di M. Kep
Animali da soma.
Seppure non faccia più parte del nostro mondo ipertecnologico, molti ricorderanno quel modo di dire, riferito agli asini, ai muli o ai cavalli che individuava i metodi per farli camminare (e tirare il carretto). Gli animali, a differenza delle automobili, avevano una volontà propria e avrebbero preferito oziare all’ombra di un albero masticando erbe di prato. Per “convincerli” a svolgere il duro lavoro a cui erano destinati andavano adeguatamente motivati, con premi e punizioni: carote e bastonate appunto. Ma a volte bastava far penzolare di fronte ai loro occhi una carota per farli camminare in quella direzione, con grande risparmio di carote, per il padrone.
Questa immagine è stata usata nei secoli per illustrare come dirigere gli umani a fare ciò che i potenti desideravano, con premi e punizioni. Era la cosiddetta “società disciplinare”, apparentemente sostituita in Occidente dalla “società della seduzione”, quella in cui il potere usa solo le carote e mai il bastone. In pedagogia si definisce “rinforzo positivo” il premio del comportamento auspicato ed è attualmente il principale metodo pedagogico ammesso nei sistemi di formazione, dall’asilo al post-doc. Eliminate tutte le forme di punizione, soprattutto quelle corporali, il comportamento viene indirizzato mediante premi e promesse di premi: il cibo, i sorrisi, l’affetto, le lodi, l’inclusione nel gruppo, i buoni voti, il successo, i soldi, la fama, i riconoscimenti (Nobel, medaglie, premi, ordini vari di merito militari e civili…). Le uniche punizioni ammesse sono le multe, lo stigma sociale (Goffmann 2003) e il carcere per i reati più gravi. Questo perchè l’umanità occidentale è talmente socializzata da vivere con estrema sofferenza (Lasch 1981) anche la mancanza di premi: la povertà, la marginalità, l’esclusione. Condizioni molto diffuse un tempo e che erano ritenute all’origine di gran parte dei comportamenti antisociali, ma anche un viatico per il paradiso. Michel Foucault ha descritto magistralmente questo disciplinamento degli emarginati nel suo “Sorvegliare e punire”(Foucault 1993), mostrando come queste società disciplinari siano arrivate fino a noi e rimangano residualmente in quelle che sono le contemporanee istituzioni totali; carcere, esercito, ospedali psichiatrici, scuole.
La superiorità occidentale
Nelle nostre società liberali e democratiche, basate molto più sul controllo e la prevenzione che sulla violenza repressiva, il potere ha assunto una nuova forma, più intelligente, come la definisce il filosofo contemporaneo Byung-Chul Han.
Il potere intelligente, benevolo non opera frontalmente contro la volontà dei soggetti sottomessi, ma la guida secondo il proprio profitto. Esso è piú affermativo che negativo, piú seduttivo che repressivo. Si impegna a suscitare emozioni positive e a sfruttarle. Seduce, invece di proibire. Piú che opporsi al soggetto, gli va incontro. Il potere intelligente si plasma sulla psiche, invece di disciplinarla o di sottoporla a obblighi o divieti. Non ci impone alcun silenzio. Piuttosto, ci invita di continuo a comunicare, a condividere, a partecipare, a esprimere le nostre opinioni, i nostri bisogni, desideri o preferenze, e a raccontare la nostra vita. Questo potere intelligente è, per cosí dire, piú potente del potere repressivo. Si sottrae a ogni visibilità. La crisi della libertà nella società contemporanea consiste nel doversi confrontare con una tecnica di potere che non nega o reprime la libertà, ma la sfrutta. La libera scelta viene annullata in favore di una libera selezione tra le offerte. (Han 2016 p.24)
Dall’alto della nostra recente (e limitata) libertà di scelta guardiamo alle forme arretrate di esercizio del potere, quelle che dominavano le nostre società fino a meno di un secolo fa, come scandalose dittature, residui medioevali di esercizio arbitrario della violenza, autocrazie pericolose e inquietanti, totalitarismi compiuti e militarmente aggressivi. Grazie alla protezione che da quei “nemici” ci viene assicurata, grazie alla tutela universale dei “diritti umani” e alla tutela degli ecosistemi dell’intero pianeta, il nostro cuore è conquistato dal potere che si presenta come garante della giustizia. Non vogliamo un altro sistema di relazioni sociali, vogliamo che si diffondano e perfezionino quelle in cui viviamo noi, ricchi borghesi occidentali. Vogliamo che tutti e tutte o tuttu nel mondo possano vivere la nostra libertà. Questo è l’Impero del fortunato saggio (Hardt-Negri, 2001) in cui si descrive una globalizzazione neocoloniale, oggi in crisi, che ha permesso l’espansione incredibile della classe media in occidente, sottraendo risorse ai paesi più poveri ma sempre nella narrazione di tutela dei diritti umani e della pace. Questo è il realismo capitalista per cui “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” (Fisher 2018), perchè la legge del libero mercato è stata assunta a legge naturale del pianeta e lo status di consumatore narcisista è considerato il successo esistenziale dell’individuo.
L’attuale consenso rispecchia un vizio antico degli esseri umani, quello di creare una ideologia per cui il punto attuale dello sviluppo sociale viene percepito come il punto di arrivo dell’umanità (Mazzetti 2016), il “migliore dei mondi possibili” di Pangloss, il precettore del Candido (Voltaire 2013). Da ora in poi la “storia finisce” come evoluzione e si assisterebbe soltanto ad un cambiamento quantitativo, ovvero le attuali condizioni tenderebbero ad estendersi fino alla totalità degli esseri umani del pianeta. Questa narrazione è palesemente falsa ma risulta una rassicurante “significazione immaginaria sociale”(Castoriadis 2011), oltre a giustificare il potere coevo egemone. Già nell’antichità classica Aristotele, maestro di Alessandro Magno adolescente, applicò questo principio “storico” della filosofia, giunta con lui a sistematizzare l’intero sapere scientifico. Ai primi del 1800 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, un altro grande ideologo del potere, presentava la monarchia prussiana e il suo sistema filosofico come compimento del cammino dello Spirito nella storia. Pochi anni più tardi anche Auguste Comte, iniziatore del positivismo, affermava che l’età moderna (o positiva, come la definiva lui), con il metodo del sapere scientifico, era il punto di arrivo definitivo della storia dell’umanità. Più recentemente e prosaicamente, appena dopo la caduta dell’URSS, il politologo neoconservatore statunitense Fukuyama ha reinterpretato in senso liberal democratico questo concetto di fine della storia.
La verità è che siamo diventati dipendenti dal rapporto di denaro che ci permette di essere consumatori (una condizione sociale piuttosto recente) e pensiamo che questo denaro sia un diritto umano naturale, non lo strumento per governarci. Ci risulta una estrema ingiustizia quando il padrone non ha più bisogno di noi e ci nega il lavoro e lo stipendio. Vogliamo un “reddito di esistenza” o almeno un lavoro salariato, ma lo vogliamo dallo Stato o dagli imprenditori, in un sistema capitalista in cui possiamo scegliere liberamente solo fra diverse sfumature di neoliberismo. Nessuno ha voglia di affrontare quello scomodo inconveniente di doversi organizzare, assumere il governo, istituzionalizzare nuove regole e relazioni tra governanti e governati per redistribuire equamente il lavoro e la ricchezza. Insomma manca la motivazione a conquistare (o ri-conquistare) dei diritti sociali che il capitalismo liberale non prevede. Evidentemente riteniamo che, per quanto ci riguarda, la storia può anche fermarsi qui e che la nostra posizione non è poi così brutta, visto che continuamente ci viene fatto capire che siamo dei privilegiati. Potremmo stare molto peggio, potremmo essere poveri, miseri, come i migranti disperati che immaginano la nostra condizione come Lamerica. Non è certo nuova una certa tendenza ad accettare volontariamente la servitù (de la Boéthie 1979).
Quando riceviamo un compenso, che sia un dividendo, un affitto, degli interessi, un profitto, un premio produzione, una parcella, uno stipendio, un finanziamento europeo o un assegno di ricerca chiediamoci sempre perché lo riceviamo. Un motivo è per ciò che produciamo (bene o servizio) per qualcun altro, l’altro motivo può essere il ruolo che ricopriamo (rendita di posizione) e il supporto che forniamo al sistema di potere esistente. Da questo possiamo capire se siamo l’uomo con la carota o l’asino che la rincorre.
Bibliografia
S. Alinsky, Radicali, all’azione! Organizzare i senza-potere, Edizioni dell’Asino, 2022.
C. Castoriadis, L’enigma del soggetto. L’immaginario e le istituzioni, Dedalo, 2011.
Gruppo Krisis, Manifesto contro il lavoro, Mimesis, 2023.
M. D’Eramo, Dominio, Feltrinelli, 2020.
E. de la Boéthie, Discorso sulla servitù volontaria (1576), Jaka book, 1979.
M. Fisher, Realismo capitalista, Nero, 2018.
M.Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, 1993.
E. Goffman, Stigma. L’identità negata (1963), Ombre Corte, 2003.
A. Gorz, L’immateriale, Boringhieri, 2003.
B. C. Han, Psicopolitica, Nottetempo, 2016.
M. Hardt – A. Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, RCS, 2001.
C. Lasch, La cultura del narcisismo, Bompiani, 1981.
G. Mazzetti, Il futuro oltre la crisi, Manifestolibri, Roma, 2016.
B. Stiegler, La società automatica, Meltemi, 2019.
P. Van Parijs, Il reddito minimo universale, Bocconi, 2013.
Voltaire, Candido o l’ottimismo, Feltrinelli, 2013.
M. Weber, La scienza come professione. La politica come professione, Einaudi 2004.