di F. Cozzaglio
Ho letto una volta sul telefono che la gente passa in media un’ora al giorno a guardare il telefono, e mi sembra pure poco considerando che dove ti giri vedi gente attaccata al telefono ma ammettiamo che sia così. Solo un’ora al giorno, ok. Fatto un rapido calcolo sono all’incirca quindici giorni l’anno, ma tutti interi, cioè ventiquattrore filate capito? Bene metti che uno dorme sette ore a notte, che mentre dormi il telefono certo non lo puoi guardare, anche se c’è chi dorme molto di meno e rimane alzato fino a tardi per consultare il telefono, insomma voglio dire che sette ore sono circa un terzo di una giornata che non puoi guardare il telefono giusto? Ok seguitemi. Sono quindici giorni moltiplicato tre in un anno, eccolo lì fatevi il calcolo, pazzesco il tempo che si perde, quante cose si potrebbero fare, che ne so, laurearsi dico davvero, imparare un mestiere, o uno strumento, la tromba per esempio o vattelapesca, che potresti diventare pure bravo se non stessi sempre lì a guardare il telefono no? E niente quindi ho deciso di darci un taglio, userò il telefono solo per telefonare ecco.
Più facile a dirsi, cioè, prendi quella donna seduta al tavolino in fondo al bar davanti a un computer portatile, che ci sta scrivendo capito, potrebbe essere una professoressa, e ogni tot si interrompe e si mette a guardare il telefono, e anche io guardandola devo poi assolutamente guardare il telefono, per scoprire ad esempio che c’è una nuova notifica social per il compleanno di uno che non conosco e però ha un botto di amici che si congratulano con cuori e faccette perché pare sia davvero un grande anche non si sentono da una vita e devono assolutamente ribeccarsi eccetera, ma in fondo sticazzi torno a guardare la professoressa (ormai ho deciso che è di sicuro una professoressa, forse perché è una bella donna austera coi capelli mossi che non si tinge, molto intellettuale per così dire, precisa sputata alla professoressa universitaria che c’è nella pubblicità di una grande azienda di telefonìa, quella che sembra burbera ma alla fine ha pure lei il telefono appizzato sotto la cattedra come tutti i suoi studenti, cioè, loro non hanno la cattedra ma il telefono appizzato sì), insomma fisso la professoressa che ha sul tavolino, sul quale è appoggiato un telefono superslim con schermo touchscreen ad alta definizione, che ha sul tavolino dicevo un computer portatile con il quale sta scrivendo – chessò – un articolo sulla filosofia presocratica o sulle grandi figure femminili del cinema argentino del dopoguerra, ma interrompendosi in continuazione per consultare il sopracitato telefonino, e guardando lo schermo – del telefono cioè – si piega sul tavolino, e sorride, probabilmente per una delle tante notiziole che avremmo ignorato se non avessimo un telefono iperconnesso, per esempio quella dell’albatros femmina dello zoo di Melbourne rimasta senza compagno – gli albatros sono uccelli fedelissimi al legame coniugale – che si è presa cura di un gattino trovato sotto una siepe spartitraffico da un guardiano, bagnato fradicio – il gatto cioè – dopo un acquazzone, e ora crede – sempre il gatto – che il grande uccello sia la mamma e così gli fa un sacco di fusa e scherzetti impertinenti come fanno i gattini molto piccoli quando civettano con i genitori, con la vecchia uccellaccia che guarda bonaria il suo cucciolo eccetera, e non ci avrebbe creduto nessuno se non ci fossero le riprese del telefono del suddetto guardiano che ha seguito tutta la storia per poi montarla in un video divertente (e anche un po’ commovente) da condividere in rete, principalmente sui telefoni se vogliamo dar retta alle statistiche. O magari è solo una vecchia amica – della professoressa intendo, o quella che ad occhio sembra la prof della pubblicità di telefonìa – che finalmente ha risposto ad un messaggio telefonico! Chissà. Quel che è certo è che la gente guarda troppo il telefono. Per dire, la bella signora due tavolini più in là, sempre lei, la professoressa cioè, di classe ma alla mano e capace di autoironia con i suoi occhiali dalla montatura sportiva in acetato rosso e i capelli sale e pepe fissati a crocchia da una matita sbarazzina sopra a delle spalle atletiche – nude nota bene, che questa donna o signora non giovanissima, ma del resto neppure io con quei quattro peli che mi ritrovo sul cocuzzaro sembro più un ragazzino, che questa cioè è una signora bella in tiro – dicevo, le sue spalle nude, si muovono come con brevi impercettibili scatti molto sensuali, mentre scrive al telefono un messaggio infinito, senza nemmeno accorgersi di cosa le accade attorno, quando potrebbe scoprire a pochi passi qualcuno con cui sarebbe forse piacevole fare due chiacchere: tipo me, se sapessi cosa dirle.
Poi all’improvviso ecco che alza il telefono per farsi una foto, e ci crediate o meno, questa donna di classe si fa un autoritratto – o selfie per intenderci – proprio come le ragazzine quando allungano le labbra a culo di gallina negli scatti del telefono cellulare, e anche se lei non è più così giovane però si vede che le piace stare al passo coi tempi, insomma si fa uno scatto con lo smartphone prima di chinare di nuovo la testa sulla tastiera del telefono presumo per digitare un messaggio che accompagni un invio telefonico della foto, o selfie che dir si voglia, alla sua vecchia migliore amica ugualmente autoironica o magari – per una sorta di provocazione scherzosa – a qualche uomo di mondo che le fa una corte sfacciata ma timida essendo un vedovo non più abituato ad approcciare una donna per giunta così elegante e ben messa, intendo dire che ha una certa età ma ancora gliel’ammolla, capito? O più probabilmente, a giudicare dalla velocità con cui si accavallano i messaggi della chat – un ritmo di digitazione telefonica che un attempato spasimante o una vecchia amica per quanto dinamica sono sicuramente incapaci di mantenere – alla figlia che vive poniamo a Barcellona dove ha finalmente realizzato il suo sogno – arredatrice? floral designer? – e che nel telefono cellulare smart (che nel frattempo ha rapidamente imparato ad utilizzare meglio di un’adolescente – da cui si capisce la familiarità con gli autoritratti selfie – essendo una donna estremamente dinamica ed aperta ad ogni novità ancorchè di una certa) ha trovato il modo di mantenersi in contatto per condividere con la mia vicina di tavolo, sua madre cioè – che più che una madre è ormai un’amica esperta e premurosa – tutte ma proprio tutte le sue esperienze, robe cioè che si possono confidare solo ad un genitore dalla mente aperta come è la professoressa, il che mi eccita non poco; ma mentre sto lì come ipnotizzato dall’accavallarsi dei riverberi di luce verde della chat telefonica, lei alza lo sguardo dal telefono, e siccome non voglio che pensi che la stia fissando mi butto sul telefono e per rendere la cosa credibile mi faccio un giro sul social, dove trovo in un post la mia ex in un locale etno chic o kitsch fate voi, con gli amici fotografati da un telefono dotato di camera full accadì che si abbrancicano euforici per mostrare a tutti quanto è divertente la vita – non capisco perché la gente deve spiattellare tutto sul telefono, cioè sui social ci sto perché mi serve per il lavoro, sono tipo obbligato che cioè alla fine è pure utile se lo usi ad esempio per informarti, ma quando vedo soprattutto i ragazzi che ci passano la vita mi chiedo, ma come abbiamo fatto noi che abbiamo una certa, insomma siamo stati fortunati perché siamo cresciuti senza queste che sono diventate inutili distrazioni per non dire manìe in fondo, e anche oggi potremmo tranquillamente farne a meno, noi, e anzi ogni tanto ci faccio un pensiero tipo ora lo frullo sto telefono e poi voglio vedere, tanto per uno come me cambia poco – ma sul telefono leggo che “la serata si fa speciale…” con quei puntini di sospensione che sembrano volutamente insinuare ad uso e consumo del sottoscritto la concreta possibilità di un’avventura piccante della mia ex, per la quale ammetto che nonostante tutto ho ancora un debole, e anche lei mi è rimasta affezionata almeno a giudicare dai like che mi lascia nei post sul telefono, se non fosse che nei tag del post del social sullo smart c’è anche questo ruffiano che passa praticamente la vita lì al telefono a mettere like e commenti sdolcinati nella bacheca della mia ex, e si capisce che a lei piace perché essendo una ragazza vanitosa – ragazza poi si fa per dire – comunque essendo una stronza smorfiosa gli risponde sempre come se avesse fatto le battute più intelligenti del mondo.
La cosa mi mette di cattivo umore, meglio chiudere qui col telefono per oggi, penso guardando il telefono, come pure sta facendo la bella signora – la prof cioè – qui al bar, ma succede una cosa, succede che alziamo gli occhi in simultanea e ci incrociamo, e poi il suo sguardo si abbassa al mio telefono, e il telefono in effetti sta urlando my sharona, un piccolo vezzo da vecchio discotecaro, comunque è mia madre che mi squilla al telefono di sicuro per sapere se torno a cena e così decido di rifiutare la chiamata, ma questo sembra deluderla, quasi fosse un imperdonabile atto di maleducazione telefonica, e insomma torna a guardare il telefono e io pure di riflesso, non sapendo cos’altro fare, per apprendere della strage in un campus dell’Oklahoma nel quale, come spesso succede, un’ex promessa del softball convertito all’Islam radicale dopo essere sopravvissuto ad un’overdose di benzoadiepine si è barricato in un’aula col fucile d’assalto acquistato nel supermarket di quartiere con l’intento preciso di sforacchiare l’assistente che lo aveva ripetutamente – sadicamente – bocciato all’esame di economia aziendale, ma non prima di aver costretto i presenti a cantare god bless america in mutande immortalando il tutto col telefono, di modo che a diecimila chilometri di distanza comodamente seduto nel bar di Mario io possa assistere alla stravagante performance su di uno schermo telefonico touch di ultima generazione, come pure, probabilmente, sta facendo la mia amica – cioè che ormai mi sembra di conoscerla – qualche tavolino più in là, dal momento che il video è diventato tipo virale su tutti i telefoni del mondo.
Che storia questa della rete che ci unisce così indissolubilmente me, la mia ex, la professoressa, e un killer religioso postadolescente in un unico amplesso di onde elettromagnetiche e megafibre telefoniche. Sento il bisogno impellente di condividere questa considerazione sul telefono.
Dopo l’atto telefonico mi rendo conto di avere il fiatone. Fatto. L’ho rifatto.
Ma oggi avevo solennemente deciso di non farlo, perché non voglio sembrare uno di quelli che sostituisce la vita reale col telefono e sta sempre lì a postare al telefono pensieri di metafisica dozzinale per tamponare un’evidente vuoto affettivo, e poi lei, intendo la prof, ha posato finalmente il telefono e si guarda attorno come smarrita, sarebbe il momento di dirle qualcosa in questo momento di vulnerabilità da astinenza telefonica, ma prima devo cancellare il post, anche se nel frattempo è comparsa la bandierina rossa di un like, il che significa che già in molti avranno l’avranno visto – sono ben note le correlazioni statistiche tra visualizzazioni e like, e ridendo e scherzando già sono passati cinque minuti – magari anche la mia ex, e non voglio certo fare la figura dell’insicuro che ritratta, non davanti a lei e magari a quel ruffiano che le fa il filo telefonicamente, ma intanto che sto a pensare al telefono c’è questa donna affascinante anche se matura, sempre più bella ogni minuto che passa, il telefono rosa metallizzato con attaccato un pendaglio a forma di cuore, sicuramente un modello ultrarecente – il mio invece ha il vetro crepato dopo essere caduto di spigolo sull’asfalto, e siccome dal telefono si capisce molto di una persona d’un tratto mi sento scoraggiato e impotente; ma tanto che importa dal momento che la prof sta alzando infine un braccio a salutare qualcuno fuori dal bar, è una sua amica, o sorella, o cognata o vattelapesca insomma un’altra signora, che si toglie il telefonino dall’orecchio nel momento stesso in cui la vede, mentre sul tavolo il telefono manda la luce per un avviso di chiamata non risposta, e così mentre si alza raccogliendo tutto in fretta e ficcando il cellulare dentro un’elegante borsa di pelle, mi avvolge quel senso di malinconia struggente di quando ti accorgi che un rapporto in cui avevi davvero creduto finisce.
E sai che è per sempre.