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Cerchiamo contributi (2-15 cartelle) per il settimo numero di febbraio 2024.

La rete è oggi l’infrastruttura che impatta maggiormente sulla formattazione dei nostri desideri eterodiretti e sull’illusorio esercizio di libertà che proviamo nel poter navigare liberamente, avendo qualunque cosa desideriamo a portata di click. Ben sappiamo come quello che ci viene dato è molto meno di quanto diamo in cambio: la nostra attenzione e il tempo della nostra vita. La rete dovrebbe essere quindi uno dei più importanti beni comuni da tutelare, in opposizione all’attuale privatizzazione e governance da parte delle note multinazionali Big tech, in quanto ecosfera digitale che accoglie e forma identità, relazioni, affetti, consumi, desideri e iniziative sociali e politiche. La rete è uno dei più remunerativi luoghi di estrazione di plusvalore diretto e indiretto, un media reticolare eslège in cui proliferano comunicazioni multidirezionali su molteplici livelli, comprese stanze chiuse e dark web. La rete, come la società, della quale è il prolungamento e con la quale instaura feedback circolari, è un simulacro di democrazia, nel quale vige la legge del più forte.

Democratizzare la rete, significa ridemocratizzare le nostre società, nelle quali i soli formalismi democratici, laddove non siano sostanzializzati da valori vincolanti, non permettono alcun vero esercizio democratico. La costituzione non vincola più alcunché, fintantoché la politica rimane un mero esercizio di tutela di interessi privati. Si dovrebbe ripartire dalla scuola e dalla ricerca, ma anche queste hanno preso una direzione tale da inverare quella massima di Weber, per la quale la società capitalista avrebbe prodotto «specialisti senza spirito, edonisti senza cuore: questo nulla che si immagina di essere asceso a un grado di umanità non mai prima raggiunto». Oggi siamo qui, con il tendenziale abbandono della filosofia nelle scuole, ma anche del latino, i quali, agli occhi di questi riformatori, non servono a trovare un lavoro, Stiegler direbbe piuttosto, un impiego. La parte cognitiva degli studenti viene educata alla sola razionalità strumentale, sovraordinata da quella valoriale delle categorie dell’utilità e della quantità, in modo che siano sempre più funzionali al processo di accumulazione. L’immaginario è quello che il capitalismo crea, veicolandolo dalla culla alla tomba, aprendo la finestra libidica alla fantasmagoria delle merci. L’umanità sogna a occhi aperti, bellamente e spesso incoscientemente, risvegliandosi solo quando un missile gli cade in testa o la rovina economica gli fa perdere la casa o ancora un’alluvione gli porta via tutto. Ma ciò non basta a farle pensare a un’alternativa, perché il capitalismo seduttivo è più potente di qualsiasi altra narrazione. La politica ha abdicato da tempo alla funzione di costruire una società a partire dai valori di giustizia e di uguaglianza, assumendo su di sé quelli liberali della supremazia del mercato, della competizione e del recinto inviolabile della proprietà privata.

Il capitalismo si è naturalizzato e ormai qualunque alternativa, sembrerebbe ai più, andare contro natura. Creare un immaginario alternativo dovrebbe essere la prima cosa da fare, ma al punto in cui siamo, le visioni alternative serviranno più a dare senso alla vita di chi non la pensa come il sistema dominante, che a poter modificare, se non per piccole comunità locali, le cose.

Se hai qualcosa da dire e la pensi abbastanza come noi, inviaci il tuo articolo originale entro il 15 febbraio 2024.

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