L’assenza di costrizioni naturali: l’umanità di fronte alla nuova grande contraddizione

di M. Parretti

Introduzione

Quando gli ominidi assunsero una posizione eretta stabile ed usarono gli arti superiori, ormai liberati dall’attività di deambulazione, per sostenere e proteggere i cuccioli, provocarono un paradosso nella selezione naturale, che favorì la sopravvivenza dei soggetti con uno sviluppo più lento, rispetto ai soggetto con sviluppo precoce.

Infatti, “paradossalmente”, cominciò a sopravvivere più facilmente il cucciolo dallo sviluppo più ritardato perché, restando più a lungo con i genitori, era comunque protetto ed apprendeva non solo dall’apparato istintuale e sensoriale, trasmesso geneticamente, ma anche dalla esplicita “trasmissione intergenerazionale dell’esperienza e dei comportamenti”.

La selezione naturale in un ambiente sociale determinò la sostituzione degli istinti con le pulsioni, la formazione dei meccanismi psichici del pensiero inconscio e della struttura cognitiva.

Una lunga selezione naturale di 7 milioni di anni produsse una mutazione genetica che dotò gli umani delle caratteristiche “psichiche” necessarie alla lunga coesistenza dei cuccioli con gli adulti ed a trasmettere l’esperienza e le conoscenze alle generazioni successive, quindi la possibilità di contenere le spinte degli istinti (trasformati in pulsioni, procrastinabili), i meccanismi di difesa, i tabù, la “interiorizzazione” nel pensiero inconscio delle regole comportamentali sociali “apprese”, la capacità di un “pensiero astratto” che coordinasse le norme in un sistema coerente ed infine la capacità di cogliere le contraddizioni ed assimilarle modificando la “struttura cognitiva”.

Rispetto alla trasmissione genetica dei comportamenti come istinti, che affida alla casualità la possibilità di dar luogo ad un mutamento, che sia poi positivamente ratificato dalla selezione naturale, la trasmissione intergenerazionale diretta dell’esperienza ha la caratteristica della cumulabilità dell’apprendimento delle azioni e dei comportamenti più favorevoli alla riproduzione dell’esistenza. I comportamenti acquisiti, non solo permettono una più facile riproduzione della propria esistenza, ma anche un miglioramento del sistema stesso di apprendimento, come lo sviluppo del linguaggio, della scrittura, delle pratiche mistiche e poi scientifiche.

Così la trasmissione intergenerazionale dell’esperienza rappresentò una crescita esponenziale della capacità di sottomettere la natura circostante alla soddisfazione dei bisogni umani primari, legati alle caratteristiche genetiche, e secondari, generati dallo stesso carattere sociale della trasmissione dei comportamenti.

Questa crescita esponenziale, giunti al capitalismo maturo, sta determinando un secondo paradosso, un paradosso economico ed antropologico, la cui caratteristica è sconvolgente e che costringe gli umani ad una nuova metamorfosi dei comportamenti e del loro pensiero, che cozza con quelle caratteristiche genetiche, che la selezione naturale produsse per esseri umani, che erano allora poco più che animali evoluti.

Qual è questo nuovo paradosso, che ora ci troviamo di fronte e che ci obbliga a comportamenti profondamente contrari a quella base pulsionale ed a quell’apparato sensoriale, residuo della nostra genetica “animalità”?

La società umana è arrivata ad un livello di sviluppo della conoscenza della realtà, da poter soddisfare tutti i bisogni umani primari, cioè legati alla base pulsionale ed all’apparato sensoriale.

Riesce anche a soddisfare i crescenti bisogni secondari perché, pur essendo questi tendenzialmente illimitati, in quanto generati dalla stessa socialità, l’aumento della produttività cresce ancora di più, esponenzialmente. Allora, nonostante la possibilità di crescita illimitata dei bisogni secondari, il ritmo di tale crescita risulta minore di quello dell’aumento della produttività.

Quindi la soddisfazione dei sempre crescenti bisogni umani avviene con sempre minore lavoro.

La caratteristica poi del poco lavoro necessario residuo è quella di essere quasi totalmente mentale e l’interazione con la realtà circostante avviene per mezzo di macchine sempre più sofisticate ed autonome, che sostituiscono quasi ogni attività fisica umana.

Inoltre la sostituzione del lavoro umano si spinge anche anche alle attività mentali, purché esse siano definibili con il linguaggio, siano standardizzabili e quindi programmabili.

La telematica e la robotica si frappongono tra la realtà fisica e la mente e mutano la stessa fenomenologia umana.

Guardando uno schermo, ascoltando un altoparlante, parlando ad un microfono, pigiando una tastiera, ogni essere umano può scrivere, editare e stampare un libro, costruire un pezzo tridimensionale complesso, assemblare un’auto, tornire, fresare, inserire su delle schede milioni di componenti in una giornata, seguire per anni un corso universitario e laurearsi, ricevere assistenza medica, una diagnosi ed una terapia, comporre la musica e registrare un concerto, preparare e dare una conferenza per un uditorio sparso tra Pechino, New York, Santiago, Pretoria e Stoccolma.

Ogni essere umano è ormai costantemente in comunicazione con tutti gli altri e riceve la soddisfazione dei propri bisogni sempre più da automi, che sostituiscono progressivamente le sue attività necessarie di interazione con la realtà fisica.

La velocità di crescita esponenziale di sostituzione robotica e telematica degli umani rende quindi l’essere umano potenzialmente “libero dalle necessità” per un tempo sempre maggiore e deve trovare un impiego a quel tempo libero, cambiando il suo pensiero e la rappresentazione che egli ha di se stesso almeno con la stessa velocità. Altrimenti, mantenendo il meccanismo capitalistico di soddisfazione dei suoi bisogni, questo si impadronisce di quel tempo per saturarlo con nuovi bisogni, indotti artificialmente dalla stessa scienza e dalla attività lavorativa umana.

Nel tempo di lavoro gli umani agiscono per ideare e costruire per se stessi nuove catene, a cui si trovano assoggettati nel loro tempo libero.

Non solo dunque il tempo di lavoro rimane obbligato ad una attività eterodiretta, alienata, ma tutto il tempo disponibile. Gli umani non solo non riescono a riprendere in mano quel tempo di lavoro alienato, ma tutta la loro vita, anche quella del cosiddetto “tempo libero”, rischia di essere, progressivamente ed inutilmente, sottomessa al capitale.

Per capire la portata di questa nuova svolta dell’umanità, dobbiamo esaminare lo svolgimento dell’ultima parte del processo, quella che parte dallo sviluppo del capitalismo.

L’epopea del capitalismo: dalla miseria all’abbondanza

Se consideriamo la storia dello sviluppo capitalista del primo mondo in termini macroeconomici, possiamo osservare tre fasi:

  1. quella iniziale, nella quale l’offerta di denaro era inferiore alla sua domanda (per cui i prestiti avevano un tasso di interesse reale positivo), mentre l’offerta della merce forza lavoro era superiore alla sua domanda (perciò i salari reali erano compressi dalla concorrenza tra i lavoratori, quindi aumentavano poco rispetto all’aumento di produttività e lasciavano insoddisfatti molti bisogni primari).
    Ciò permetteva che grandissima parte del prodotto netto fosse destinata all’accumulazione di capitale e che si creassero grandi infrastrutture ed un aumento enorme della produttività.

  2. quella dopo la prima crisi capitalista (dovuta ai salari troppo bassi rispetto alla produttività, che rendevano il prodotto reale costantemente inferiore a quello potenziale e nuovi investimenti non necessari). In questa seconda fase la spesa pubblica crescente poteva sostituire la troppo scarsa crescita dei consumi dei lavoratori salariati.
    Questa seconda fase era caratterizzata dalle politiche keynesiane di piena occupazione, da una spesa pubblica crescente, con realizzazione di grandi diritti sociali, come sanità, scuola, trasporti, aumento dell’occupazione e dei salari (che seguivano l’aumento di produttività), ma anche crescita delle spese fisse improduttive per creare nuovi bisogni e nuovi consumi.

  3. quella dopo la crisi dello stato sociale, dove la soddisfazione dei bisogni primari da parte della maggioranza della popolazione, nonostante le sempre maggiori risorse dedicate a “creare” nuovi bisogni secondari “effimeri e superflui”, provocava una crescita della propensione marginale al risparmio, la necessità della crescita del debito pubblico degli stati e/o della svalutazione delle monete (inflazione), fino ad arrivare ad una crescita dei consumi inferiore all’aumento di produttività e dunque alla condizione di offerta di denaro superiore alla domanda e di un interesse reale NEGATIVO.
    L’adozione di politiche neoliberiste portò alla progressiva soppressione dei diritti acquisiti nella fase 2, alla esplosione della disoccupazione ed alla caduta dei salari e dei diritti dei lavoratori.

Dal punto di vista economico dunque il primo mondo si trova oggi nella condizione in cui:

  1. Il denaro e gli investimenti monetari NON RENDONO (tassi di interesse reale negativi).

  2. I salari reali ed i diritti dei lavoratori diminuiscono ed aumenta la disoccupazione e la precarietà dei lavoratori.

  3. Il PIL decresce perché la parte del PIL “privata” decresce e dunque lo stato deve ridurre anche la parte del PIL “statale” altrimenti dovrebbe aumentare le tasse o andare in deficit.

  4. L’accumulazione capitalista in termini di economia reale è interrotta ed il valore dello stock di capitale reale decresce.

  5. La maggior parte del poco lavoro ancora “necessario” è reso necessario solo dal capitale ed è improduttivo.

  6. Orari di lavoro di meno di dieci ore settimanali sarebbero sufficienti se si eliminassero tali costi improduttivi

  7. Già è presente il fenomeno di molte persone che, di fronte alla mancanza di un’attività lavorativa, indipendentemente dal reddito di cui godono, entrano in depressione o cercano un’attività produttiva utile, anche se non retribuita.

La fine dell’epopea e lo sconcerto: l’umanità “senza bisogni da soddisfare”

Se ragioniamo in termini di ingegneria macroeconomica, è possibile delineare un meccanismo economico alternativo al capitalismo, anche se si presenta la difficoltà che i membri della società comprendano ed adattino il loro pensiero alla nuova realtà che contraddice l’esperienza storica di una popolazione costantemente costretta all’indigenza ed alla carenza di risorse, alla quale l’umanità è abituata e che corrisponde perfino a quanto la selezione naturale ha impresso nel suo genoma. In questo c’è anche la capacità di procrastinare le pulsioni e di adattare il pensiero a sempre nuove relazioni sociali, ma è difficile interiorizzare ed adattare le categorie mentali dell’umanità all’abbondanza di risorse ed al fatto che, nonostante la maggior parte del lavoro sia ormai necessario solo a creare nuovi bisogni, piuttosto che a soddisfare quelli già acquisiti, lo sviluppo tecnologico è così veloce, da indurre un aumento della produttività maggiore perfino di quanto sarebbe sufficiente a soddisfare i nuovi bisogni “artificialmente” creati. Insomma l’umanità fatica a capire che la crescita della capacità di soddisfare i bisogni è maggiore della capacità di crearne di nuovi.

Per questo, seppure sia possibile individuare alcuni punti chiave di una società che superi le contraddizioni del capitalismo, come ad esempio:

  1. permettere e favorire la creazione di imprese, la cui proprietà non sia “privata”, ma degli stessi lavoratori, che hanno già trovato storicamente, sia modalità di ripartizione del fondo salari, sia modalità di organizzazione gerarchica e funzionale dei compiti.

  2. Pianificare la domanda (rilevando statisticamente i reali bisogni e l’emergere di nuovi) e l’offerta (limitando il numero dei concorrenti che soddisfino i bisogni rilevati)

  3. Limitando o penalizzando (fiscalmente) la formazione di risparmi monetari, favorendo invece la formazione di meccanismi previdenziali ed assicurativi universali (pubblici) con meccanismi a ripartizione (dei rischi e dei costi).

  4. Limitando o penalizzando (fiscalmente) lo svolgimento di attività lavorative remunerate aldilà di quelle necessarie alla produzione dei soddisfattori dei bisogni effettivi.

  5. Limitando o penalizzando la produzione di consumi e le attività, che mettano a repentaglio la salute e l’integrità, fisica e psichica, delle persone o gli equilibri dell’ambiente.

  6. ……………… ecc. ecc.

ci rendiamo conto che queste “nuove modalità di produzione e riproduzione” della società e dei suoi membri generano smarrimento nei comportamenti delle persone in quanto improntate ad una condizione mai sperimentata nella storia dell’umanità di eliminazione della miseria e di soddisfazione dei bisogni umani.

Purtuttavia l’affermazione di una nuova teoria economica scientifica che, partendo dalle teorie economiche di Marx e Keynes, sappia confutare i dogmi e le vere e proprie sciocchezze delle teorie economiche attualmente prevalenti, è possibile e matura.

La sua divulgazione nella società potrebbe cambiare il senso comune su tali argomenti e far comprendere a tutti che l’organizzazione sociale deve adeguarsi alle nuove condizioni di prosperità economica che l’umanità ha finalmente raggiunto.

Tale condizione inoltre sembra corrispondere alla definizione di società comunista di Marx ed Engels, quella in cui “da ciascuno secondo le proprie capacità ed a ciascuno secondo i propri bisogni” (Marx 1974, p.962), ben lontana da quella della vulgata, in cui “tutti danno e ricevono lo stesso perché siamo tutti uguali” e spiegherebbe in modo chiaro e preciso come i membri della società potrebbero dividersi il lavoro e scambiarsi i prodotti aldilà del valore di scambio e del rapporto di denaro. Appare anche chiaro come ciò avverrebbe secondo i principi del materialismo storico. Infatti l’umanità produrrebbe, nella prassi, inconsapevolmente e nella reciproca indifferenza, le condizioni in cui ciascuno desidera liberamente dare secondo le proprie capacità, come libera realizzazione di se stesso, senza avere l’intenzione consapevole che questo determini che ciascuno possa ricevere secondo i propri bisogni, anche se “incapace” di fornire il lavoro ad esso necessario, come un bambino o un vecchio o un malato o un disabile.

Solo “successivamente” e “faticosamente” la società metabolizzerebbe e riuscirebbe ad apprezzare che è nell’interesse di ognuno che “ciascuno riceva secondo i propri bisogni” e che è anche nell’interesse di ognuno, affinché lui stesso possa vivere meglio, che il suo vicino non viva nella miseria e nel degrado.

Lo sconcerto latente: l’umanità “vuota di senso”

Purtroppo esiste un’altra causa di sconcerto reale dell’umanità e non riguarda i rapporti economici tra i membri della società, ma ha a che fare con la natura psicologica ed antropologica dell’essere umano e riguarda la sua identità psichica e sociale, cioè la rappresentazione che egli ha di se stesso e che è determinata socialmente.

Detto più semplicemente, ogni soggetto si sente caratterizzato da una molteplicità di “sue qualità”, che in realtà rappresentano il suo essere parte di un “soggetto collettivo”, come essere.

Un elemento fondamentale di questa identità è il lavoro, cioè l’attività attraverso la quale, collettivamente, ciascuno riesce a procacciare la soddisfazione delle proprie necessità per se stesso, i suoi familiari ed i suoi vicini.

Per questo le relazioni sociali produttive e riproduttive determinano quelle complessive e determinano anche le forme del pensiero, che è perciò “storicamente determinato” in quanto “socialmente determinato”; in buona sostanza il pensiero è il risultato dei comportamenti posti in atto per la riproduzione e quindi “l’etica determina il pensiero”.

Allora quello stesso processo che ci libera dalle necessità, rende meno opprimenti i doveri sociali e maggiori le soddisfazioni dei propri bisogni, rivela come la libertà non sia qualcosa di dato in se stessa, un concetto definito da un suo carattere a se stante, ma sia piuttosto caratterizzata dall’assenza di una costrizione, per cui non posso semplicemente ed astrattamente essere libero o essere “sempre più libero”, “indefinitamente”, ma posso solo essere libero da qualche cosa, libero da qualche necessità (di cui mi libero quando riesco a soddisfarla).

Dunque la mia libertà è costituita dall’assenza di costrizioni, dall’assenza di bisogni insoddisfatti, dall’assenza di lavoro, ma, mentre questo lavoro necessario diminuisce ed aumenta la gratificazione del piacere e la scarica libidica, diminuisce anche l’attività che mi lega alla società ed attraverso cui mi identifico, fino al punto in cui l’assenza di un’attività lavorativa sufficiente provoca la depressione. In alternativa, la persona può cercare la propria realizzazione nella continua ed illimitata ricerca del piacere, ma in tal caso l’eccessiva scarica libidica fa emergere l’istinto freudiano di morte e perverte il suo rapporto con la società, dalla quale si aspetta che gli fornisca, magari a pagamento, ogni soddisfazione libidica.

Se dunque le persone coltivano l’illusione che il rapporto di denaro possa mettere gli altri al servizio della propria libido, come l’idea che tutta la persona possa essere comprata e non soltanto la sua capacità lavorativa, esse diventano preda del delirio di onnipotenza e di perversione nelle loro relazioni sociali, che finiscono per essere assimilate alle tradizionali forme di prostituzione, dalla innocua compagnia a pagamento per soddisfare la solitudine, all’utero in affitto per soddisfare il delirio di un’impossibile genitorialità.

Se d’altro canto le persone rimangono nell’ambito di una libertà dal bisogno che si arresta di fronte alla libertà dell’altro (cioè che non libera qualcuno da una necessità imponendo una costrizione ad un altro), si trovano nella necessità di ridare un senso al “tempo libero”, cioè al “tempo in cui non svolgono un’attività per gli altri”, che di per sé è solo tempo “vuoto” e debbono trovare una attività non produttiva che permetta la loro realizzazione personale ed eviti loro la depressione.

Il grande dilemma è se e come trovare lo spazio ed il modo per costruire delle relazioni sociali non produttive, ne’ riproduttive, che possano soddisfare l’ultimo dei bisogni rimasti, proprio quello di socializzare, oppure lasciare che il “tempo libero” sia riempito da parodie ludiche, oggetto di attività economica ed imposte mediante i condizionamenti psichici, come la pubblicità continua, subita fin dall’infanzia.

Se la soluzione “economica” è difficile da immaginare, lo è molto di più la soluzione “antropologica”. Ma è fondamentale definirla per poter anche solo abbozzare una società che superi il capitalismo e che possa essere prima almeno immaginata e poi desiderata dai membri della società, per poter poi essere realizzata.

La rivoluzione aldilà della “umanità conosciuta”: l’etica determinata dal pensiero conscio

La questione della possibilità di esistenza di una libertà “positiva” (distinta da quella “negativa”, fin qui esaminata, cioè come assenza della necessità) è stata posta filosoficamente già da tempo, ad es. da Berlin, che distingue la “libertà da” (negativa) e la “libertà di” (positiva) (Berlin 2010).

La libertà positiva dunque sarebbe la capacità di “autodeterminazione”, la capacità cioè di scegliere le proprie azioni.

Ma il punto è proprio questo.

Si tratta di capire scientificamente (cioè alla luce delle attuali scienze umane, come la psicologia, la psicoanalisi e l’antropologia culturale), se e come sia “fattualmente” possibile la costruzione di una fenomenologia umana che contempli una tale “libertà positiva”, nel senso specifico di una “capacità di creare le motivazioni ai propri comportamenti”, senza condizionamenti psicologici esogeni ed aldilà della spinta delle pulsioni e dell’apparato sensoriale umano, dove le “nuove” relazioni sociali produttive e riproduttive, ormai essenzialmente “cooperative”, possano determinare un pensiero ed una motivazione a “comportamenti relazionali cooperativi” anche nelle “relazioni sociali non (ri)-produttive”, ormai “quantitativamente prevalenti”, cioè in un “tempo libero” che ormai supererebbe largamente il “tempo di lavoro”.

I meccanismi psicologici individuali (il principio del piacere e la soddisfazione dei bisogni primari, geneticamente determinati, e la costruzione dell’identità dell’Io e del superIo) possono trasformarsi quando la soddisfazione del piacere e dei bisogni primari arriva al limite in cui prevarrebbero l’istinto di morte o la perversione?

I meccanismi sociali di costruzione del pensiero (a partire dalla necessità di soddisfazione dei bisogni e delle relazioni sociali (ri)-produttive), possono trasformarsi quando il tempo di lavoro, cioè il tempo necessario a soddisfare TUTTI i bisogni, si riduce tanto, da mettere in discussione la propria identità psichica ed il “tempo libero dalla necessità”, cioè il tempo in cui si danno relazioni sociali definitivamente non (ri)-produttive, tende ad occupare la quasi totalità del tempo umano disponibile?

Insomma, se abbiamo riscontrato, (ad es. con la metapsicologia di Freud e con il materialismo storico di Marx), che i comportamenti acquisiti per riprodursi determinano inconsciamente l’identità sociale ed il pensiero conscio, cioè “l’etica determina il pensiero”, è possibile che l’umanità passi ad una “nuova fenomenologia umana” in cui “il pensiero determina l’etica”?

Credo che questa sia la condizione affinché il cosiddetto “tempo libero” possa essere “positivamente” libero, cioè autodeterminato, altrimenti sarà difficile uscire dalle attuali relazioni sociali “produttive” dove l’attività umana ha bisogno di continuare ad impegnarsi socialmente per produrre sempre nuove catene (bisogni esogenamente indotti) da cui costringere singolarmente i membri della società a liberarsi.

Nel primo mondo questa è attualmente la funzione che svolge il capitale e che è la più difficile da sostituire. Se l’umanità non riesce a passare ad un’etica determinata dal pensiero (conscio), soltanto uno stato oppressivo ed autoritario potrebbe sostituire il capitale.

Questa idea di uno stato che sostituisca il capitale nel dettare e regolamentare i comportamenti individuali continua e forse continuerà a circolare, se un nuovo modo di produrre nel sempre minore “tempo di lavoro necessario” mediante una “cooperazione nella reciproca indifferenza” (cioè il socialismo) non riuscirà ad insegnare ai membri della società, mediante “nuove relazioni sociali produttive e riproduttive”, a cooperare nella reciproca indifferenza anche nel “tempo libero” senza costrizioni esterne, permettendo la nuova rivoluzione mentale “copernicana” di un pensiero (conscio) che determini l’etica.

Bibliografia

I. Berlin, La libertà, Feltrinelli, Roma 2010.

K. Marx, Critica al programma di Gotha, in Marx-Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 1974.