Disertare l’utopia – intervista a Giuliano Spagnul

Intervista della redazione di Rizomatica a Giuliano Spagnul nel decennale della morte di Antonio Caronia.

Giuliano Spagnul è un artista visuale, con un curriculum che spazia dalla fotografia al fumetto e che annovera numerosissime collaborazioni con importanti giornali e riviste di livello nazionale e internazionalei. In occasione del decennale della morte di Antonio Caronia, abbiamo pensato di coinvolgerlo in un dibattito, in forma di intervista, sul pensiero e l’opera di quello che che è stato un suo carissimo amico e il compagno di straordinarie esplorazioni intellettuali. Sicuramente da ricordare, a tale proposito, la partecipazione di entrambi al collettivo di “Un’ambigua utopia”, storica rivista di critica della fantascienza, dal cui lavoro è maturato, tra l’altro, l’indimenticabile “Nei labirinti della fantascienza” (1979)ii. Nel 2009, Spagnul e Caronia hanno ripubblicato, in formato libro (due volumi), tutti i numeri della storica rivistaiii. Nel 2012 Spagnul ha curato, per Mimesis, sempre insieme ad Antonio Caronia, una nuova edizione di “Nei labirinti della fantascienza”iv.

Giustamente considerato uno dei più attenti e raffinati interpreti del pensiero di Caronia, del suo rapporto con l’arte e la letteratura fantascientifica e della sua sensibilità politica e filosofica, Giuliano Spagnul svolge da molti anni un lavoro di paziente ricostruzione dell’opera quasi quarantennale dell’amico, che si trova disseminata su decine di quotidiani, settimanali, riviste, fanzine, siti webv.

In questa intervista abbiamo deciso di infliggergli quattro quesiti molto diretti, che mirano – non senza qualche arroganza – ad aspetti del pensiero di Caronia di carattere prevalentemente concettuale. Lo abbiamo colto un po’ di sorpresa, ma le sue risposte, puntuali e di grande saggezza, dimostrano quel che in realtà già sapevamo: in lui l’artista convive creativamente col pensatore vero, dotato di lucidità e di un’ acuta sensibilità intellettuale. Qualità sempre più rare a trovarsi nel panorama culturale contemporaneo.

Domanda 1: C’è un aforisma di Gesualdo Bufalinovi che fa il verso al titolo della celebre acquaforte di Goya e recita: “Non il sonno della ragione ma l’insonnia della ragione genera mostri”. Antonio Caronia, che sui mostri la sapeva lunga, citava spesso questo aforisma, lasciando intendere con qualche malizia che avrebbe voluto essere stato lui a scriverlo. Al di là delle battute, mi pare si tratti di uno dei temi che attraversano i suoi scritti dalla prima edizione del Cyborg fino ai testi su Ballard. Ti sei mai chiesto cosa intendesse realmente per “insonnia della ragione” ? E aveva buoni motivi per temerne il dilagare?


Risposta: L’insonnia della ragione genera i mostri che coabitano da sempre entro se stessa. Banalmente: razionale e irrazionale sono i due tempi dello stesso unico motore. Impudicamente potremmo definire Antonio Caronia come uno dei casi più autocoscienti di questa simbiosi imperfetta di ragione e sragione che si esprime in un conflitto che mai, volutamente, è disposto a concedere a una qualsivoglia sintesi risolutiva. Per Antonio c’erano dei conflitti che non potevano né dovevano essere risolti, e questo era sicuramente uno di questi, probabilmente il più importante.

Dell’insonnia della ragione, Antonio, non ne temeva il dilagare ma ne constatava l’ormai inarrestabile presa egemonica da parte del potere. Un potere biopolitico (che ingloba entro se stesso anche le vecchie forme di potere, disciplinare ecc.) sempre più totalizzante nel renderci liberi all’interno di quel suo liquido amniotico e placentare per noi invisibile come l’acqua in cui i pesci nuotano beatamente.

Domanda 2: “In un breve saggio intitolato “Distruggere l’utopia”vii ci hai suggerito di riflettere su quello che, con termine che consideri “scorretto”, si potrebbe definire “il propositivo” nel pensiero di Antonio Caronia. Se non aveva alcuna nostalgia dell’utopia, le sue parole sul “possibile” oggi sembrano a molti aprire qualche spiraglio. Penso, ad esempio, al poscritto all’ultima edizione de “Il cyborg” ma anche alle sue lezioni del 2012 a Brera sul situazionismo e sull’uso dei fakeviii. Ti chiederei se, a tuo parere, la sua concezione di un “futuro come possibilità e non come programma” possa almeno ammettere, da un punto di vista politico, quella che mi arrischierei a definire come una “programmazione per la possibilità”.


Risposta: Io credo che oggi Antonio sarebbe sostanzialmente d’accordo con l’idea di diserzione pronunciata da Bifo e della sua posizione di “osservatore”ix, ma non nel senso di neutrale ma nel senso di chi osserva ciò che accade senza pensare di indirizzarlo o influenzarlo, ma tutt’al più di fornire qualche strumento in più per resistere, per non essere sopraffatti. Un pronunciamento di umiltà in contrasto con un onanismo rivoluzionario fuori tempo e gravido di perduranti frustrazioni.

L’uso del Fake propugnato da Antonio era una piccola cosa, valida in un certo momento, che poteva servire ad aprire di nuovo, anche solo per un attimo, il futuro. Poi certo, Antonio lo sapeva e lo diceva: quel futuro appena dischiuso si sarebbe subito di nuovo chiuso; ma intanto avrebbe smosso delle cose. Importanti, sì! Importanti perché uno spiraglio sul futuro oggi è come una boccata di ossigeno per un mondo in cui respirare diventa sempre più difficile. [Antonio amava molto un film di Sandro Baldoni “Strane storie”x che nel primo episodio racconta un mondo in cui l’aria diventa merce, un’utenza come il gas e l’elettricità, che se dimentichi di pagarla ti viene staccata]
No, non credo che pensasse a una programmazione per la possibilità, in quanto è un ossimoro. Il possibile è ciò che accade, non si programma. Perché il possibile non può che essere aperto. Altrimenti parliamo del probabile, che a volte diventa necessario quanto inevitabile. Ma quando Antonio auspicava la necessità di abbandonare l’utopia non intendeva certo sostituirla con l’arido calcolo delle probabilità, sulla riuscita o meno di un dato programma.

Domanda 3: Come artista visuale e fotografo, avrai forse riflettuto sulle pagine che Antonio Caronia ha dedicato all’ipotesi di un inconscio della macchina. Ricordo in proposito l’esempio, che faceva spesso, di un cavallo che, per un attimo impercettibile a noi umani, si trova con tutte e quattro le zampe sollevate da terra. Un fenomeno che per la sua velocità sfugge al nostro sistema percettivo, ma che la fotografia è riuscita a rilevare, rendendo evidenti i limiti della nostra percezione. Sia in questa singolare circostanza che in quella della proiezione cinematografica, che pure ci inganna, mostrando delle immagini separate che scorrono a una velocità superiore alla nostra capacità di vederle come distinte, si coglie un problema centrale, che non riguarda soltanto l’inconscio della macchina, ma anche la componente di inconsapevolezza percettiva e cognitiva presente nei nostri comportamenti quotidiani. Oggi, con il dilagare dei dispositivi digitali, l’evidenza di una siffatta inconsapevolezza suscita in molti inquietudini che non hanno da fare solo con l’arte, con i suoi ruoli e le sue funzioni, ma con forme nuove di esercizio del controllo e del dominio, che sfuggono alla nostra capacità di riconoscerle e di interpretarle. Pensi che una forma di critica a questi processi, seppure vagamente “dietrologica”, sia giustificata in un’epoca segnata dal vortice delle trasformazioni digitali ?

Risposta: Per rispondere a questa domanda (che in realtà ne sottende diverse) occorrerebbe innanzitutto introdurre il concetto, ad Antonio assai caro, di “significante fluttuante”xi ripreso da Lèvi-Strauss a riguardo della nozione di “mana”. La nuova realtà digitale crea una proliferazione di oggetti e dispositivi che liberati dalla loro precedente natura analogica “ci paiono ‘significare’ qualcosa, ma non sappiamo bene cosa, perché il loro carattere ibrido e (geneticamente) ricombinante esclude l’utilizzo delle categorie tradizionali, mentre non sono ben chiare le eventuali nuove ‘categorie’ che dovremmo usare per comprenderli, usarli, abitarli” . Insomma “essi ci appaiono, a prima vista, come dei significanti senza significato: si comportano come se ce l’avessero, ma non ci permettono di afferrarlo”xii. E se pensiamo ai quasi vent’anni che ci separano da queste allarmanti considerazioni, non possiamo che constatare come, al contrario della cattura dei significanti fluttuanti, il supposto inconscio delle macchine oggi serva proprio alla loro continua proliferazione e, parimenti, al nostro assoggettamento a una realtà che diviene, pertanto, sempre più fluttuante e precaria.

In questo vero e proprio loop, alla domanda se sia giustificato o meno, oggi, impegnarsi in una qualsivoglia forma di critica dei processi di trasformazione in atto si può rispondere positivamente solo a condizione di saper evitare la trappola della critica come disvelamento che di per sé avvierebbe a un’inevitabile processo di cambiamento. Purtroppo le cose non funzionano (né mai hanno funzionato) così!

Domanda 4: Sempre nel saggio dedicato ad Antonio Caronia, pubblicato nel 2016 e intitolato “Distruggere l’Utopia”, sostieni nella conclusione che Philip Dick e Michel Foucault sono gli autori che Caronia, nel corso dei suoi ultimi anni, privilegiava “per traghettarsi fuori dal pantano della palude del soggetto, il vero volto dell’utopia occidentale, infine”xiii. Nelle ultime righe di quel testo auspichi una nuova spiritualità in cui quelle che Foucault chiamava “tecnologie del sé”xiv potrebbero divenire mezzi abili per portarsi fuori dalla “palude del soggetto”. Purtroppo, Foucault non ha potuto concludere le ricerche sulle “tecnologie del sé” e anche Caronia ci ha lasciato prima di dire qualcosa di definitivo a riguardo. Che ne pensi dell’ipotesi che il corpo avrebbe rappresentato, per entrambi, il principale strumento per questo “viaggio al termine della notte”?

Risposta: Cominciamo col dire che se anche entrambi avessero avuto una vita lunga, di “definitivo” su questo argomento non avrebbero potuto dire assolutamente nulla. E questo perché il corpo non può essere considerato uno strumento, né un dispositivo con determinate funzioni. La nascita, o forse meglio, l’invenzione della coscienza nella storia umana ha significato, parimenti, anche l’acquisizione di un corpo, del proprio corpo. Non ci si può dare un’interiorità se non insieme a una omogeneità e unità del corpo stesso.
Oggi che siamo di fronte a un’apocalisse culturale, paragonabile a quella di alcune migliaia di anni fa, che portò alla sofferta nascita di quel “soggetto” di cui Foucault ha raccontato il compimento definitivo e la conseguente fine, dobbiamo di nuovo fare i conti con questo corpo che avevamo pensato come acquisito, dato una volta per tutte e che invece ritorna ad essere problematico, sfuggente, non più nostro!
Ancora una volta immersi nella palude del cambiamento, come ci avverte Caronia, non potremo uscirne tirandoci su per il codino. Cioè, fuor di metafora, appellandoci alla solidità del soggetto, cioè di un ente con fondamenta storiche, per nulla naturali. Sarà così solo con “un nuovo ancoraggio alla materia e al corpo” che si potrà trovare un nuovo antidoto, una bomboletta spray Ubik (quelle in vendita solo nelle migliori farmacie) efficace contro “l’estremo spaesamento e al nostro naufragare in un tempo sempre più microbico e parcellare”xv. Un corpo da ripensare, un corpo in transito da quel vecchio “corpo proprio” al nuovo “corpo comunitario” che si sta configurando in questo momento, davanti ai nostri occhi allibiti e impreparati. E le “tecnologie del sé” per la costruzione di una nuova spiritualità a cui tu accenni, altro non sono che il terreno di scontro, in cui le forze di orientamenti contrapposti, si contendono la costruzione di quelle nuove storie che indirizzeranno e costituiranno i nuovi percorsi dell’avventura umana.

Quanto di queste storie, potrà avere influenze, apporti e modifiche da parte nostra, questa è stata, io credo, la domanda che Antonio si è posta per tutto l’arco della sua vita.

Note

1 Il curriculum artistico di Giuliano Spagnul è reperibile all’indirizzo http://marisa-bello-e-giuliano-spagnul.blogspot.com/p/giuliano-curriculum.html .

2 Nei labirinti della fantascienza : guida critica / a cura del Collettivo “Un’ambigua utopia”. Feltrinelli, 1979.

3  Antonio Caronia, Giuliano Spagnul, Un’ambigua Utopia, Mimesis 2009.

4  Antonio Caronia, Markus Ophälders, Nei labirinti della fantascienza, guida critica (nuova edizione a cura di Antonio Caronia e Giuliano Spagnul) Mimesis, 2012.

6  Gesualdo Bufalino (Comiso, 15 novembre 1920 – Vittoria, 14 giugno 1996) è stato uno scrittore, poeta e aforista italiano.

7  Giuliano Spagnul, “distruggere l’utopia”, in Mondi Altri, a cura di Amos Bianchi e Giovanni Leghissa, (mimesis, 2016). (Su web: http://un-ambigua-utopia.blogspot.com/2016/12/distruggere-lutopia-di-giuliano-spagnul.html )

8  Le lezioni di comunicazione svolte da Caronia nel 2012 a Brera sono reperibili all’indirizzo: https://archive.org/details/LezioniComunicazioneBreraCaronia2012 (Qui ci si riferisce, in particolare, alle lezioni n. 7 e successive).
Per quanto concerne il “poscritto” a
il Cyborg (nella versione del 2008), al momento è possibile visualizzarlo su googlebooks all’indirizzo: https://books.google.it/books?id=goWv6wJqny4C&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false

9  Giuliano Spagnul si riferisce all’ultimo libro di Franco Berardi (Bifo) intitolato Disertate e pubblicato da Timeo editore nell’Aprile del 2023.

11  Il termine “significante fluttuante” appare per la prima volta nei testi di Caronia nelle pagine de Il cyborg. Lo stesso Caronia segnala in quel libro che lo aveva tratto dalla voce “corpo” dell’Enciclopedia Einaudi, curata da José Gil. Come indicato da Spagnul, il tema del “significante fluttuante” era stato sviluppato da Gil a partire dall’introduzione di Lèvi-Strauss a un libro di Marcel Mauss (Marcel Mauss, Sociologie et anthropologie, Presses Universitaires de France, Paris 1950). Ipotesi di notevole interesse teorico, sviluppata nell’ambito dello strutturalismo, il “significante fluttuante” è un’ eredità del connubio tra linguistica e antropologia culturale maturato in Europa e particolarmente in Francia nella seconda metà del Novecento.

12  Il testo di Caronia da cui è tratta la citazione si intitola “L’inconscio della macchina. Ovvero come catturare il significante fluttuante”. Fa parte di un lavoro collettaneo curato da Enrico Livraghi e Simona Pezzano, intitolato “L’arte nell’era della producibilità digitale” (Mimesis, 2006). Il testo di Caronia è reperibile in rete all’indirizzo:https://www.academia.edu/304322/L_inconscio_della_macchina_The_machine_and_the_unconscious_It_Engl._Version

13  Cfr. nota n. 7.

14  Michel Foucault, Tecnologie del sé, Bollati Boringhieri, 1992.