di S. Cacciari
Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo l’introduzione di La finanza è guerra di SIlvano Cacciari, La casa Usher, Firenze, 2023 un viaggio vertiginoso verso l’universo che si apre a partire dall’osservazione antropologica dei conflitti connessi alla moneta e ai suoi derivati”
Introduzione
Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi, la superficie della globalizzazione è stata incrinata da due fenomeni: il ritorno della guerra, dal sanguinoso conflitto interjugoslavo a quello russo-ucraino, e l’esplosione di crisi finanziarie anticipate negli USA degli anni ‘80 e proseguite a livello planetario dai ‘90. Dopo aver combattuto due guerre mondiali, il pianeta che veniva consegnato alle generazioni successive, nonostante la guerra fredda, sembrava così pronto ad contenere questi fenomeni. E’ poi accaduto , a quarant’anni dalla nascita delle Nazioni Unite e da Bretton Woods, che i presupposti degli accordi per la prevenzione delle guerre e per la limitazione della circolazione dei capitali, ritenuta la causa della crisi del ’29, nel corso degli anni hanno cominciato a scricchiolare per venire definitivamente meno tra il crollo di Wall Street (1987) e la caduta del Muro (1989). Poiché la storia non si ripete mai allo stesso modo, all’alba degli anni ’90, la guerra e le crisi finanziarie si presentavano in modo diverso da inizio secolo: invece di enormi eserciti combattenti in campo aperto, le guerre si facevano locali o spazialmente delimitate con effetti globali, mentre le crisi finanziarie esplodevano attraverso dispositivi tecnologici in rete ben più potenti e invasivi del telegrafo, protagonista del contagio della crisi del ‘29. Da allora, si è registrato un insieme di forti criticità finanziarie su scala planetaria – l’attacco speculativo a lira e sterlina del 1992, la crisi finanziaria globale del 1998, il crollo dei titoli tecnologici di inizio secolo, la grande crisi del settembre 2008 seguita al fallimento della banca d’affari Lehman Brothers, fino al crollo del mercato legato alla pandemia da Covid del 2020 e all’esplosione dei prezzi delle materie prime che ha accompagnato lo scoppio della guerra russo-ucraina – mentre le guerre locali non hanno mai smesso di accendersi e riprodursi, per quanto in forme e dimensioni diverse, e differenti effetti globali, dalla Jugoslavia all’Irak, dall’Afghanistan all’Ucraina.
Considerato un simile scenario che vede sovrapporsi i disastri causati dalle crisi finanziarie e quelli della guerra, questo libro delinea un preciso percorso di analisi che indica nella finanza una dinamica di guerra annidata negli scambi e nei servizi in moneta, e nell’intreccio tra conflitto sul campo e guerra finanziaria la chiave di lettura delle complessive distruzioni sociali e materiali della parte di secolo in cui viviamo. La tesi che difendiamo, in proposito, è che le guerre finanziarie sono scatenate da una dimensione neotribale interna al mondo delle borse fino ad ora non adeguatamente osservata, e sconosciuta tanto ai radar dell’opinione pubblica che a quelli di molte scienze sociali. A partire dal classico di Hyman Minsky sulla crisi del ’29 (Potrebbe ripetersi?, 1966), la sociologia e l’antropologia finanziaria hanno, infatti, interpretato le crisi finanziarie soprattutto come causate dall’irrazionalità e dall’esuberanza dell’investitore. Nonostante le differenze di analisi e l’impiego di modelli scientifici diversi, per trent’anni i topic della crisi finanziaria sono rimasti questi. Euforia irrazionale è, quindi, non solo il titolo di un libro del premio Nobel per l’economia Robert Shiller ma, soprattutto, il leit motiv della spiegazione delle crisi finanziarie, nelle quali l’irrazionalità degli attori che si precipitano in borsa per arricchirsi nei momenti di rialzo, finisce per far crollare il mercato. Compito della sociologia, dell’antropologia e delle istituzioni di regolazione monetaria è, quindi, di capire e gestire questa irrazionalità. La nostra tesi è, invece, che la razionalità degli scambi di beni e di servizi finanziari non è minacciata tanto dall’irrazionalità delle masse di piccoli risparmiatori, ma dalla logica di guerra finanziaria che contiene al proprio interno. Si tratta di una logica che esige l’uso della moneta come arma per sconfiggere avversari, predare risorse delle aziende, condizionare nazioni e occupare settori di mercato, ed è una logica che, a seconda delle fasi di mercato, opera sia per creare valore azionario che per distruggerlo. Come si mostra nel secondo capitolo, alti e bassi di borsa sono, infatti, determinati da conflitti finanziari che possono restare autonomi o saldarsi alla guerra sul campo, e dai gruppi neotribali che agiscono usando la moneta come arma. Questo libro utilizza la letteratura, principalmente americana, che si è mostrata più consapevole di questa dinamica.
A partire dagli anni ’90, quando la borsa ha imposto la propria agenda politica al Congresso che ha abolito bipartisan i provvedimenti rooseveltiani di contenimento dei soggetti finanziari speculativi, l’etnografia americana è, infatti, tornata a osservare l’“anarchia organizzata” (ABOLAFIA: 1996) di Wall Street, i suoi riti, le dinamiche aggressive e di guerra, l’adattamento ai processi tecnologici, il tribalismo interno e la sua distanza siderale dalla società. La moneta come strumento di guerra che rivela dinamiche tribali, ha cominciato ad essere illuminata seriamente da un testo di Cristopher Gregory di fine anni ’90, nel quale si dice esplicitamente che “l’epoca della moneta selvaggia”, condizione essenziale per il tribalismo di borsa, “è cominciata con l’agosto 1971”, quando il dollaro si è sganciato dall’oro affossando il sistema di Bretton Woods e avviando una deregulation finanziaria globale che arriva ai nostri giorni (GREGORY: 1997). Allora, il legame con la guerra sul campo delle guerre finanziarie che ne sono seguite sono stati il Vietnam e le necessità del bilancio americano di superare questa crisi.
Il rapporto tra tribalismo e guerra senza limiti ci porta poi ad osservare una nuova dimensione della guerra, nella quale tattiche e tecnologie della guerra sul campo e della guerra finanziaria si ibridano, costituendo uno spazio non naturale, tecnologico, che diventa il vero terreno strategico dal quale si esercita egemonia sul mondo, marginalizzando così anche la geopolitica come strumento di lettura dei conflitti degli spazi naturali. Nel corso del conflitto russo-ucraino lo spazio non naturale, intreccio digitale di guerra finanziaria e guerra sul campo, analizzato in questo libro come fatto antropologico, si sostanzia nell’uso degli strumenti del capitalismo delle piattaforme come arma da guerra, nello sfruttamento comune a guerra e finanza di quello che l’Economist dopo la grande crisi Lehman del 2008 definì “il nuovo petrolio” ovvero i dati, nelle dinamiche di comunicazione oltre che nella ibridazione dei modelli strategici. E quando fondi ad alto rischio ed alta redditività come Horizon Capital investono durante la guerra nel settore tecnologico ucraino, cresciuto in fatturato di oltre il 20 per cento in un anno di conflitto nonostante il crollo dell’economia circostante, abbiamo il riscontro di come evoluzione tecnologica, sostegno alla guerra sul campo e al capitale di rischio si tengano sul piano strategico e su quello microfisico.
Numerose sono comunque le combinazioni possibili tra queste tipologie di conflitto, fatte di moneta e di cannoni, ma la dimensione tecnologica comune che guerra e finanza hanno assunto, qui chiamata spazio non naturale, rappresenta la grande novità materiale del ventunesimo secolo. Si tratta di un intreccio fatto di comunicazione, tecnologia, tattiche, potere che, da quando la finanza si è fatta fenomeno bellico e la guerra si è radicalizzata come fenomeno finanziario, costituiscono uno spazio di potere egemone nel nostro mondo. Qui già il caso russo-ucraino del 2014 era esemplare di come un conflitto sul campo spazialmente delimitato, per quanto drammatico e pieno di orrori, possa assumere dimensioni globali, grazie allo spazio non naturale, entro una guerra finanziaria tra stati, alla quale partecipano innumerevoli entità private che, scommettendo sulla volatilità di borsa alimentata dal conflitto sul campo, semplicemente approfittano della situazione di crisi internazionale. In questo conflitto, le dottrine russa e americana dello Hybrid Warfare si sono confrontate con la necessità di combattere la guerra su mille piani: sul terreno, in borsa, nelle tecnologie, nell’informazione e così via, grazie agli spazi digitali, quasi all’infinito. È, quindi, evidente, anche solo fermandosi a questo scenario ucraino, come l’intreccio tra guerra finanziaria e guerra sul terreno generi strategie di attacco e risposta che producono nuovi livelli di distruzione della ricchezza sociale e della stessa vita planetaria. Nel momento in cui le armi prendono l’iniziativa sul campo, questi elementi si manifestano insieme, con una spettacolare distruzione di valore azionario su tutta la scena globale e la contemporanea crescita dei valori azionari delle materie prime che ha creato enormi problemi di liquidità allo stesso mondo finanziario proprio a causa delle dimensioni della bolla delle commodities. La saldatura materiale e digitale tra guerra sul campo e guerra finanziaria provoca, infatti, una dinamica centrifuga fatta di crescita e distruzione impetuose, attivata dagli animal spirits del neotribale di borsa che ha assunto dimensioni tali da non poter più essere scambiato con un fenomeno di inefficienza. Si tratta, invece, dell’effetto di quella guerra senza limiti teorizzata dagli strateghi cinesi a inizio anni ’90, nella quale la forma finanziaria del conflitto produce pesanti effetti distruttivi sul piano materiale, trovando nelle successive forme hybrid significative varianti.
Questo libro si compone di tre sezioni: la prima dedicata al neotribale finanziario, la seconda all’ibridazione della guerra finanziaria con la guerra sul campo e la terza alla crisi del politico. Nei primi tre capitoli si mostra, come la società contemporanea, pensata come il culmine dei processi di civilizzazione si trovi, invece, dominata dalle dinamiche neotribali dei gruppi sociali che si riproducono intorno alla finanza e ai suoi derivati. Il tribalismo, infatti, è concepito come un fenomeno di aggregazione delle periferie e di società ai margini della civiltà ai quali manca, per avere rilevanza sociale, il livello organizzativo superiore proprio delle organizzazioni complesse della civilizzazione. Il neotribale finanziario è, invece, un frutto maturo della civilizzazione, fatto di tecnologia, diritto e forme altamente sofisticate di transazione del denaro che domina nelle organizzazioni complesse della società moderna ed è in grado di estendere il proprio dominio sulla superficie planetaria. Nel quarto e quinto capitolo si mostra come il tribalismo finanziario sfoci nella guerra senza limiti, ibridandosi con la guerra sul campo, nella quale il neotribale può continuare a riprodursi autonomamente da ogni potere centrale, senza vere regole che non siano quelle dell’aggregazione a fini di manipolazione del denaro. Si osserva, così, come riemergano, in pieno ventunesimo secolo, grazie all’emersione del neotribale finanziario, comportamenti tipici delle società di caccia e raccolta, caratterizzate da economie di acquisizione e prelievo delle risorse ambientali, oggi realizzata dal denaro. Il sesto capitolo è dedicato alla descrizione di una battaglia, cioè agli innumerevoli intrecci possibili tra guerra sul campo e guerra finanziaria, tra ground e cyberspace. Il settimo capitolo chiude, infine, il testo con una ricognizione della crisi del politico davanti alla crescita della finanza come fenomeno di dominio planetario.
In questo libro si parla, quindi, di conflitti che accendono altri conflitti, come nella storia di Travelex, una società di cambio che fornisce valuta finanziaria estera ad aziende importanti come Virgin e Tesco e che durante la crisi militare Usa-Iran di inizio 2020, ha subito un attacco cibernetico che ne ha svalutato le azioni del 17% in brevissimo tempo. Questo crollo, oltre a far guadagnare chi aveva scommesso sul crack, ha coinvolto Finablr la società finanziaria che controlla Travelex quotata a Londra con quartier generale ad Abu Dhabi la quale, a sua volta, ha cominciato a perdere velocemente quota attaccata dagli speculatori a causa della crisi Usa-Iran e delle incertezze sui destino dei servizi finanziari dell’area proprio per il legame con Travelex. Ciò mostra come lo scenario di questi conflitti sia connesso, dinamico e sorprendente. Tra i conflitti finanziari aperti nel 2007-8 e quelli dovuti alla crisi Covid19 del 2020 si è assistito, ad esempio, ad un sostanziale rovesciamento di logica: i primi sono nati nella finanza e si sono riversati sulla società, i secondi, invece, sono nati nella società per riversarsi, causa virus, sulla finanza. E in questo scenario non esistono solo i crolli improvvisi: all’inizio del 2021, l’andamento della borsa americana era davvero anomalo, col valore degli asset delle aziende cresciuto del 20% in un anno, nonostante la pesante contrazione dell’economia americana e di quella globale. La crisi Covid del 2020 e quella crescita del valore degli asset di inizio 2021, in piena emergenza sanitaria, evidenziano un elemento fondamentale della guerra finanziaria: cioè che si tratta di guerre che distruggono o creano complessivo valore azionario, mentre le politiche monetarie delle banche centrali perdono la funzione di elemento di regolazione per agire come una delle varianti della distruzione o della creazione di valore.
Già le banche centrali, sono parte della soluzione o del problema? L’universo delle banche centrali, qui analizzato in quella zona di confine nella quale si toccano neotribale finanziario e decisioni istituzionali, ha cambiato faccia nel corso di questi ultimi anni. Si è consumato, infatti, il passaggio dal ruolo delle banche centrali, tipico degli anni ‘10, immerso nei conflitti finanziari puri a quello che il Financial Times definisce di weaponization, di farsi arma delle banche centrali entro una logica di guerra sul campo dettata in questo caso dal conflitto russo-ucraino. Si può parlare di ritorno alle origini visto che il concetto di finanzkrieg, guerra finanziaria definisce alla fine dell’ottocento per la prima volta questo tipo di conflitto, tra stati centrali in una logica di guerra, allora tra Germania e, il dettaglio balza agli occhi, Russia. Il passaggio storico non tocca solo il ruolo delle banche centrali ma anche il dollaro che, non essendo più solo arma per le banche d’affari o per gli hedge fund ma direttamente strumento bellico della federal reserve, è entrato in una fase storica piena di incertezze. E qui viene marcato un altro passaggio storico: quello dalla cosiddetta godilock economy, economia a tassi bassi o negativi che in realtà era fornitura gratis di denaro dalle banche centrali per la predazione finanziaria, ad un periodo nel quale banche centrali, divise e mercati ridefiniscono pienamente ruoli, tipologie di conflitto e modalità di accumulazione. Questo libro, che razionalizza circa quasi dieci anni di cronache di conflitti finanziari, serve da cassetta degli attrezzi per l’analisi di questo genere di passaggi.
“Siamo entrati in una nuova era nella quale l’inatteso accade con allarmante regolarità” parole di Andrew Beer, manager di Dynamic Beta Investment, al Financial Times. Un’altra allarmante regolarità sta poi nel fatto che nella nostra civilizzazione, la moneta, ufficialmente mezzo tecnico di pagamento, è in realtà un’arma. In questo modo con l’altra allarmante regolarità, la tendenza bellica presente nel neotribale finanziario, la dimensione dell’inatteso va ben oltre i mercati finanziari, e persino la stessa guerra sul campo, finendo per toccare la stessa microfisica delle nostre società, finanziarizzata e invelenita da miriadi di piccole dinamiche di predazione. In questo quadro, un aspetto profondamente rivoluzionato è quello che riguarda la comunicazione tra politica e mercato. Oggi i messaggi che la politica manda ai mercati non passano più attraverso la diplomazia, ma devono farsi spazio attraverso programmi che aspirano di tutto: dalle notizie ai dati, alla profilazione che passa dai social, ai risultati di microtargeting che dialogano in tempo reale con quelli di trading automatico. Si tratta di flussi comunicativi che possono scatenare all’istante ordini di vendita tali da indebolire la ricchezza di un paese. C’è, quindi, bisogno di un salto di complessità nelle analisi del potere finanziario, anche rispetto alle pur utili teorie sull’uomo indebitato che hanno esplorato una parte del più generale assoggettamento dei comportamenti diffusi alla finanza. Tutto questo non basta più, perché i nuovi rapporti tra comunicazione, politica e mercato, la dimensione microfisica della Fintech – le tecnologie finanziarie a disposizione di tutti – e le tecnologie di movimentazione del denaro a disposizione di chiunque e ovunque su mobile, contribuiscono a sedimentare fenomeni di finanziarizzazione del mondo che possono incidere sui mille piani della società, immettendo nuove dosi di aggressività e, assieme, di disciplinamento sociale.
Questo libro costituisce, in fondo, un allarme. Sulla forma di strutturazione pericolosamente complessa raggiunta dalla finanza, sulle sue dinamiche di funzionamento neotribali e impermeabili, sul suo farsi guerra e sulle sue ricadute su politica e società: testimonianze, fatti, testi, biografie e manuali sono portati a a dimostrarlo. In questo panorama, si tratta, quindi, non solo di saper lanciare l’allarme, ma anche di far conoscere al pubblico italiano la corposa letteratura, perlopiù non tradotta, che si occupa di antropologia della finanza e di guerra finanziaria, cioè del rapporto tra conflitti finanziari e guerre sul campo. Con l’inizio degli anni 2000, infatti, la crisi dei titoli tecnologici, il fallimento di Lehman Brothers, la crescita dei valori azionari degli anni ‘10, il boom del Fintech e dell’intelligenza artificiale in borsa, la letteratura sociologica e antropologica americana, insieme ad altri contributi della ricerca globale, hanno assunto proporzioni coestensive a questi fenomeni. Scopo di questo libro è, anche, quello di introdurre il lettore italiano alla conoscenza di dibattiti che fanno emergere la natura antropologica del tribalismo di borsa, dell’uso della moneta come arma e del conflitto finanziario come strumento consapevole di predazione di ricchezza. In questo quadro, la memorialistica di trader e protagonisti di Wall Street e i manuali di strategie di borsa, con il loro esplicito linguaggio di guerra, ci sono serviti come utile confronto con il materiale etnografico e con quello teorico della guerra senza limiti e della guerra ibrida. Autori come gli antropologi Bill Maurer, che si occupa dell’evoluzione del rapporto tra moneta e tecnologia e Robin Fox, studioso degli intrecci tra tribalismo e civilizzazione, sono non solo citati ma seguiti nel metodo che consiste nell’indagare l’evoluzione del rapporto tra moneta e tecnologia quando la moneta diventa un’arma e nel cercare di capire come il tribalismo, che si vorrebbe ai margini del mondo, si intrecci, invece, con i processi di civilizzazione al loro livello più alto. Questo libro affronta, quindi, un terreno tutto da esplorare nel nostro paese, se si escludono le analisi “tecniche” per operatori di mercato. Si tratta di un’analisi del presente in senso pieno e di sguardo verso il futuro delle nostre società, perché la guerra finanziaria viene da lontano e tende a permanere.
Queste pagine sono frutto di quasi dieci anni di lavoro, nei quali l’interesse di chi scrive per i mercati finanziari non è stato quella del trader, ma di chi osserva catastrofi e cerca di capirne gli effetti sulla società. Come accade al protagonista del Lupo di Wall Street, battesimo del fuoco di chi scrive è stato il lunedì nero dell’ottobre 1987 – il più grande crack di borsa dal 1929 – osservato con lo stesso stupore di studente con il quale avevo seguito in tv, nel gennaio dell’anno precedente, l’esplosione dello Shuttle nei cieli della Florida. Dopo la crisi dello SME del 1992 con l’attacco alla sterlina e alla lira che avrebbe impoverito drasticamente il nostro paese, fui colpito dalla sequenza, sempre più veloce, di drammatiche crisi finanziarie: da quella del fondo speculativo LTCM nel 1998, quando il fiore all’occhiello della finanza di rischio americana rischiò di mandare in bancarotta l’intero pianeta e, nello stesso anno, il crollo delle borse asiatiche e del rublo che favorì l’ascesa di Putin come soluzione alla crisi russa, e infine il crollo del 2000-2001 delle cosiddette dot.com, le aziende tecnologiche rifornite di denaro dai fondi speculativi. Di fronte a una sequenza così ravvicinata e sconcertante di eventi di crisi, era evidente la necessità di osservare la borsa in modo diverso dalle consuete analisi “tecniche” o economiche, per capire quale composizione sociale e di potere, quale intensità conflittuale si annidasse nei mercati finanziari e quale impatto la guerra finanziaria avesse sulle società. Proprio la crisi delle dot.com, dell’inizio degli anni zero, fu l’occasione per cominciare a capire come ordinare in modo coerente, fatti e biografie di un mondo fatto esistere dalle innovazioni tecnologiche. Dopo questi inizi, gli eventi decisivi per questo lavoro sono stati, ancor più di Lehman, la crisi del debito sovrano europeo, con le politiche di austerità imposte alla Grecia e i drastici tagli del governo Monti, e la visione di Inside Job (Charles Ferguson, 2010) grazie ai quali iniziai a osservare l’ipertrofia del potere del mondo finanziario, in grado di permeare lo stato, le sue strutture di regolazione e il mondo della ricerca, oltre che i processi di sottomissione della politica. Vista l’enorme consistenza del fenomeno, la semplice categoria di “corruzione” per i disastri provocati dalla finanza era, infatti, inadeguata a raccontare la dimensione di un continente che, dopo il grande crack di Lehman, si stava rivelando al nostro mondo. Nel suo film, Ferguson favoriva interpretazioni che rinunciavano alla semplificazione della “corruzione” e del “complotto”, mostrando la crescita della finanza nella stagione reaganiana delle grandi privatizzazioni e come si rivelasse già letale con il semisconosciuto crack degli anni ‘80 delle banche Saving and Loan e del loro fallimentare schema di prestiti facili. Insomma, dopo Lehman Brothers era accaduto abbastanza per progettare un libro che ha cominciato ad essere pensato negli anni ’10, quando il nesso tra guerra e crisi finanziaria cominciava a farsi visibile e la dimensione della guerra sul campo conosceva serie mutazioni, finendo per incrociare sempre più quella finanziaria. Tale incontro si era già evidenziato con forza durante la prima guerra mondiale, quando il blocco della circolazione dei capitali si era sovrapposto allo scontro armato ma, rispetto ad allora, oggi siamo di fronte a radicali mutazioni, con la potenza tecnologica e quella militare che stimolano il movimento di enormi masse impazzite di capitali, concentrando la distruzione materiale su aree precise del pianeta con effetti globali su economia e società.
Questo libro utilizza una letteratura e un metodo transdisciplinari, ma se volessimo collocarlo in una precisa tassonomia, dovremmo inserirlo prima di tutto nella ricerca antropologica, visto che utilizza fonti che vanno dal pensiero selvaggio di Lévy Strauss a quelle sulla guerra finanziaria permanente operata dal neotribalismo dei gruppi sociali di borsa. Concettualmente, prima ancora della dimensione finanziaria, si affronta uno studio delle relazioni umane in grado di mantenere una forma di dominio sulla società modificando il proprio ambiente, perché il neotribale finanziario, in quanto prodotto di mutazioni tecnologiche, è evidentemente un fenomeno dell’Antropocene. Da questa indagine antropologica emerge che la guerra non è un residuo nelle società umane, ma qualcosa che tende a riemergere, mutare e ritornare, come si vede nel fatto che le battaglie campali sono ora una delle variabili dello Hybrid Warfare, l’arte militare della capacità di sincronizzare guerra finanziaria, cibernetica e mediale come strategia vincente. La guerra fattasi finanziaria ha la peculiarità di riprodursi in modo egemone rispetto a quella sul campo e di far sentire il peso del proprio dominio grazie a quel medium incontrastato dei rapporti sociali che è il denaro che, in questo modo, si fa arma: se c’è financial warfare, infatti, può esserci guerra, non il contrario.
Questo libro è, però, anche un testo filosofico che si domanda quale società contiene davvero la civilizzazione, cosa sia il tribalismo, cosa accade alla morale quando domina la finanza, come si crea e circoli oggi il potere sia verticale che microfisico e come si debba rileggere l’idea di stato in Hobbes, Kant e Schmitt alla luce dell’ibridazione tra guerre. Mentre il pensiero filosofico oggi stenta a oltrepassare la cortina delle proprie discussioni, questo testo prima definisce un piano di realtà, per poi convocare una serie di autori come strumenti di analisi e confrontarsi con classici come Lévy-Strauss, Clastres o Elias o con riferimenti meno consueti come Sol Yurick, l’autore di Guerrieri della notte, o Juan Zarate, lo specialista di guerra finanziaria al narcotraffico e alle organizzazioni criminali. È dialogando con questi autori che si consolida la tesi principale di questo libro che la finanza non consista solo in scambi di beni e servizi, scommesse o strategie per evitare rischi, ma contenga una dinamica di guerra permanente senza limiti che rappresenta sia l’elemento di coesione di questo mondo che una continua dinamica centrifuga. Dalla metà degli anni ’90 è, infatti, caduta la partizione antropologica tra guerra come luogo del conflitto e mercato finanziario come luogo della negoziazione e dello scambio o, al massimo, della disastrosa speculazione. Quella che è finita è, perciò, la grande neutralizzazione degli effetti bellici della finanza che è durata a lungo nell’immaginario occidentale dagli anni successivi al secondo conflitto mondiale, dopo i disastri finanziari dei primi tre decenni del ‘900. Questo libro si prefigge, quindi, una rilettura esplicita dell’antropologia del dominio e del potere, ossessionate fin qui dalla categoria dell’ordine e perciò incapaci di leggere la potenza delle dinamiche di disordine permanente proprie della finanza. È stato Pierre Clastres a mostrarci come proprio la conflittualità permanente osservata nei Guaranì, mantenesse la coesione interna nei gruppi rendendoli indipendenti dal potere centrale. La sua analisi ha fatto compiere un passo decisivo nella scoperta del neotribalismo dei fenomeni finanziari indipendenti dai tentativi di regolazione, i cui attacchi non si servono di frecce avvelenate ma di ordigni fatti di moneta e derivati scambiati con connessioni ad altissima velocità.
Quello del pensiero selvaggio che va alla guerra finanziaria predando ricchezze planetarie, è il vero scandalo di inizio XXI secolo, prodotto all’interno di forme giuridiche complesse, agito da umani altamente civilizzati circondati da tecnologie in continua evoluzione. Se il neotribale dei guerrieri della notte di Sol Yurick è il prodotto del rapporto tra moneta e banda in ogni interstizio occupabile di New York, il neotribale finanziario abita nella stessa città: a Wall Street. Finissimo antropologo di mondi inconfessabili, Yurick ha descritto il modello di vita del neotribale metropolitano innaffiato di soldi provenienti dalla droga e non diverso da quello osservato da Abolafia nei gruppi di borsa che praticano la guerra tra bande, autonomi dal potere centrale e in conflitto con ogni genere di ordine, da quello delle autorità di regolazione di borsa alle banche centrali. Anche il concetto di “adesso”, indicato nei Guerrieri della notte come quei venti minuti indispensabili per riprendersi da un pestaggio prima che arrivi la banda rivale, si presta perfettamente a descrivere l’estrazione di profitto ricavata in una nuova dimensione del tempo, attraverso i software automatici di trading che inviano messaggi su piattaforme differenti via smartphone, producendo predazioni a molti zeri nell’ordine di alcuni millisecondi.
Seguendo un preciso filo narrativo, questo libro affronta, quindi, in modo nuovo per il lettore italiano i fenomeni del tribalismo finanziario e della guerra finanziaria, sul campo, ibrida e senza limiti. Lo scopo del testo è quello di Apocalypse Now di Coppola: mostrare come civilizzazione e mondo selvaggio finiscano per confondersi, scardinando le convinzioni consolidate sul mondo moderno a partire, stavolta, non dalla giungla del Vietnam, ma dalle nervature tecnologiche della finanza globale e dalle loro connessioni con la guerra. Far scoprire la potenza di questo combinato di tecnologia e tribalismo di guerra è il compito che ci siamo prefissi.