Algoritma. Analisi incompleta sul data feminism nelle città intelligenti

img – Elisatron

di V. Bazzarin

 

Ogni sapere è particolare, ogni verità è parziale […] Nessuna verità può rendere non vera un’altra verità. Ogni conoscenza è parte della conoscenza totale. […] Una volta che hai visto lo schema più ampio, non puoi tornare a vedere la parte come il tutto.“ — Ursula K. Le Guin, La mano sinistra delle tenebre, p. 159

Forse, come dice Ursula K. Le Guin, ogni sapere è particolare e ogni verità è parziale, ma sul tema del diritto digitale alla città c’è un sapere che appartiene al genere e ci sono tracce digitali lasciate dalle persone che gli algoritmi non considerano rilevanti e che quindi discriminano la metà dei cittadini dalla sfera dei servizi e spesso anche da quella dei diritti. Parliamo di gender data, dei dati con una componente di genere e del movimento che in vari paesi sta tentando di introdurre il tema in ambito accademico, nello sviluppo delle tecnologie e delle infrastrutture che operano in sistema o in rete nelle cosiddette città intelligenti.

Non ci calcolano proprio! Potrebbe dire almeno la metà del genere umano. Tranne quando siamo target commerciale. Allora in quel caso ci calcolano e ci profilano per bene. (1)

Per reazione, per provocazione e per evoluzione dei movimenti femministi, sarebbe utile chiedere una quota di “algoritme” nell’ecosistema delle telepolis per compensare l’assenza del dato di genere negli algoritmi. Questo perché gli algoritmi sono pensati e disegnati con una mente maschile. Noi possiamo, invece, puntare allo “schema più ampio” richiamato dalla Le Guin, ovvero far confluire i dati di genere nel flusso del calcolo sulla città in modo da rispettare le differenze e includere tutti i generi negli algoritmi. Ed è urgente farlo perché queste algoritme accompagnano e sempre più spesso determinano il nostro muoversi e agire i diritti, individuali e collettivi, nello spazio urbano presunto-intelligente.

La maggior parte dei saggi e della narrativa che trattano con toni e con filtri luddisti, distopici, marxisti, post operaisti, tecno-politici o progressisti di discriminazione algoritmica e di città intelligenti partono dalle necessarie definizioni. La premessa a questo mio breve intervento sarà invece affidata a due donne che non definiscono, ma che ci spronano ad immaginare equilibri di potere diversi. Una l’abbiamo già conosciuta, ed è la scrittrice Ursula K. Le Guin, e l’altra Donna Haraway, ci invita con il suo manifesto cyborg a sfidare continuamente i movimenti per come li conosciamo e a non accettare come immutabile l’assenza prima di tutto simbolica delle donne nella società. Ieri come oggi, vanno stabilite “le possibilità della resistenza politica: lo scopo è quello di confrontare la nostra storicità inserendovi le volontà di potere femminista; e di stimolare il desiderio per il nuovo, che implica la costruzione di nuovi soggetti desideranti” (2).

Torniamo un attimo sulla differenza tra tracciamento per la profilazione e la sorveglianza e quello che ci viene proposto in questi giorni come uno strumento necessario alla tutela del diritto alla salute ai tempi della pandemia. Nel primo caso abbiamo molti dati di genere, nel secondo caso, invece, spesso anche se non sempre, mancano. Se non riusciremo ad immaginare assetti di potere e contropotere algoritmici inclusivi e femministi, rischiamo di tornare indietro di almeno 100 anni nella nostra capacità di esigere tutti gli altri diritti di cittadinanza faticosamente ottenuti dalla rivoluzione francese in poi e ben descritti da Lefebvre nel suo Diritto alla Città.

Il modello tecnocratico proiettato nella città intelligente è un modello aggressivo nei confronti dei diritti civili, dei diritti individuali e dei diritti collettivi. Le arene di dibattito e di conflitto sono stata svuotate delle nostre voci e dalle nostre soggettività, soprattutto quelle femminili, ben prima che le nostre strade, le nostre piazze, le nostre scuole, i nostri cinema, le nostra biblioteche, le nostre aule universitarie venissero svuotate dalla quarantena. La prepotente accelerazione del processo di trasformazione urbana verso il modello di città è stato accompagnato dalla allettante promessa della facilità di accesso alle piattaforme e alla gratuità del servizio offerto dalle stesse. Ma come forse abbiamo imparato in questa manciata di anni da chi si è preoccupato di studiare, aggiornare e tutelare il diritto digitale alla città, se un servizio è gratis il prodotto sei tu e i dati non sono neutrali.(3) Se si sceglie di non raccontare i gender data, si opera una discriminazione all’origine.

Judith Butler, il 13 maggio scorso in una conversazione virtuale con i cittadini di Bologna (4), ha invitato le persone che le chiedevano come usciremo da questi tempi difficili ad avere una strategia e ad utilizzare questo tempo per articolare questa strategia per disobbedire e per imparare. In questo suo intervento ha ripreso buona parte di quel che si trova scritto nel suo L’Alleanza dei Corpi (2017). Tra disobbedire e imparare però vorrei, per una volta, soffermarmi sull’invito ad imparare e vorrei suggerire a tutte e a tutti di sviluppare un linguaggio per le “algoritme”, per contestualizzare i dati, per comprendere i fenomeni che descrivono legandoli alle loro cause e per svelare i rischi di discriminazione algoritmica usati per la comunicazione in rete.

Il rischio che intravvede chi, come me, si occupa di piattaforme e di discriminazione algoritmica è che questa apatia di fronte alla sottrazione dei diritti si tramuti in immobilità di pensiero. In una totale perdita di immaginazione, di coscienza e di maturità rispetto ai diritti digitali e non, di ogni singolo cittadino.

E allora ripartiamo da quel che le cittadine e i cittadini hanno ancora in comune, il linguaggio, per provare ad elaborare una proposta politica, oltre a condividere l’amarezza e a dettagliare la critica. Abbiamo in comune il linguaggio, ma per essere capaci di un minimo di autodifesa digitale nella città intelligente dobbiamo aggiornare il nostro lessico, come suggerisce il collettivo Ippolita nel suo Tecnologie del Dominio (2017). Le parole e i dati (il lessico algoritmico) che descrivono la nostra identità di cittadine e cittadini costruiscono o consolidano le relazioni di potere, che possono cristallizzarsi in strutture di dominio ed essere utilizzati come nuovi dispositivi per il controllo o come armi a disposizione delle sole élite predatrici.

I movimenti per i diritti digitali, quelli per i beni comuni e quello femminista dovrebbero gettare le basi per rendere la rete libera di tornare ad essere uno spazio di parità, in cui desideri e bisogni dei generi abbiano pari dignità e pari opportunità e non spazi determinati e costruiti da un algoritmo che riduce le persone a segnali che risultano privi di significazione, come ci avvertiva Eco citato dalla Rouvroy, ma per questo sono ordinabili, malleabili o “calcolabili” da un “regime di verità digitale” (Rouvroy, 2016).

Città è un nome sia singolare che plurale, nella nostra lingua è un sostantivo femminile, ma quando viene associato ad aggettivi come “intelligente” (che non si di declina al maschile) o “smart” (neutro perchè termine inglese) perde totalmente la sua opportunità di normalizzare il discorso propendendo per un’ottica femminile. Figuriamoci quanto diventa irrilevante quella femminista, se la questione non viene costantemente sollevata, sia nel linguaggio naturale che in quello algoritmico.

Dobbiamo lavorare sul linguaggio, imparare un nuovo lessico e provare a liberarci da alcuni assiomi: le macchine, soprattutto quelle intelligenti, non garantiscono la libertà immediata e gli intermediari digitali hanno già la nostra vita in mano da tempo.

Gli algoritmi, anche quelli di ricerca che ci danno risposte su google, pesano i loro nodi per lo sviluppo di soluzioni intelligenti in base ai dati che gli utenti condividono online e questi dati, che in gran parte consistono in frequenza dell’uso di determinate parole nel web semantico, hanno delle caratteristiche di genere. Non stupitevi quindi se le inserzioni pubblicitarie, che appariranno durante la vostra navigazione online saranno principalmente relative ad abiti, scarpe, borse, contraccettivi o prodotti per l’infanzia, se siete una donna in età fertile e che l’algoritmo presume essere eterosessuale, quindi interessata all’acquisto di questi prodotti. La proposta pubblicitaria non è prescrittiva rispetto ai comportamenti di consumo, ma è derivata su una presunzione intelligente, che deriva dalle ricerche compiute dalla maggior parte delle persone di quel genere e, se rilevabile, in quella stessa fascia di età. Pur non sapendo bene come funzioni l’algoritmo di google, ci sarebbe bisogno di un grande numero di ricerche attive su altri temi e su altri argomenti per cambiare l’equilibrio dell’algoritmo e far apparire in testa alla classifica dei risultati consigli su biblioteche o spettacoli teatrali e musicali di una città che si intende visitare, per esempio, prima dei suggerimenti per gli acquisti online di rossetti o di ricette culinarie.

Come scrivono sempre gli autori di Ippolita “ci stiamo formando come cittadini consumatori privi di diritti digitali” e “le tecniche di controllo operate attraverso il profiling commerciale, a differenza delle tecniche di controllo politico, non risparmiano i minori, che sottoscrivono note legali e termini di servizio come qualsiasi adulto e nella maggior parte dei casi concedono al servizio un uso totale e irrevocabile dei dati ammessi”. In generale, grazie agli algoritmi, a differenza delle tecniche di controllo politico tutte le categorie fragili nella rete possono essere sfruttate o discriminate. Tra le discriminazioni non escluderei come probabili quelle di genere. La conciliazione in un mondo e in ecosistemi intelligenti governati da algoritmi, creati con queste premesse, sembra oggi un miraggio. Anche solo la riduzione delle disuguaglianze, un obiettivo minimo per chi fa ricerca militante e partigiana o è impegnato attivamente in politica, sembra difficilmente raggiungibile.

La prima azione che quindi oggi serve è la creazione di un lessico popolare a servizio del linguaggio e del pensiero critico nella sfera pubblica e di una nuova un’arena di dibattito che sensibilizzi e affronti questi temi e che possibilmente non si concentri sulla singola applicazione e non si precipiti all’invettiva. Se nella società non si inizia a discutere immediatamente e in modo accogliente di etica e di diritti digitali, tenendo conto anche delle categorie di genere e generazione, i diritti civili saranno destinati ad evaporare nella rete.

Note

1 Sul tema della sorveglianza mestruale, sulle “femtech” e sulla profilazione delle donne è stato scritto troppo poco in italiano, ma un buon punto di partenza è costituito da un articolo apparso su The Guardian a settembre 2019 da Arwa Mahdawi e disponibile a questo link https://www.theguardian.com/world/2019/apr/13/theres-a-dark-side-to-womens-health-apps-menstrual-surveillance (ultimo accesso aprile 2020)

2 Rosi Braidotti nell’introduzione a Manifesto Cyborg di Donna J. Haraway, 2018, Feltrinelli, Milano (p.33)

3 La lettura di due ottimi pamphlet curati da Oxford Internet Institute e tradotti su questi temi è possibile sul sito di Openpolis http://cittadigitale.openpolis.it/ https://www.openpolis.it/gig-economy-viaggio-in-italia/ (ultimo accesso aprile 2020)

4 La discussione è stata promossa dalla Fondazione per l’Innovazione Urbana (FIU) della Città di Bologna con una diretta del ciclo “R-innovare la città. Osservatorio Emergenza: Dialoghi pubblici” su Facebook. Il video purtroppo non sembra essere disponibile sulla piattaforma, ma esiste un interessante archivio di documenti, che comprende una voce sui “femminismi” disponibile a questo link https://drive.google.com/file/d/10bI8aJX_inBkfaeyMUsTcgyMPq_NPEYb/view?usp=sharing

Bibliografia

Butler J., “L’alleanza dei corpi.” Note per una teoria performativa dell’azione collettiva, 2017.
Butler J., Questione di genere: il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, 2013.
Haraway D. J., Manifesto cyborg: donne, tecnologie e biopolitiche del corpo. Feltrinelli, 2018.
Ippolita, Tecnologie del Dominio. Lessico minimo di autodifesa digitale, Meltemi, 2017.
Lefebvre H. e Bairati C.,Il diritto alla città, Marsilio, 1970.
Le Guin U. K., e Malagutti U.,La mano sinistra delle tenebre, Libra, 1977.
Mezza, M. Algoritmi di libertà; La potenza del calcolo tra dominio e conflitto, Donzelli, 2018.
Rouvroy, A. “La gouvernementalité algorithmique: radicalisation et stratégie immunitaire du capitalisme et du néolibéralisme?.” La Deleuziana,(3) (2016): 30-36.