La nostalgia del corpo sonoro: isolamento sociale e comunicazioni di massa

la sagoma di un umano da solo camminando in uno scenario 3d virtuale e geometrico

img generata da IA – dominio pubblico

Pubblicato in origine su Transform Italia il 30 Luglio 2025

di P. Nicolosi

In un libro uscito nel 1977 e intitolato Per una storia dei bisogni l’eclettico, imprevedibile e geniale teologo austriaco Ivan Illich scriveva:

«Cinquant’anni fa, quasi tutte le parole che uno udiva erano rivolte personalmente a lui come individuo o a qualcun altro che gli stava vicino. Solo in certe circostanze lo toccavano in quanto membro indifferenziato di una massa – a scuola o in chiesa, a un comizio o al circo. Le parole erano per lo più come lettere scritte a mano e sigillate, non come il ciarpame che inquina le nostre poste.» 1

Illich, nel paragonare le parole del passato a “lettere scritte a mano”, aveva in mente qualcosa di piuttosto simile al fenomeno che,  vent’anni dopo, Franco Berardi(Bifo) chiamerà, con una metafora ispirata all’economia, inflazione semiotica. In a nutshell:  un numero crescente di segni “compra” sempre meno significato. 2 Le filiere di produzione automatica di parole e immagini ne riducono sistematicamente il valore, le svuotano di significato. Illich scriveva a riguardo del diffondersi di una “merce industriale manipolante” che andava progressivamente a sostituirsi a quelli che lui chiamava i “mezzi conviviali”. Alludeva chiaramente ai mass-media generalisti (radio e TV), che in quegli anni stavano raggiungendo la massima diffusione.

Frank Pasquale, uno studioso che si occupa da molti anni di aspetti etici e legali dell’intelligenza artificiale e della robotica,  ha pubblicato nel 2020 un libro intitolato Le nuove leggi della robotica. Una delle quattro nuove leggi con cui Pasquale intende sostituire le “classiche” leggi di Asimov, afferma che i dispositivi artificiali non devono “contraffare l’umanità”. Dove con l’espressione contraffazione dell’umanità,  si riferisce principalmente all’attuale diffusione di robot umanoidi commerciali capaci di assumere modi, espressioni e posture mirate a farli passare per esseri umani.

Anche nel contesto della robotica abbiamo dunque a che fare con una forma di “inflazione” paragonabile, almeno sotto certi profili, a quella segnalata a suo tempo da Franco Berardi: quando un robot linguistico si presenta come umano per ottenere la nostra attenzione, secondo Pasquale, l’intera specie subisce una sorta di deprezzamento, si svaluta.  A suo giudizio: «La voce e il volto di un altro umano meritano rispetto e attenzione, cose che le macchine non ci danno». E quindi spiega:

«Quando i chatbot (“software di assistenza virtuale”) ingannano qualcuno facendogli credere di stare interagendo con una persona, i suoi programmatori si comportano di fatto come falsari, bravi a contraffare le sembianze umane per accrescere lo status delle proprie macchine. Quando i soldi falsi in circolazione raggiungono una massa critica, la valuta legittima perde valore. Un destino simile potrebbe attendere i rapporti umani nelle società che permetteranno alle macchine di imitare le emozioni, l’espressione verbale e l’aspetto degli umani». 3

Considerato che Ivan Illich, come abbiamo visto,  aveva posto un problema del tutto analogo oltre cinquant’anni fa, facendo riferimento alle tecnologie della comunicazione classiche di quel periodo, potrebbe nascere il sospetto che la contraffazione dell’umano, lungi dall’essere un’esclusiva dei robot umanoidi contemporanei,  lavori a regime fin dagli anni Settanta come parte integrante del media system.

Procedendo per questa via, si potrebbe arrivare a sostenere che i robot umanoidi interattivi e i chatbot siano soltanto  l’ultima evoluzione di un processo di trasformazione delle tecnologie della comunicazione che sortisce, come effetto principale, quello di determinare una progressiva riduzione del valore assegnato alle relazioni interumane faccia a faccia. Sono del resto in molti oramai a pensare che l’inflazione semiotica stabilisca un rapporto, piuttosto oscuro ma certo degno di indagini approfondite, con i sempre più frequenti deficit di senso, con la crescente percezione di insignificanza che affligge la contemporanea epoca della passioni tristi.

L’intelligenza artificiale si trova a dover scontare una sorta di peccato originale a questo riguardo: il celebre test di Turing, vera pietra miliare dell’AI, riconosceva alla macchina intelligenza quando questa riusciva a farsi passare per un essere umano. Fin dall’inizio della sua avventura, dunque, l’intelligenza artificiale è scesa a patti con il gioco di simulazione, al punto che un’imitazione ben riuscita è stata, almeno in alcune occasioni, considerata equivalente al processo cognitivo che si intendeva esplorare. Ispirata fin dalle origini al comportamentismo americano, tale scelta di metodo ha favorito il processo attraverso cui la contraffazione dell’umano è divenuta un obiettivo in sé, in larga misura indipendente dalle finalità  scientifiche dell’intelligenza artificiale. Insomma, che un dispositivo artificiale riesca ad essere persuasivo e sappia convincerci dell’autenticità della sua intelligenza, ha finito con  l’essere considerato un risultato perfino più importante della  sua reale capacità di risolvere problemi o della sua effettiva rispondenza scientifica al fenomeno che si voleva studiare. Non erano certamente queste le intenzioni originarie di Alan Turing, ma nel suo test c’era margine sufficiente per cadere nell’equivoco.  Di qui le evidenti prossimità, pericolosamente in aumento, tra intelligenza artificiale e sistema tradizionale dei mass-media.

Le relazioni sociali, in ogni caso, non sono sul punto di perdere valore a causa dei chatbot che oggi imitano gli umani, come sembra sostenere Frank Pasquale. Esse hanno già perso gran parte del loro valore per effetto delle precedenti “merci industriali manipolanti” di cui scriveva Ivan Illich. TV generalista, radio e computer hanno  eroso progressivamente quello che il politologo Robert Putnam ha definito, in un libro fondamentale, uscito nel 2000 e intitolato Bowling Alone, il “capitale sociale”. 4 Espressione particolarmente interessante che riesce a dare una dimensione empirica a quel valore, intrinseco ai rapporti conviviali, che l’inflazione semiotica e quella robotica sottraggono costantemente alla collettività.

Robert Putnam in quel libro ha calcolato, tra le altre cose, i valori medi, lungo l’arco di quarant’anni, di una serie di indicatori di socialità, che vanno da quante volte gli americani andavano a votare, o andavano  in chiesa o al club, a quante volte andavano al cinema insieme, offrivano un drink a un amico o a un conoscente, stringevano la mano di altre persone e così via. I risultati furono desolanti. Gli americani del 2000 firmavano un quantitativo di petizioni inferiore del 30 per cento rispetto a quanto accadeva alla fine degli anni Ottanta e si impegnano in iniziative a difesa dei consumatori il 40 per cento di volte in meno rispetto a quanto facevano vent’anni prima.

È  passata molta acqua sotto i ponti, Bowling Alone risale oramai a 25 anni fa, ed è interessante rilevare il grande successo che il libro ha avuto in ambienti “woke”. Putnam è un tipico professore di scienze sociali americano di ispirazione liberal. Oggi ha 83 anni e, recentemente, è perfino uscito un documentario ispirato a Bowling Alone, alla cui realizzazione il Nostro ha collaborato molto attivamente. Oltre ai successi di pubblico e accademici, Putnam ha ricevuto anche  riconoscimenti ufficiali da parte di due presidenti democratici degli Stati Uniti. Sia Clinton che Obama lo hanno invitato alla Casa Bianca e lo hanno insignito con medaglie e altro prestigioso titolame. A tale riguardo c’è un punto su cui occorre ragionare: nonostante il successo del libro di Putnam, tutti gli indici di solitudine e isolamento sociale che aveva indicato nel 2000 sono drammaticamente cresciuti negli ultimi vent’anni. Dimostrando, in tal modo, che i “riconoscimenti” della politica non hanno sortito alcun effetto tangibile sul degrado delle relazioni sociali che questo studioso  aveva segnalato.  Putnam oggi ammette amaramente che il suo lavoro non è servito in alcun modo a scongiurare quei fenomeni di isolamento sociale che si era preoccupato di individuare  in modo così preciso e tempestivo. 5

Dal punto di vista della periodizzazione storica questa osservazione sembra confermare quanto già accenato sopra:  l’erosione del capitale sociale, già iniziata quando Illich pubblicava il suo lavoro sui bisogni (1977), è aumentata progressivamente nel periodo compreso tra gli anni Ottanta e Novanta, quello descritto da Robert Putnam in Bowling Alone. Con l’esplosione dell’informatica di massa e dei social media, dopo l’anno 2000, la situazione è gravemente peggiorata con un’ulteriore, decisa impennata verso l’alto degli  indici di solitudine e isolamento, che oggi sono esplicitamente presentati, in recenti e autorevoli ricerche, come autentiche calamità sociali,  scaturigine di problemi di salute gravi o gravissimi (inclusi problemi circolatori, infarto, diabete, malattie mentali), di morte prematura e di inedite forme di sociopatia.

A questo riguardo vale almeno segnalare una pubblicazione del 2023 del Surgeon General’s Advisory, un’istituzione governativa statunitense incaricata di portare  all’attenzione pubblica problemi di salute urgenti, che richiedono un’attivazione immediata da parte delle autorità e della popolazione.  Fin dal titolo, il rapporto denuncia esplicitamente un’epidemia di solitudine e isolamento sociale. 6 Incuriosisce  e fa riflettere che il report successivo,quello del 2024, è invece dedicato ai social media, indicati come causa di problemi mentali, particolarmente tra i giovani. Che la vicinanza tra i due rapporti del Surgeon non sia del tutto accidentale non viene dichiarato esplicitamente dagli esperti, ma qualche volta viene abilmente dato a intendere.

Ora, che si tratti dell’inflazione semiotica come la intende Franco Berardi,  della “sostituzione di merce industriale manipolante ai mezzi conviviali” nel senso di Ivan Illich (1977) oppure di contraffazione dell’umanità secondo l’espressione di Frank Pasquale (2020), abbiamo comunque a che fare con processi di lungo periodo il cui esito conclusivo è la riduzione progressiva delle relazioni faccia a faccia e, per certi versi, del piacere stesso delle interazioni.  Nel rapporto 2023 del Surgeon General’s Advisory viene indicato con chiarezza come tra il 2003 e il 2019 l’ isolamento sociale dei cittadini americani (tempo passato in solitudine) sia aumentato mediamente di venti ore al mese a persona.

Che le tecnologie della comunicazione, comunque le si veda, siano direttamente coinvolte in questo declino sembra evidente a molti, pur tra le differenze di interpretazione. Mentre Robert Putnam continua a pensare che la televisione sia la principale responsabile dell’aumento dell’isolamento sociale, la sociologia della comunicazione mainstream insiste da qualche anno nell’addossare ogni responsabilità ai social media. Nel frattempo, aumenta il numero di studiosi che,  sulla linea di Frank Pasquale, guardano con crescente preoccupazione gli scenari aperti dalle recenti evoluzioni di robotica e intelligenza artificiale. Si tratta sempre del medesimo problema? O, piuttosto, l’inflazione semiotica è cosa ben diversa dall’inflazione robotica ?

Risponderei, in modo un po’ sibillino, che a questo breve testo riconosco soltanto un piccolissimo merito: quello di aver insinuato in lettrici e lettori il sospetto che, nella grande varietà di strumenti e fenomeni comunicativi che ci hanno accompagnato in questi ultimi cinquant’anni, vi sia un elemento comune: la progressiva emorragia del senso, qualcosa come un inesorabile svuotamento del valore della relazione. Franco Berardi ha spesso citato nei suoi lavori una studiosa che si chiamava Rose Goldsen. Esperta di mass-media, Goldsen scrisse in un suo libro che quella dei cosiddetti boomer è stata la prima generazione che ha ricevuto più parole da una macchina che dalla propria madre. Che il problema sia proprio lì, nel punto in cui la parola ha smesso di incontrare direttamente il corpo e la voce dell’altro, è l’ipotesi da cui dovrebbe partire chiunque voglia indagare il problema spingendosi oltre il “sentito dire”. Ma l’oltre, come era solito ripetere Mario Tronti, bisogna meritarselo.

 

Note

  1. Ivan Illich, Per una storia dei bisogni, Arnoldo Mondadori Editore, 1977.[↩]
  2. Franco Berardi, La fabbrica dell’infelicità, Derive Approdi,2001.[↩]
  3. Frank Pasquale, Le nuove leggi della robotica, Luiss, 2020.[↩]
  4. Robert D. Putnam, Capitale sociale e individualismo, Il Mulino, 2004.[↩]
  5. Particolarmente interessante, a tale riguardo, questa recente intervista telefonica rilasciata da Robert Putnam al New York Times: https://www.youtube.com/watch?v=sqZ4Po4vMAQ [↩]
  6. https://www.hhs.gov/sites/default/files/surgeon-general-social-connection-advisory.pdf[↩]