Introduzione, in G.Deleuze F. Guattari, L'Anti-Edipo, Capitalismo e schizofrenia, cit, p. XVII
19 Ibidem p. XXXI
20 M. Fregni, Al di là dell'Edipo tesi di laurea presso l'IRPA
21 G.Deleuze F. Guattari, L'Anti-Edipo, Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 7
22 Ibidem p. 56
23 S. D'Offizi, L'anti-Edipo, http://centrostudipsicologiaeletteratura.org/2013/02/gilles-deleuze-e-felix-guattari-lanti-edipo-capitalismo-e-schizofrenia-1972/
24 G.Deleuze F. Guattari, L'anti-Edipo, Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 32
25 G.Deleuze F. Guattari, Millepiani, cit., pp. 271, 281, 284
26 J. Lacan, Il seminario Libro XVII, Einaudi, Torino 2001, p. 13
27 Si tratta del discorso del padrone, dell'università, dell'isterica e dell'analista. Discorsi generati a partire da un quadripode, ovvero uno schema composto da due frazioni appaiate, con quattro postazioni fisse nel posto dei numeratori e dei denominatori, e quattro elementi, che possono ruotare nelle postazioni, di un quarto di giro alla volta, dando origine in questo modo ai quattro differenti discorsi. Numeratore e denominatore sono divisi dalla barra della rimozione. Le postazioni fisse sono, partendo da in alto a sinistra, in senso orario, quella dell'agente, del sapere, del prodotto/scarto e della verità, laddove quella decisiva, che dà il tenore al discorso, è sempre la prima:  agente   sapere  verità prodotto
 I quattro elementi sono rispettivamente il significante padrone o tratto unario (S1), il sapere come Altro ovvero come struttura dei significanti del simbolico (S2), l'oggetto causa del desiderio cioè l'oggetto piccolo (a) e il soggetto barrato che è il soggetto dell'inconscio ($). Questi schemi provano a mettere assieme la parte rappresentabile e condivisibile della vita tramite il significante e quella intraducibile e singolare del godimento. Si veda schema 2
28 B. Moroncini, Lacan politico, Cronopio, Napoli 2014, p. 92
29 S1 è il primo significante che marchia il soggetto, quello che rappresenterà il soggetto per un altro significante (S2). Questo significa che un significante non ha mai un punto diretto di caduta in un significato, ma che quest'ultimo scaturisce sempre dalla relazione di un significante con un altro significante, secondo la lezione saussuriana. Il soggetto viene rappresentato da una rete di significanti, innescata da S1, che è però incompleta, ovvero lascia dietro di sé una parte del soggetto che rimane irrapresentata, della quale (a) ne è una traccia, e che è quella che ne costituisce l'unicità e l'irripetibilità.
30 Il soggetto per Lacan è il prodotto dell’iscrizione originaria dei significanti dell’Altro (A), ovvero del sistema simbolico, sul corpo. Iscrizione che mutila il soggetto di una sua parte ($), perché non tutto il corpo è iscrivibile e quindi rappresentabile in (A), visto che (A) contiene al suo interno un buco (A). Come a dire che l’insieme discreto del linguaggio non può essere coestensivo e isomorfo al corpo del soggetto, o anche che non esiste l’Altro dell’Altro che lo giustifichi e lo fondi. Ricordiamo anche come per Lacan $a sia la formula del fantasma, quella per cui il soggetto diviso, il soggetto dell’inconscio ($), essendo in relazione con l'oggetto causa del desiderio (a), diventa soggetto di desiderio. Nel discorso del padrone questa relazione è interdetta e a causa di ciò $ non può accedere al suo desiderio.
31 J. Lacan, Il seminario Libro XVII, cit., p. 131
32 Infatti sta sotto la barra della rimozione nella prima frazione
33 J. Lacan, Il seminario Libro XVII, cit., p. 222
34 B. Moroncini, op. cit., p. 85
35 https://www.fondazionecriticasociale.org/2018/11/08/il-capitalista-e-il-padrone-note-su-marx-e-lacan/
36 J. Lacan, Il seminario Libro XVII, cit. p. 223
37 Ibidem, p. 96
38 P. Bianchi, Marx e Lacan: il plusvalore come oggetto a in L’inconscio dopo Lacan. Il problema del soggetto contemporaneo tra psicoanalisi e filosofia a cura di Domenico Cosenza e Paolo D’Alessandro, LED, Milano 2012 p. 256
39 J. Lacan, Il seminario Libro XVII, cit., p. 223
40 S. Žižek, America oggi. Abu Ghraib e altre oscenità, ombre corte, Verona 2005, p. 46
41 M. Recalcati, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, cit, p. 616
42 J. Lacan, Il seminario Libro XVII, cit., p. 116

43 Un breve parte di quello che segue, è stata pubblicata sul numero 0 della rivista on line Quaderni della decrescita

44 Ricordiamo come per Lacan il desiderio sia attingibile dal soggetto solo tramite il rifiuto del godimento, reso possibile dalla castrazione simbolica, ovvero dall’iscrizione nel corpo, del linguaggio polarizzato dal Nome del padre, la quale tempera il godimento, simbolizzandolo : “La castrazione vuol dire che bisogna che il godimento sia rifiutato perché possa essere raggiunto sulla scala rovesciata della Legge del desiderio” (J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano (1960), in Scritti, Einaudi, Torino 1974, vol II, p. 830)
45 M. Recalcati, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, cit., p. 608

46 Qui per a non si intende l’oggetto piccolo (a) ma l’Io del soggetto, che compare nello schema L elaborato da Lacan. Questo schema, composto da quattro elementi, rispettivamente S (soggetto), a' (altro immaginario), A (grande Altro, ovvero la struttura dei significanti) e a (Io). Gli elementi sono connessi da alcune frecce. Quello che qui interessa è la relazione speculare immaginaria, che si instaura tra a e a', la quale tende a spezzare l’asse simbolico tra A e S, cioè tra il sistema dei significanti e il soggetto inconscio sul quale essi si inscrivono. Relazione quest’ultima, solo a partire dalla quale può darsi desiderio del soggetto, come desiderio di riconoscimento da parte dell’Altro, laddove lungo l’asse immaginario, ogni via a questo desiderio viene sospesa, nella confusività speculare immaginaria tra a e a'. Si veda schema 3 
47 M. Recalcati, L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 30
48 J. Lacan, Il seminario Libro XVII, cit., p. 50
49 Id, Lacan in Italia, La Salamandra, 1978, pp. 47, 48
50 Il desiderio è una trasformazione del godimento, resa possibile dalla cattura di quest’ultimo da parte del linguaggio (A). Questa cattura permette al godimento di declinarsi metonimicamente lungo la catena dei significanti, attraverso la quale si generano i significati e quindi il movimento e il senso. Il godimento viceversa rimane fissato nella sua ripetizione a quel vuoto a-significante, emerso dalla sottrazione di un oggetto parziale, come il seno, vuoto attorno al quale la pulsione si ripete, girandoci attorno, alla ricerca di un impossibile ritrovamento dell’oggetto perduto (a). Si veda schema 4  51 B. Moroncini, op. cit., p. 91
52 Il prosumer, crasi tra producer (produttore) e consumer (consumatore), è la persona che consumando beni o servizi, allo stesso tempo, più o meno consapevolmente, li produce. L’esempio paradigmatico è dato da noi tutti che navighiamo in internet e che con le nostre ricerche forniamo dati che vanno ad alimentare data base che poi vengono venduti per servire alla nostra profilazione di consumatori. Profilazione, che diventa ancora più accurata, laddove si frequentino i social media, dei quali si consumano gratuitamente i servizi, ma nei quali spesso si mette a nudo la propria identità e si condividono contenuti più o meno privati, producendo dati che poi vengono trasformati in informazioni sempre più precise sul nostro profilo in generale, in primis quello psicologico.
53 S. Petrosino, L’idolo, Mimesis, Milano 2015, p.97
54 F. Lolli, Inattualità della psicoanalisi, Poiesis, Bari 2019, pp. 148, 149
55 J. Lacan, Radiofonia, in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 431
56 S. Petrosino, L’idolo, cit., p. 99
57 J. Lacan, Il seminario Libro I, Einaudi, Torino 2014, p. 20
58 F. Lolli, cit. p. 118
59 Si veda nota 44