Accelerare in retromarcia: la città-azienda dei neoreazionari

di F. Sganga

Piccolo disclaimer: tutte le traduzioni dagli originali sono state fatte da me in modo decisamente artigianale. Leggo l’inglese ma non sono un traduttore e per alcuni termini mi sono servito dei vari dizionari online. Per un’idea il più possibile precisa del contenuto dei testi invito il lettore a seguire i link.

Nel mio stato neocameralista ideale non vi è libertà politica perché non vi è politica. Forse il governo avrà una scatola dei commenti in cui si potrà lasciare la propria opinione. Forse farà dei sondaggi di opinione e perfino delle votazioni. Ma non ci sarà organizzazione e nessuna ragione per organizzarsi perché nessuna coalizione dei residenti potrà influenzare la politica governativa tramite coercizione”

(Mencious Moldburg, Against political freedom)

Il meta-neocameralismo non decide che il governo dovrebbe diventare un’azienda. Riconosce che il governo è diventato un’azienda. Comunque, diversamente dalle aziende private che dissipano l’entropia tramite bancarotte e ristrutturazioni, i governi sono regolarmente le aziende peggio gestite nelle rispettive società, funzionalmente paralizzati da modelli organizzativi difettosi e strutturalmente disonesti, esemplificati perfettamente dal principio democratico: il governo è un’azienda che deve essere guidata dai suoi clienti.”

(Nick Land, Meta-neocameralism)

Nel variegato universo dell’accelerazionismo, ben descritto nell’agile volume di Tiziano Cancelli, non mancano riferimenti al tema della città. Fin dai tempi della theory-fiction del CCRU, infatti, le descrizioni della metropoli dei romanzi di Dick o Gibson e di film come Metropolis, Terminator o Blade Runner erano parte integrante di un immaginario che proclamava il superamento della modernità passando attraverso: tecnologie futuribili, ibridi uomo-macchina, intersezioni fra spazio fisico e virtuale. Non è un caso che una delle principali case editrici nate da quel milieu si chiami Urbanomic.

Come molti sanno uno dei maggiori animatori del CCRU, Nick Land, si è trasferito a Taiwan e poi a Shanghai all’inizio del terzo millennio: senza dubbio degli osservatori privilegiati per chi già negli anni ‘90 parlava di Neo-Cina guardando al peculiare miscuglio di stato autoritario e capitalismo come un percorso alternativo alla modernità occidentale (in crisi, ça va sans dire). In Cina, Land ha scritto su riviste per expat e ha collaborato con Anna Greenspan, autrice di un volume dal titolo “Shanghai Future: Modernity Remade” in cui la metropoli cinese viene presentata come solo apparentemente destinata a ripercorrere i passi delle grandi città occidentali. A Shanghai, sostiene Greenspan, è evidente che il tempo scorre in modo non lineare e il futuro non è qualcosa che deve avvenire ma esiste già, è sempre esistito e in qualche modo retroagisce sul presente:

[Questo libro] avverte nella Shanghai contemporanea la possibilità di un futuro completamente diverso che non è relativo ma reale e assoluto. Questo futurismo assoluto non appartiene alla storia lineare. Non è un punto di arrivo temporale che può essere definito in modo relazionale. Invece, questo futuro assoluto esiste oggi precisamente come è esistito prima, una presenza atemporale, un reame virtuale che ‘infonde retroattivamente il presente con i suoi effetti’. Vista in questo modo la ricapitolazione della modernità di ieri tipica di Shanghai non è dovuta a una coazione a ripetere. La città sta tentando di rianimare un futurismo perduto che è imprevedibile oggi come in passato. Quello che emergerà è impossibile da prevedere, pianificare o progettare dato che è, per definizione, del tutto imprevisto. Non sappiamo come apparirà la città cinese più orientata al futuro o quale futuro questa città creerà” (pag. XVI)

In queste righe c’è molto della visione landiana: il futuro come un qualcosa di già esistente (Gibson: “Il futuro è già arrivato, solo non è uniformemente distribuito”), l’iperstizione, la città come un organismo che si evolve secondo regole proprie (impossibili da pianificare), la modernità come parentesi che si chiuderà con l’intensificazione del capitalismo.

Ma lasciamo per un attimo Nick Land e attraversiamo il Pacifico, per approdare in un altro dei centri del mondo contemporaneo: la Silicon Valley. È qui che vive Curtis Yarvin, un programmatore che nel 2007 apre il blog politico Unqualified reservations in cui, con un tono che mescola cultura pop, gergo geek e saggistica, parla praticamente di tutto: relazioni internazionali, politica americana, fisco, macroeconomia, storia di altri paesi, antisemitismo. Yarvin in qualche modo è alt-right prima che questo termine diventasse celebre e, come tutta l’alt-right, ama dipingersi come un combattente per la libertà contro lo status quo, da lui definito “La Cattedrale”, mentre conia nuovi termini per vecchi concetti come il razzismo biologico (“human biodiversity”) o il fardello dell’uomo bianco. L’ideologia di Moldburg è composita ma egli si definisce innanzitutto reazionario in contrapposizione ai conservatori, che considera condannati alla sconfitta.

Fra i suoi molti scritti troviamo un lungo testo dal titolo “Patchwork: A political system for the 21st century” in cui si descrive un nuovo assetto del nesso Territorio/Autorità/Diritti basato su:

decine, o persino centinaia, di migliaia di mini stati sovrani e indipendenti, ognuno governato dalla propria società per azioni senza riguardo per l’opinione dei residenti. Se i residenti non apprezzano il governo possono e dovrebbero traslocare. Il design è: tutto exit, nessuna voice”

Abbiamo quindi presentato brevemente i due protagonisti del mondo NRx: un filosofo outsider secondo il quale il capitale e la tecnologia sono forze inumane e proprio per questo non ci si dovrebbe illudere di poterle controllare e un blogger giacobita che ritiene che i problemi politici del mondo contemporaneo risalgano alla fine della dinastia Stuart (1688). Come direbbe un celebre meme: cosa potrebbe andare storto?

Assemblaggio: la città neocamerale

Il patchwork è qualcosa di nuovo. Non deve sembrare il passato. Deve sembrare il futuro […] Nel futuro, il fatto che un tempo si sarebbe probabilmente stati aggrediti andando a Central Park di notte sembrerà assurdo. […] I graffiti saranno materiale per i musei, così come le gang. Nelle strade non ci saranno auto o saranno molto poche; le strade stesse saranno sicure, di notte saranno luminose e piene di gente vivace e felice. Il vino sarà economico, i ristoranti liberi da regolamentazioni e dell’ottima marijuana Eskimo sarà venduta liberamente. Questo è il tipo di patch in cui Io vorrei vivere”

(Mencius Moldburg, Patchwork: a political system for the 21st century)

Il sistema politico di Moldburg/Yarvin è un assemblaggio di città-stato governate con un sistema che viene definito inizialmente formalismo e in seguito neocameralismo allo scopo di evitare equivoci (“a Google-virgin word”).

Moldburg propone la scala cittadina perché assume che “piccolo è bello, locale è bello” e perché vede il suo patchwork come un nuovo “sistema operativo per il mondo”, che quindi deve essere testato in un contesto limitato. Il richiamo storico è al mondo feudale ma egli rivendica la libertà di prendere gli elementi necessari al suo sistema ovunque nel tempo e nello spazio, dato che le virtù principali con cui lo presenta non sono l’obbedienza a una tradizione ma la sicurezza e la stabilità. La sicurezza non è solo considerata importante ma è lo scopo primario di ogni comunità politica e per garantirla, sostiene Moldburg, è necessario che la sovranità sia assoluta come quella di un CEO all’interno di un’azienda, almeno fino a che non viene licenziato dagli azionisti. La legge deve essere per i residenti di un patch quello che sono i termini e condizioni d’uso per gli utenti di Second Life (nel 2008 SL suonava estremamente futuribile), e infatti si diventa residenti firmando un contratto.

Ogni patch regola i propri costumi liberamente ma, trattandosi di un’azienda che guadagna sulla base delle tasse che può imporre, ha tutto l’interesse a confezionare un pacchetto ben vendibile ai clienti/residenti per cui vi sarà l’incentivo a far rispettare lo stato di diritto pur in assenza di divisione di poteri e in generale di libertà politica:

Ci si può attendere che le patch garantiscano un sistema legale equo e coerente non per ragioni morali o teologiche, non perché siano obbligate a farlo da autorità superiori reali o immaginarie, ma per le stesse ragioni economiche che le obbligano a fornire un eccellente servizio ai clienti in generale. I beni immobili nei luoghi in cui vige lo stato di diritto sono molto, molto superiori dei beni immobili in cui ciò non accade, e il valore di una patch è il valore dei propri immobili.

Per quanto la teoria possa apparire bizzarra può essere tradotta in una frase che anche molti liberali approverebbero: il buon governo è un buon affare. O meglio: per fare buoni affari, serve un certo tipo di governo. Il punto è che per i neoreazionari le costituzioni e la divisione dei poteri non sono più un mezzo per il buon governo: per fare buoni affari e garantire il progresso serve qualcosa di più simile a un re pre-1688.

La forma di governo è descritta in maniera un po’ più articolata nel secondo capitolo di Patchwork. L’unica elezione è quella del Delegato (ovvero il CEO) da parte degli azionisti; tale delegato, il cui mandato è revocabile in ogni momento dalla maggioranza degli azionisti, esercita “un’autorità sovrana indivisa come nelle monarchie di diritto divino” e non avrà la possibilità di abusare della fiducia dei propri elettori in quanto tutte le armi saranno utilizzabili solo in possesso dell’appropriata chiave crittografica.

I residenti (subjects) non vengono molestati senza motivo dalle autorità (altrimenti potrebbero andarsene) ma lo stato esercita un controllo capillare così da garantire “una completa assenza di crimine”: sistemi di identificazione biometrica, database del DNA, videosorveglianza ubiqua e tracciamento degli spostamenti sono i metodi, non così fantascientifici, elencati da Moldburg.

Infine, dato che una saggia corporation cercherà di trasformare la sua città nel luogo più cool e più costoso possibile ci sarà certamente un certo gruppo di persone che non potrà permettersi di viverci, e che magari non sarebbero accettati nemmeno dalle patch vicine in quanto poco produttivi. Ebbene, nel caso la carità privata non si occupasse di queste persone, l’assemblaggio prevede una soluzione che non può che ricordare Le Tre stimmate di Palmer Eldritch: verranno virtualizzate, ovvero chiuse in piccole celle e immerse in un sistema di realtà virtuale che darà loro l’impressione di vivere una vita “ricca e soddisfacente”.

Se si mettono da parte tutti gli aspetti più pittoreschi dell’assemblaggio neoreazionario è evidente che il nemico di Moldburg è la democrazia politica, accomunata a fascismo e comunismo e differente da essi solo in grado: “Per un neocameralista il totalitarismo è democrazia in una forma maligna e conclamata”. E’ evidente qui come, nonostante il prefisso neo-, il topos sia quello di molti reazionari dal 1789 in poi: la democrazia e in generale la “libertà positiva” come massima minaccia alla libertà tradizionale e, in fondo, alla pace e prosperità dello stato.

Il termine “neocameralismo” deriva dal cameralismo di Federico di Prussia ma i riferimenti di Moldburg nel mondo contemporaneo sono altri: Singapore, Dubai, Hong Kong; i quali a loro volta sono fra gli esempi favoriti di Land fin dagli anni ‘90 per il loro “potenziale iperstizionale”. Piccoli territori in cui le istituzioni elette hanno un ruolo limitato e che basano la propria ricchezza sulla capacità di catalizzare flussi commerciali e finanziari; il fatto che le peculiari condizioni geografiche e storiche che hanno permesso il successo economico di queste realtà non sembrino facilmente replicabili non è un’obiezione valida per i neoreazionari dato sarà la dinamica stessa del capitale e della tecnologia a portare alla frammentazione degli stati nazionali.

L’illuminismo oscuro

The Dark Enlightenment è un testo profondamente deprimente, che immagina dei futuri urbani nichilisti, macchinici, diseguali (in termini di età, classe, genere, razza e altro), antidemocratici nei quali i soggetti umani sono semplici portatori di processi capitalistici senza restrizioni”

(R. Burrows, Urban Futures and The Dark Enlightenment)

L’illuminismo oscuro è la dimensione eclissata del pensiero illuminista. I suoi due grandi pilastri sono rappresentati da Hobbes e Malthus. Con lo stato di crisi culturale in cui versa oggi l’umanesimo ottimista di ispirazione Rousseauiana, possiamo anticiparne la ri-emergenza”

(Nick Land, Intervista)

L’incontro fra Moldburg e Land si concretizza in un lungo manifesto che quest’ultimo pubblica nel 2013, The Dark Enlightenment. In questo testo, assumendo la consueta posa provocatoria, il filosofo si lancia in una critica alla democrazia che lo conduce a presentare il neocameralismo di Moldburg come l’esito maggiormente desiderabile della disgregazione politica a cui il mondo è destinato. Come si arriva a questa mescolanza di massimo progresso tecnologico e reazione politica? Land comincia citando un articolo di Peter Thiel, in cui si sostiene l’incompatibilità fra democrazia e libertà, e per questo si afferma che “il grande compito dei libertari (nel senso che viene attribuito al termine nella politica USA, nda) è di trovare una via di fuga dalla politica in tutte le sue forme – dalla catastrofe totalitaria e fondamentalista del demos non pensante che guida le cosiddette socialdemocrazie”. In questa visione la politica non è un mezzo ma è in sé stessa il nemico perché per sua stessa natura porterebbe a un’estensione dello stato a detrimento della libertà, intesa fondamentalmente come libertà di disporre della proprietà.

Ma come uscire dalla politica? Thiel parla di tecnologie che possono creare nuovi spazi in tre ambiti: il cyberspazio, lo spazio esterno e le acque internazionali. Il progetto più promettente secondo l’autore sarebbe proprio la creazione di isole artificiali sottratte alla sovranità degli stati e l’articolo si conclude spiegando chiaramente quale sarebbe la posta in gioco:

Il destino del mondo potrebbe dipendere dallo sforzo di una singola persona che costruisce o diffonde le macchine che renderanno il mondo sicuro per il capitalismo

L’assunto di Land è che democrazia e capitalismo non viaggiano in coppia, ma anziché favorire la prima, come da buona educazione liberal o di sinistra, ritiene che società dovrebbe puntare tutto sul secondo. Nella sua visione la prosperità che l’occidente ha conosciuto con la modernità dipende dall’evoluzione tecnologica, a sua volta frutto del capitalismo in quanto rapporto sociale che massimizza i feedback positivi.

La democrazia e in senso più generale la politica, al contrario, sarebbero parassiti sul corpo del capitalismo e avrebbero inoltre un effetto controproduttivo in quanto finirebbero per incoraggiare l’espansione dello stato e quindi, attraverso il welfare, i comportamenti (ma anche le personalità) economicamente meno produttive. La democrazia produce feedback negativi: ecco trasformato in gergo cibernetico il buon vecchio punto di vista conservatore sullo stato sociale che “incoraggia a stare sul divano” e la necessità di incoraggiare i comportamenti virtuosi premiando il duro lavoro di chi accumula profitti nel mondo della competizione.

Questo il punto focale del ragionamento di Dark Enlightenment, che si conclude con una lunga digressione sulle tensioni razziali negli Stati Uniti e le loro conseguenze sulla forma delle città: la fuga dai centri cittadini da parte dei bianchi sarebbe una forma di exit e dimostrerebbe la tesi dell’importanza della sicurezza nonché l’effetto controproducente delle politiche antidiscriminatorie adottate a partire dagli anni ‘60.

Fa un certo effetto vedere presentate certe tesi come forse spiacevoli ma “realiste” quando la crisi del 2008 ha dimostrato che il sistema finanziario (quello in cui in teoria i feedback positivi sono più immediati) ha avuto bisogno di migliaia di miliardi di denaro pubblico per non crollare ed è comunque stato il punto di partenza di una crisi economica globale che non sembra essere mai terminata. Del resto lo stesso Moldburg non esita a usare quella crisi come un esempio dell’irresponsabilità finanziaria degli stati democratici per cui…

In un’ottica più generale, chi conosce anche solo superficialmente l’operaismo non potrà fare a meno di notare la grande assente nel discorso neoreazionario: la lotta di classe. Chi ha frequentato gli autori di questa area del marxismo, infatti, sa bene che l’innovazione tecnologica non nasce per impulso autonomo del capitale ma principalmente in risposta all’innalzamento del costo del lavoro dovuto alle lotte operaie. Non a caso la Neo-Cina reale sta cercando di risalire la catena del valore delle merci anche perché vi è una dialettica fra lotte e sviluppo (sotto il controllo del capitalismo di stato) che Europa e USA hanno conosciuto alcuni decenni fa. Si tratta di un’assenza che comunque non sorprende dato che lo sguardo di Land non è mai stato storico o sociologico ma, fin dai tempi del CCRU, ambisce a descrivere il mondo in termini biologici, chimici, geologici. Scrive Cancelli citando Kulesko:

La replicazione e la trasformazione del megaorganismo cittadino, l’automazione delle sue infrastrutture, la circolazione dei flussi di merci e denaro attraverso di essa, l’accumulazione delle conoscenze: tutto sta a indicare la possibilità di un risveglio dell’intelligenza metropolitana. La selezione darwiniana, applicata alle città, risparmia e promuove solo gli assemblamenti più forti, più rapidi e più intelligent; consolidando sempre più il corpo e l’anima della città, rendendola senziente” (pag. 96)

Affinità e divergenze

“Abbiamo bisogno di costruire una società ad accesso volontario, al di fuori degli Stati Uniti, guidata dalla tecnologia…Abbiamo bisogno di fare l’esperimento, di mostrare come sarebbe una società guidata dalla Silicon Valley senza coinvolgere nessuno che preferisca vivere nella Paper Belt (assonanza con ‘Bible Belt’ che allude alla burocrazia degli stati tradizionali, nda). La parte migliore è questa, la gente che pensa che sia bizzarro, la gente che ridacchia della frontiera, che odia la tecnologia non ci seguirà lì” (Balaji S. Srinivasan, “discorso alla Y Combinator Startup School del 2013)

Siamo alle conclusioni e una prima, legittima domanda potrebbe essere già emersa: perché occuparsi di tutto questo? Non si tratta in fondo di un blogger di nicchia e di un filosofo che ha detto le cose più interessanti più di vent’anni fa? Sicuramente il punto di partenza è una parentela che, tramite il CCRU, unisce Land con dei teorici che sentiamo vicini come Mark Fisher o il duo Srnicek-Williams di “Inventare in futuro”. Questa parentela ci porta a riflettere sulle conclusioni a cui giunge Land e in particolare a esplorare il percorso tramite cui il “radicalismo ostile allo stato” (Virno) e una visione positiva delle tecnologie lo conducono a posizioni apertamente reazionarie.

In secondo luogo Moldburg. Certo, si tratta di un blogger come ce ne sono molti, non di un autore riconosciuto né di un esponente di quei think tank che negli USA fanno da incubatori di idee per i partiti. Tuttavia le sue proposte sono state sostenute da Peter Thiel, fondatore di Paypal e Palantir nonché fra i principali azionisti di Facebook e finanziatore di Clearview AI, una startup che sviluppa e vende sistemi di riconoscimento facciale alla polizia americana. Thiel ha anche finanziato con 500 milioni di dollari il progetto Seastanding guidato da Patri Friedman, nipote di Milton, a segnalare un’altra parentela, quella fra neoliberali e neoreazionari.

La stessa elezione di Trump pur non essendo semplicemente espressione di una galassia di estrema destra è vista come una vittoria sia dai libertarian che dai neoreazionari, nella misura in cui segnala una crisi del sistema politico tradizionale. Dalle cronache degli intrecci fra affari, estrema destra e mondo politico l’impressione che emerge è quella di un romanzo di Ellroy: anarcocapitalisti e statalisti; cappellini “MAGA” e fautori della disgregazione degli Stati Uniti; razzisti che misurano il QI e razzisti che mettono in guardia dal complotto ebraico; programmatori e avvocati; in comune: il machismo e l’idea che l’America debba essere bianca. Tutto si tiene e ognuno gioca la sua partita, con la convinzione che il futuro sia finalmente contendibile nella crisi dell’egemonia liberal.

Infine, l’ambiente NRx è sicuramente una nicchia che forse ha anche già terminato il suo ciclo di vita nelle subculture della rete ma ciò che è interessante non è tanto discutere del neocameralismo come opzione realistica quanto del suo essere rivelatore di un modo di vedere la politica che nel mondo tech va ben oltre la cerchia dei fan di Moldburg.

Il concetto di Exit, iper esempio, è centrale nella “Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio”, il documento stilato nel 1996 dal fondatore dell’EFF John Perry Barlow:

Governi del Mondo, stanchi giganti di carne e di acciaio, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della Mente. A nome del futuro, chiedo a voi, esseri del passato, di lasciarci soli. Non siete graditi fra di noi. Non avete alcuna sovranità sui luoghi dove ci incontriamo”

In generale tutta la cultura cyber degli anni ‘80 e ‘90 è permeata dall’ideale libertario e immagina (e in qualche modo costruisce) continuamente delle comunità che sfuggono al controllo statale, incontrandosi negli spazi virtuali o nelle TAZ dei rave illegali. Questa cultura ha come riferimento la figura del pirata e, pur non essendo apertamente anticapitalista, diffida dello stato perché diffida delle gerarchie e non ama le grandi corporation perché limitano la circolazione delle informazioni. Con l’arrivo dei venture capitalist e il successo delle piattaforme commerciali il pirata verrà sostituito dal corsaro.

Un esempio di exit per l’1% (ma anche molto meno) è per esempio la proposta di Seastanding. un think tank presieduto da Patri Friedman che promuove la costruzione di isole artificiali in cui sia possibile sperimentare regole diverse da quelle in vigore negli stati esistenti, considerati ormai troppo sclerotizzati per trovare soluzioni innovative ai problemi della società. Parlando del progetto Thiel lega l’idea di utopia con la figura dell’imprenditore:

Una questione simile emerge quando le persone aprono una nuova azienda anziché lavorare in una grande impresa già esistente […] Il motivo per cui le persone aprono una nuova azienda è che vogliono una certa libertà per esplorare cose nuove. È questo il motivo per cui si avvia un nuovo business. C’è una domanda: se puoi avviare un nuovo business perché non potresti aprire un nuovo paese?

Anche Larry Page di Google ha parlato della necessità di spazi con regole diverse, auspicando una versione tecnologica del Burning Man. Lo scopo è di avere a disposizione un luogo in cui “provare cose nuove e testare il loro effetto sulla società e sulle persone senza doverle dispiegare nel mondo reale”. Infine, non possiamo dimenticare Elon Musk con i suoi progetti di colonizzazione di Marte.

I neoreazionari o i visionari della Silicon Valley non sono gli unici a parlare di nuove configurazioni territoriali e di superamento dello stato nazione. Parag Khanna, ex consigliere di Barack Obama e ricercatore proprio presso l’università nazionale di Singapore, ha dedicato un libro alla “rinascita delle città stato”, il cui titolo originale è “Technocracy in America. The rise of the Info-State”. Anche secondo Khanna andiamo verso un ordine internazionale in cui il peso degli stati-nazione tenderà a diminuire in favore delle grandi metropoli, delle macroregioni e degli assemblaggi continentali come l’UE ma, in un’ottica meno apocalittica rispetto a quella NRx, pensa che questo processo sarà accompagnato da una riconfigurazione delle istituzioni della democrazia in favore di una “tecnocrazia diretta” basata su alti livelli di istruzione per tutta la popolazione, in cui una nuova aristocrazia dei dati costituirà la struttura permanente dello stato a controbilanciare i rappresentanti eletti direttamente. Khanna applica lo schema platonico della degenerazione delle forme di governo e sostiene che la disfunzionalità dei sistemi rappresentativi e la loro incapacità di produrre decisioni efficaci derivino da un “eccesso di rappresentanza e un deficit di amministrazione“ (ovvero di tecnocrazia) e ciò condannerà all’irrilevanza gli stati che non sapranno adattarsi. Al contrario, la prosperità sarà garantita a chi meglio intercetta e dirige i flussi di ricchezza, in una riedizione high tech del primo capitalismo mercantile, con Singapore, Dubai e la Svizzera al posto di Venezia o Amburgo.

Abbiamo quindi una visione reazionaria e una liberal del ruolo delle città nell’economia politica del XXI secolo, quella che al momento sembra solo accennata è una strategia che sappia mettere al primo posto chi le città le abita, le fa funzionare e le nutre andando oltre le parole d’ordine della rendita, del profitto e della competizione.