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di M. Sommella
Introduzione
La democrazia rappresentativa, nella sua forma moderna, è stata un pilastro fondamentale delle società occidentali. Durante il periodo noto come “capitalismo democratico” (1945-1975), ha consentito progressi significativi nel benessere economico, nei diritti civili e sociali, e nella stabilità politica. Tuttavia, dalla metà degli anni Settanta, questo modello ha subito una progressiva erosione, aprendo la strada alla fase della post-democrazia, caratterizzata da una riduzione della partecipazione politica e da un crescente controllo delle élite economiche e tecnocratiche.
Come indicato da Wolfgang Streeck (Tempo guadagnato, 2013), il periodo del capitalismo democratico ha rappresentato l’apice delle democrazie occidentali, ma ha iniziato a sfaldarsi quando politiche globali ed economiche hanno indebolito il compromesso tra capitale e lavoro. Questo articolo esplora i processi storici e teorici che hanno portato a questa trasformazione, ponendo l’accento sulle possibili vie di rinnovamento attraverso modelli partecipativi e deliberativi.
1. Il trentennio d’oro del capitalismo democratico
Il periodo tra il 1945 e il 1975 rappresenta l’apice della democrazia rappresentativa. In questa fase, caratterizzata dalla ricostruzione post-bellica, lo Stato svolgeva un ruolo centrale nella promozione di politiche pubbliche volte a garantire servizi sociali, istruzione e sanità. Sindacati e partiti politici fungevano da mediatori tra classi sociali diverse, garantendo stabilità e benessere attraverso un compromesso tra capitale e lavoro.
Le idee di John Maynard Keynes ispirarono questo modello, incentrato su uno “Stato imprenditore” attivo e sul rafforzamento del Welfare State, come documenta Gianfranco Borrelli. Le costituzioni di Italia e Germania segnarono una rottura netta con i totalitarismi del passato, tracciando un progetto fondato su diritti e partecipazione civica. Secondo Borrelli, si trattò di un periodo unico di equilibrio tra costituzione economica e costituzione politica.
2. La crisi della democrazia rappresentativa
A partire dagli anni Settanta, diversi fattori hanno contribuito alla crisi del capitalismo democratico:
• Crisi economiche globali: La crisi petrolifera del 1973, unita alla crescente globalizzazione, mise in discussione la sostenibilità del modello keynesiano, come evidenziato da Streeck.
• Politiche neoliberali: L’ascesa di leader come Reagan e Thatcher segnò il passaggio a un modello economico basato sulla deregolamentazione e sulla privatizzazione, una trasformazione già prevista da Karl Polanyi (La grande trasformazione, 1944).
• Erosione del Welfare State: Il ridimensionamento delle tutele sociali, analizzato da Luciano Gallino (Il colpo di stato di banche e governi, 2013), ha contribuito all’aumento delle disuguaglianze.
Secondo il rapporto della Trilateral Commission (The Crisis of Democracies, 1975), la lentezza dei sistemi democratici rappresentativi veniva percepita come un ostacolo alla crescente accelerazione economica globale, favorendo l’affermarsi di tecnocrazie e organismi sovranazionali.
3. Post-democrazia: caratteristiche e contraddizioni
La post-democrazia rappresenta una fase in cui le istituzioni democratiche formali continuano a esistere, ma il loro funzionamento effettivo è compromesso. Bernard Manin (Principi del governo rappresentativo, 1995) evidenzia come la concentrazione del potere esecutivo e la personalizzazione della politica abbiano ridotto il ruolo del dibattito parlamentare e delle elezioni, privando i cittadini di una partecipazione sostanziale.
La spettacolarizzazione mediatica della politica e il predominio di élite tecnocratiche sono state denunciate anche da Colin Crouch (Post-democrazia, 2005), che sottolinea come tali dinamiche abbiano favorito la disconnessione tra cittadini e istituzioni.
4. Il ritorno del populismo
La crisi della rappresentanza ha aperto la strada a movimenti populisti, che si presentano come alternativa al sistema politico tradizionale. Ernesto Laclau (La ragione populista, 2008) analizza il populismo come una reazione alle difficoltà di rappresentare i conflitti reali e propone che i movimenti populisti rispondano a bisogni lasciati insoddisfatti.
Tuttavia, Pierre Rosanvallon (Pensare il populismo, 2017) sottolinea come questi movimenti tendano a semplificare e pervertire i processi democratici, enfatizzando la necessità di trasformazioni più complesse e partecipative.
5. Ripensare la partecipazione democratica
Di fronte alla crisi della rappresentanza e all’ascesa del populismo, emerge la necessità di ripensare le modalità di partecipazione politica. Diverse esperienze internazionali dimostrano che è possibile costruire forme di democrazia più inclusive e partecipative:
• Democrazia diretta: Modelli come quello svizzero, documentati da Moritz Rittinghausen (La législation directe du peuple, 1851), dimostrano l’efficacia di strumenti come il referendum.
• Democrazia deliberativa: Susan Podziba (Chelsea Story, 2006) e Luigi Bobbio hanno esplorato casi in cui processi deliberativi hanno migliorato la qualità delle decisioni pubbliche.
• Democrazia partecipativa: Yves Sintomer (Gestion de proximité et démocratie participative, 2005) evidenzia come strumenti come il bilancio partecipativo possano promuovere la gestione condivisa delle risorse pubbliche.
Questi modelli, come afferma Borrelli, non devono sostituire la democrazia rappresentativa, ma rafforzarla integrando i cittadini nei processi decisionali.
6. Verso una nuova stagione politica
Per superare la crisi della post-democrazia è necessario promuovere una nuova stagione politica basata su:
• Educazione civica e partecipazione: Investire Per superare la crisi della post-democrazia è necessario promuovere una nuova stagione politica basata su:
• Educazione civica e partecipazione: Un obiettivo che, secondo Pierre Rosanvallon (La legittimità democratica, 2015), può essere raggiunto sviluppando forme di prossimità tra cittadini e istituzioni.
• Trasparenza e responsabilità: Judith Butler (L’alleanza dei corpi, 2017) suggerisce che i movimenti collettivi possano agire come catalizzatori di cambiamento verso una maggiore responsabilità delle istituzioni.
• Innovazione istituzionale: È necessario, come indicato da Donatella Della Porta (Politica progressista e regressiva nel tardo neoliberismo, 2017), immaginarenuove forme di governance capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.
Un’idea concreta per realizzare questa trasformazione potrebbe essere la costruzione di un fronte popolare progressista, fondato su:
• Comunicazione e piattaforme autonome: Garantire uno spazio indipendente e collettivo per il confronto, l’informazione e la partecipazione dei cittadini.
• Gestione collettiva: I processi decisionali e organizzativi dovrebbero essere basati su strutture collettive, in cui i garanti assicurino trasparenza e rispetto delle regole condivise.
• Scrittura condivisa dei programmi: Attraverso strumenti digitali partecipativi, i cittadini potrebbero contribuire direttamente alla stesura dei programmi politici, rendendo il processo inclusivo e democratico.
• Individuazione partecipativa delle candidature: L’utilizzo di piattaforme aperte permetterebbe di selezionare i rappresentanti in modo trasparente, basato su competenze e adesione ai valori condivisi.
Questa proposta si inserisce nel solco di esperienze già esistenti di democrazia partecipativa, ma ne amplia l’ambizione, integrando principi di autogoverno e collettività. È un modello che mira non solo a rispondere alla crisi della rappresentanza, ma a ricostruire la fiducia tra cittadini e politica, rendendoli co-protagonisti di un cambiamento autentico e sostenibile.
Bibliografia
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W. Streeck, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli, 2013.