Piattaforme di lavoro e algoritmi di sfruttamento

Intervento a Lavoro su piattaforma e lotte dei rider tenutosi Ven. 18 febbraio 2022 aula 15 Roma Tre

di T. Numerico

  1. Davvero non sappiamo cosa contengono gli algoritmi?

Spesso si dice che non sappiamo cosa ci sia dentro gli algoritmi. Questo talvolta è vero, ma nel caso delle piattaforme per dirigere il lavoro dei rider conosciamo quali sono gli obiettivi che ne determinano l’orientamento. Si tratta di: strumenti per migliorare le prestazioni dei rider attraverso processi di gamificazione e competizione; tattiche per rendere più efficiente il processo di sfruttamento dei lavoratori; tecniche per scaricare i rischi sui lavoratori, mantenendo il più possibile intatto il plusvalore garantito alla piattaforma.

L’obiettivo degli intermediari è delocalizzare la prestazione dal datore di lavoro, sottraendo a quest’ultimo tutte le responsabilità in merito allo svolgimento del processo lavorativo, eccetto quelle che riguardano l’efficienza e la scorrevolezza delle prestazioni ai fini di amplificare l’accumulazione di profitti. Un esempio un po’ estremo e forse iperbolico per illustrare la situazione è l’invio di un drone a uccidere qualcuno in Pakistan, per esempio, dove chi manovra gli strumenti si serve di piattaforme delocalizzate di intermediazione e non rischia niente mentre chi ne subisce le conseguenze può anche morire (Chamayou 2014).

  1. Mezzi di produzione

Siamo stati abituati a ritenere, seguendo l’impostazione marxista nel guardare allo sviluppo dell’economia, che il capitalista (l’imprenditore) si assumesse il rischio di impresa e per questo motivo avesse diritto a guadagnare di più. La sua prerogativa nasceva dalla considerazione che proteggesse i lavoratori da questo rischio (entro certi limiti) e mettesse a disposizione i cosiddetti mezzi di produzione.

Le piattaforme sovvertono questo assunto perché spesso non possiedono i mezzi di produzione (si servono di quelli in possesso dei lavoratori), ma solo quelli di intermediazione tra i suoi clienti e i suoi lavoratori. Si appropriano, quindi, non solo del tempo dei lavoratori (dichiarando di lasciarli liberi di scegliere), ma anche dei mezzi di produzione che servono per portare a termine il compito logistico, in cui si svolge l’attività industriale dei rider, senza veramente valorizzare questo elemento, considerato una semplice esternalità garantita dal lavoratore: nella forma del mezzo di trasporto. La prestazione quindi include non solo il lavoratore, ma anche il suo mezzo di trasporto.

L’imprenditore non tutela dai rischi di impresa perché se non ci sono le consegne non sempre garantisce il minimo contrattuale, lasciando il rider a fare l’imprenditore di sé stesso, né dagli incidenti sul lavoro, perché delocalizzando i luoghi dove avvengono le transazioni (consegne o altro) non si considera quasi mai responsabile quando succede qualche imprevisto. Molte delle controversie legali sul lavoro dei rider derivano dalla difficoltà di riconoscere le caratteristiche del loro rapporto di lavoro: sono dipendenti o indipendenti? Molte controversie legali si sono svolte su questo problema ontologico ed epistemologico della natura del rapporto di lavoro. La direttiva Europea presentata dalla commissione il 9 dicembre 2021 si propone di chiarire meglio come si possano determinare le caratteristiche del rapporto di lavoro.

Del resto, la piattaforma mette al lavoro per sé anche i suoi clienti che devono compilare il modulo di iscrizione, scegliere il metodo di pagamento e ordinare il prodotto desiderato, seguendo le forme prescritte dalle piattaforme. L’uso dei dati come fonte ulteriore da mettere a profitto nell’attività dei lavoratori e dei clienti delle piattaforme è descritto dettagliatamente in Marrone (2021).

  1. Imprenditore irresponsabile e rischi scaricati sui lavoratori

L’imprenditore, quindi, mette solo a disposizione la piattaforma per far incontrare la domanda e l’offerta senza essere responsabile per le singole transazioni.

Si sa che uscendo dai luoghi della produzione, nella logistica è più difficile far valere le tutele dei lavoratori. La domanda, quindi, è: qual è la legittimità di questi guadagni, di questa produzione di plusvalore da parte della piattaforma, che si basa sul puro sfruttamento 2.0 o 3.0 delle prestazioni lavorative? Potrebbe essere troppo poco quello che mette a disposizione la piattaforma per giustificare l’ampiezza dell’appropriazione.

Inoltre, il lavoratore, dal canto suo, non è indipendente per il solo fatto di lavorare in autonomia e perché presume di essere padrone di scegliere gli orari di lavoro (mentre ci sono altri vincoli che entrano implicitamente in gioco, come dimostra il caso di Frank, l’algoritmo di Deliveroo) (Bidetti, de Marchis Gòmez, 2021).

Dipende, invece, dalla piattaforma rispetto alla quantificazione dei guadagni, oltre alla valutazione dei suoi comportamenti e spesso anche per la definizione dei percorsi. Inoltre, tutta l’attività di consegna si svolge sotto l’occhio attento di sistemi tecnici di sorveglianza che monitorano e sanzionano seguendo logiche rigide, presupponendo che lo svolgimento del lavoro debba seguire delle regole standardizzate. Il sistema tecnico impone i suoi ritmi di automazione delle prestazioni costringendo il lavoratore o la lavoratrice a rispettare regole imposte, per evitare malfunzionamenti e punizioni. La delocalizzazione della piattaforma rispetto ai lavoratori non garantisce il rispetto dei diritti che sono protetti dalle leggi, che, però, si applicano solo se è chiaro il contesto del rapporto di lavoro e, soprattutto, se si esplicita la dipendenza dal sistema delle procedure introdotte dalle piattaforme.

Il caso delle piattaforme è solo uno dei tanti nei quali la agency – pretestuosamente intelligente delle macchine – si attiva senza che a questa siano connesse responsabilità giuridiche, politiche o etiche. Si tratta di un processo che viene da lontano e che attraverso il dispiegamento del problema delle molte mani finisce per agire senza accountability, (vedi su questo Tamburrini 2021).

  1. La giurisdizione per l’applicazione delle regole

Il fatto che la piattaforma digitale detenga i dati dei processi da qualche parte, magari in server non dislocati in Europa, avendo delle sedi legali sparse nel mondo, fa sentire i nuovi ‘imprenditori’ liberi dal rispetto delle leggi a tutela dei lavoratori vigenti nel paese dove le consegne si svolgono. Uno degli elementi più urgenti da riorganizzare è la definizione della giurisdizione. Indipendentemente da dove si svolge il processo di transazione, le regole che vigono devono riguardare il posto dove materialmente viene svolto il servizio. I diritti proteggono le persone nei luoghi in cui agiscono, non dovrebbero riguardare i luoghi dove fittiziamente le piattaforme scelgono mettere la sede istituzionale o dove detengono i loro dati. Questo apre un altro orizzonte problematico quello dell’enforcement delle regole: come è possibile far rispettare le nostre regole a soggetti che materialmente sono dislocati altrove?

  1. Rider come aristocrazia dei lavoratori delle piattaforme

Un altro elemento rilevante per definire il fenomeno dei lavoratori delle piattaforme è che, paradossalmente, i rider sono l’aristocrazia dei lavoratori maltrattati dalle piattaforme, lo sono per il fatto che si vedono. Ci accorgiamo che esistono, se non perché ne usiamo i servizi, almeno perché li vediamo sfrecciare per le nostre strade in bici, motorino o monopattino notte e giorno sempre di corsa a effettuare le consegne. Possiamo, quindi, prendere le loro parti, riconoscere la mancanza di tutele, essere solidali.

Ci sono molti altri lavoratori che usano le piattaforme, ma stanno altrove a fare un altro tipo di lavoro, il cosiddetto Ghost work, illustrato nel libro di Mary Gray o in quello di Antionio Casillo, Schiavi del clic. Si tratta di persone che svolgono compiti invisibili, nascoste nelle loro case, che si trovano lontano non solo rispetto alle sedi istituzionali delle piattaforme, ma anche rispetto a dove quel lavoro verrà reso produttivo. Vivono, infatti, nel Global South che non è necessariamente collocato a sud, ma ovunque ci siano le condizioni dello sfruttamento. Svolgono compiti semplici e sono ampiamente sottopagati rispetto agli standard del salario minimo vigenti nei paesi del Global North. Eppure, sono questi lavoratori che hanno introdotto i metadati per classificare le foto per addestrare i sistemi di image recognition, di cui tanto si parla come uno dei più travolgenti successi dell’intelligenza artificiale. Le piattaforme delocalizzano nel sud del mondo il lavoro che serve per addestrare le varie intelligenze presunte artificiali, magnificate come grandi traguardi tecnologici nel global north (vedi Crawford 2021).

Sono le fragili nuove frontiere di cui il capitale ha bisogno per continuare a espropriare e a garantire quella crescita illimitata che sola può permettergli di rigenerarsi e sopravvivere. In questo caso l’oggetto dell’espropriazione è la capacità di intelligenza per riconoscere immagini, volti, o moderare contenuti violenti, sfruttando la possibilità di pagare queste prestazioni con cifre che sarebbero assolutamente illecite nel nord dove i servizi poi vengono usati ed esaltati. Per esempio, possiamo citare il caso dell’addestramento di Siri a comprendere meglio le richieste degli utenti oppure facendo finta di essere un potenziale fidanzato per le annoiate persone sole che vivono nell’occidente avanzato (1).

  1. Dislocazione e sfruttamento: occhio non vede cuore non duole

La dislocazione serve per nascondere e per sfruttare. Anche Marx nel primo libro del Capitale (cap. XIII) sosteneva che i diritti sono tutelati meglio in fabbrica che nel lavoro a domicilio dove si assiste a un doppio sfruttamento, quello del datore di lavoro e l’autosfruttamento che ci si infligge, incluso rispetto ai familiari. Sfruttamento relativo alle ore lavorate, agli incidenti sul lavoro, alle tutele della malattia, dei permessi e della pausa garantita.

  1. Lavoro vivo e lavoro morto e governo dei numeri

Sappiamo che il capitale associando il lavoro vivo al lavoro morto lo sottopone ai ritmi del lavoro morto, senza pause, senza riposo, sotto un costante sguardo di controllo che non è oggetto di contrattazione, perché è invisibile.

Il lavoro morto si occupa, tra l’altro di conteggiare, quantificare, misurare e valutare senza mai fermarsi, secondo presunti criteri di oggettività. Questo è proprio quello che abbiamo faticosamente combattuto con le lotte per lo Statuto dei Lavoratori, ma sappiamo che la democrazia e i diritti non sono mai garantiti una volta e per tutte, è sempre necessario lottare per riaffermarli, rinnovarne il valore e difenderli. Anche Norbert Wiener padre della cibernetica diceva qualcosa di simile quando in the human use of human beings (1950-1954) affermava che il lavoro che si mette in competizione con il lavoro svolto da schiavi meccanici, finisca per ereditare le caratteristiche del lavoro schiavizzato.

In un libro di Alain Supiot, un importante giurista francese dal titolo La gouvernance par le nombre (2015) si sostiene che il diritto è figlio di una società eteronoma. C’è un’autorità che lo pone. Se tutto è gestito tramite sistemi tecnocratici di valutazione e governo delle prestazioni, l’effetto finale è esattamente all’opposto di una società equa e democratica. I meccanismi tecnici prendono le decisioni in modo autonomo servendosi di regole e metodi numerici, e non hanno bisogno di giustificare la loro autorità dall’esterno. Le regole giuridiche allora cedono il posto “a un programma e la regolamentazione a una regolazione” (p. 408). Questi processi non possono essere discussi o autorizzati dall’esterno e non rispondono a nessun criterio esplicito. Il risultato è la necessità di affidarsi ad altri al loro potere per essere protetti, mentre si chiede completa obbedienza a chi dipende da noi. Vige quindi la legge del più forte e decade lo stato di diritto. Ci troviamo in uno stato tribale – forse premoderno – con una organizzazione per bande per proteggersi dalla violenza, essendo pronti a esercitarla.

  1. Il collegamento delle lotte

Ritenere che i lavoratori della logistica siano di serie B è sbagliato oltre che iniquo. Sono invece l’avanguardia rivoluzionaria del sistema lavorativo che verrà. È assurdo pensare di lasciarli da soli a combattere le loro lotte. Solo affermando il principio che sono lavoratori dipendenti e che non devono essere vessati da ritmi e carichi di lavoro possiamo sperare di opporci alla valanga che avanza a assediare la cittadella dei diritti dei lavoratori, pronta a trasformare qualsiasi attività in lavoro gamificato delle piattaforme, posto sotto sorveglianza, quantificato e considerato autonomo, indipendente, sul quale il datore non ha responsabilità, sulle cui condizioni non può essere ritenuto accountable. Cioè non deve rendere conto.

Per esempio, le lotte dei rider sono l’avanguardia delle lotte per il diritto alla disconnessione durante lo smart working e per il diritto a un luogo di lavoro sicuro, garantito dal datore di lavoro e non ricavato dagli spazi abitativi privati, talvolta angusti dei dipendenti cosiddetti smart. È urgente collegare le lotte, vederne punti di contatto ai fini di unire le forze e arginare il progetto neoliberale di trasformare ogni relazione in una merce, commodificarla e considerare lecito agire processi di appropriazione fuori da ogni regolazione.

  1. Infrastrutture tecniche e tutela dei diritti

Il penultimo punto riguarda il ruolo delle infrastrutture. Il governo delle infrastrutture è molto importante per garantire le tutele. Quando queste cambiano è necessario modificare e adeguare le regole oltre che le pratiche per continuare a proteggere le persone. Le trasformazioni infrastrutturali, infatti, se non sono regolate, rischiano di travolgere i rapporti di forza e quindi le condizioni che avevano dato luogo ai diritti nei contesti infrastrutturali precedenti (cfr. Plantin et al. 2018).

Piattaforme e algoritmi rappresentano a tutti gli effetti una nuova infrastruttura lavorativa entro la quale rinegoziare il rispetto dei diritti, per esempio, a proposito dei tempi di lavoro, della regolazione della sorveglianza e del diritto alla privacy dei lavoratori che li dovrebbe garantire contro l’obbligo di cedere i dati personali ai fini di aumentare la capacità contrattuale delle piattaforme, anche a loro danno.

Quando sono arrivate le automobili è stato necessario costruire le strade, introdurre il codice della strada, con le sanzioni, la patente ecc. non è possibile adottare un nuovo processo tecnologico senza definire pratiche e regole per il suo corretto funzionamento.

L’ideologia della Silicon Valley – dove molte di queste innovazioni sono state concepite – è quella della disruption: prima facciamo come ci pare, rompiamo tutte le regole, le consuetudini che sono state valide finora, poi se c’è qualcosa da aggiustare lo faremo, ma solo dopo aver cambiato per sempre lo status quo a nostro vantaggio.

La promessa di libertà, come unico valore fondante delle proprie iniziative, è soltanto un metodo per giustificare e rendere accettabile a tutti la violenza del più forte. La libertà potrebbe funzionare in un mondo in cui i cittadini e le cittadine potessero davvero partire dallo stesso punto. Ma le disuguaglianze sono invece dolorosamente radicate nel passato. La retorica della libertà presume di considerare che tutti abbiano le stesse armi e la stessa forza contrattuale e possano confrontarsi alla pari. Purtroppo non è il mondo nel quale ci troviamo (Chun 2022). Riconoscere la disparità che è insita nelle relazioni di potere vigenti, amplificate dalle infrastrutture digitali che, come suggeriva anche Wiener (1950/1954, pp. 180-181), sono dei potenti accentratori di potere, significa mettersi in condizione di intervenire a sanare quelle disuguaglianze o almeno a non usare le infrastrutture come megafoni delle asimmetrie di potere.

Come dice Haraway, in Staying with the trouble (2016) dobbiamo convivere col problema, non possiamo concepire di vivere in un mondo ideale che non esiste. Eppure, per farlo occorre non rimuoverne i confini, le circostanze, le cause e le caratteristiche. Per questo è errato formulare un appello rivolto alla capacità di ognuno di essere imprenditore, assumersi i rischi in proprio e lavorare senza limiti. Se scegliamo come orizzonte la competizione presto o tardi diventeremo tutti perdenti, quindi è importante non lasciare che il mercato e la concorrenza siano gli unici principi guida, cercare modi per colmare il divario e costruire regole per non aggravarlo. I diritti servono perché anche i deboli o i marginali abbiano regole che consentano loro di far valere i propri bisogni e tutelare le loro aspirazioni a una vita accettabile, dignitosa e protetta, i cui rischi siano a carico della collettività e specialmente a carico di chi si appropria della maggior parte del valore prodotto con il loro lavoro.

  1. Non è necessario usare tutte le tecnologie che possediamo

L’ultimo punto riguarda le tecnologie e il loro utilizzo. Avere armi chimiche non significa usarle. Se esiste un coltello che mi permette di uccidere tutti quelli che mi stanno antipatici, ed è in mio possesso, non mi dà il diritto di usarlo; vigono nella società regole che lo vietano, come mostra anche la recente condanna della Remington, costretta a risarcire le vittime della strage alla scuola elementare Sandy Hook che sono state uccise proprio con le sue armi automatiche (Rainews, 2022).

Attenzione, quindi, a pensare che non possiamo fare a meno di usare tutte le innovazioni tecnologiche che produciamo e riflettiamo che il concetto di efficienza non si possa attribuire in assoluto a un sistema tecnico. Tale nozione è relativa all’insieme dei valori rispetto ai quali valutiamo la soluzione e all’ampiezza dei soggetti che beneficiano dei suoi vantaggi.

Un algoritmo che neghi la pausa, o penalizzi i lavoratori quando si disconnettono per malattia o sciopero non è efficiente per i lavoratori, né per la collettività, lo è solo nella logica del profitto senza vincoli e limiti. Tale logica non è accettabile per la società nel suo insieme perché la danneggia, la disgrega e deve essere combattuta.

L’efficienza non va misurata rispetto a un solo soggetto, per esempio i gestori delle piattaforme, ma alla relazione e alle condizioni di tutela di tutti gli attori interessati dalle medesime transazioni. Le relazioni che garantiscono la sopravvivenza dell’ecosistema dovrebbero essere prevalenti sulle esigenze dei singoli, ancorché potenti. La tutela deve riguardare ciò che è comune, cioè in questo caso i diritti dei lavoratori, e non il mercato che è uno spazio di appropriazione e che deve essere regolato da vincoli precisi. L’orizzonte delle relazioni che preservano l’equilibrio ecosistemico della società e contrastano l’eccesso di potere e l’accumulazione senza limiti dovrebbero avere la prevalenza rispetto alle leggi del mercato, che sono solo uno dei modi delle relazioni sociali e nemmeno il più efficiente rispetto agli interessi collettivi.

Note

1) Su questo si fa riferimento al lavoro dell’artista Elisa Giardina Papa che in un progetto del 2016 Technologies of care ha mostrato la conversazione con un potenziale corteggiatore di cui non sapeva se fosse una persona in carne e ossa o un bot addestrato da persone in carne e ossa. Il lavoro si chiama Technologies of Care, 2016. Excerpt: Worker 7: Bot? Invisible Boyfriend/Girlfriend? Vedi il sito http://www.elisagiardinapapa.org/ per maggiori dettagli.

Bibliografia

M. M. Bidetti – C. de Marchis Gòmez, L’algoritmo Frank è cieco, ma ci vede benissimo quando punisce chi sciopera, in Collectiva (02/01/2021), https://www.collettiva.it/rubriche/consulta-giuridica/2021/01/02/news/l_algoritmo_frank_e_cieco_ma_ci_vede_benissimo_quando_punisce_chi_sciopera-736020/

G. Chamayou, Teoria del drone. Principi filosofici del diritto di uccidere, DeriveApprodi, 2014.

A. Casilli, Schiavi del Clic, Feltrinelli, 2020.

W. H. K. Chun, Discriminating Data: Correlation, Neighborhoods, and the New Politics of Recognition. MIT Press, 2021.

K. Crawford, Né intelligente, né artificiale, Il Mulino, 2021.

E. Giardina Papa, Technologies of Care, 2016. Excerpt: Worker 7: Bot? Invisible Boyfriend/Girlfriend?, Accessibile su http://www.elisagiardinapapa.org/

M. L. Gray & S. Suri, Ghost work: How to stop Silicon Valley from building a new global underclass. Eamon Dolan Books, 2019.

D. J. Haraway, Staying with the Trouble. Duke University Press, 2016.

K. Marx, Il capitale Libro I (1867), I ed italiana 1886.

M. Marrone, Rights against the machines!, Mimesis, 2021.

J. C. Plantin – C. Lagoze – P. N. Edwards – C. Sandvig, Infrastructure studies meet platform studies in the age of Google and Facebook, New media & society (2018), 20(1), 293-310.

Rainews (2022) L’azienda produttrice delle armi risarcirà i familiari delle vittime del massacro di Sandy Hook, 15/02/2022, https://www.rainews.it/articoli/2022/02/lazienda-produttrice-delle-armi-risarcir-i-familiari-delle-vittime-del-massacro-di-sandy-hook–a00678c4-fa62-45aa-b536-c33588cdcee5.html.

Supiot A. (2015) La gouvernance par le nombre, Arthème Fayard, Paris.

Tamburrini G. (2020) Etica delle macchine, Carocci, Roma.

Wiener N. (1950/1954) The Human Use of Human Beings. Cybernetics and Society, Da Capo Press, London.