di:M. Sommella
In origine pubblicato su Demosfera il 20-07-2019
Oggi è impensabile comprendere il livello di odio circolante se non si comprendono le tecnologie e gli strumenti tecnologici.
È impensabile anche comprendere oggi l’evoluzione dell’odio se non si parte dalla seconda guerra mondiale e dalla sua origine. La propaganda d’odio inizia soprattutto in Europa durante i totalitarismi e nel corso della ricostruzione post-bellica.
Gli U.S.A, hanno intrapreso una strada che è totalmente differente dall’approccio europeo. Noi europei abbiamo un problema pratico. A partire dagli anni 2000, il 90% dei nostri dati, le nostre informazioni, sono custodite e circolanti su piattaforme nord-americane, tutti i nostri dati circolano oggi su Facebook, Twitter, Hotmail, Gmail e altro. Spesso, i comportamenti di queste piattaforme non li comprendiamo perché non conosciamo la tradizione e l’approccio statunitense.
Quando si parla di espressioni d’odio o istigazione all’odio o Hate speech, gli studiosi individuano subito tre tipi di odio, o di istigazione all’odio, scaturiti dai totalitarismi e dalle dittature naziste e fasciste:
– La razza (il concetto di razza è stato definitivamente ridimensionato dalla genetica moderna. In pratica non esistono razze diverse, ma un’unica razza, quella umana).
– La religione.
– La politica.
Quindi, quando sentiremo parlare di odio in senso puro o di istigazione, è un odio che riguarda gli ambiti della razza-odio razziale; della religione-odio religioso; della politica-odio politico. Ogni altra forma di odio che venga in mente e non venga collegata a questi tre ambiti, per gli studiosi, potrebbero essere espressioni grevi, offese, ma non considerate hate speech, o espressioni d’odio in senso lato.
Dalla metà degli anni 80 del secolo scorso si è aggiunto l’odio omofobico, un fenomeno che era già compreso tra il 1920 ed il 1945, ma viene formalizzato dal diritto ed evidenziato come problema e come quarto tipo di odio a metà degli anni ’80 dalle istituzioni giuridiche Europee.
Qual è la grande distinzione tra Europa e Stati Uniti d’America?
Quando si iniziò a ricostruire l’Europa, furono attuate azioni incisive quali: Berlino anno zero, il Ban del nazismo, le prime normative in Germania e Francia dove si formarono due blocchi politici: un blocco guidato dall’unione sovietica e un blocco guidato dagli stati uniti d’America, cominciarono a confrontarsi nelle sedi internazionali, soprattutto alle Nazioni Unite, accanto alla creazione di convenzioni per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. In estrema sintesi gli Stati in Europa chiesero che essi potessero, attraverso leggi, disciplinare le espressioni d’odio, domandarono che venissero riconosciuti nelle carte e nei trattati internazionali, chiesero di poter fare delle leggi volte a colpire l’opinione delle persone e quindi disciplinare le espressioni d’odio.
Gli storici evidenziarono questo paradosso, per cui Stati totalitari che avevano usato l’odio politico e le espressioni d’odio come strumento di propaganda per raggiungere il potere, subito dopo la seconda guerra mondiale chiesero che vi potesse essere la possibilità di fare leggi contro tali comportamenti.
Sull’altro fronte gli Stati Uniti d’America, con Eleonor Roosevelt che fece dei discorsi alle Nazioni Unite, in termini molto semplici, disse “voi siete dei pazzi, non si toccano le opinioni delle persone”, la tradizione nord-americana dice, anche oggi, che le idee devono vivere in un libero mercato: Free Market Place o Free Bias. Si scontrarono in sede di votazione, nell’occasione vinse il gruppo guidato dall’unione sovietica (53 voti a favore contro 19). Per cui l’Europa, dopo il 1946, prese una strada, quella della civiltà europea continentale, cioè gli Stati, da allora, possono fare norme che vietino l’istigazione e le espressioni d’odio. Verranno approvate leggi e norme contro il revisionismo o il negazionismo, ad esempio in Germania. Contro la ricostituzione del partito fascista in Italia, tali norme non vietavano solo la ricostituzione dei partiti nazisti e fascisti ma anche l’apologia, tant’è che dagli anni 50 agli 80, molti fascisti e nazisti europei migrarono negli Stati Uniti, aprirono i loro Club, i loro circoli, i loro movimenti in quella nazione. Questo ci fa comprendere come gli Stati Uniti siano considerati un porto franco e sicuro per gli estremismi nazi-fascisti. L’Europa procede in un modo, gli Stati Uniti procedono in un altro. Questo, fino a qualche anno fa non interessava tanto i giuristi, in quanto essi si occupavano esclusivamente del quadro europeo, ma quando siamo entrati nell’era globale di Internet il quadro cambia e le due visioni si scontrano. Quando ci si confronta con esperti legali nord-americani, loro non comprendono la posizione europea, proprio per un approccio nettamente differente che parte dalle basi giuridiche, più attente a proteggere le espressioni di idee in un libero mercato, lo stesso accade per i giuristi europei, attenti a proteggere le vittime e la collettività, quindi si fa fatica a capire la posizione degli statunitensi.
Un esempio emblematico può racchiudersi nella narrazione contenuta nel film “The blues brothers”, di John Landis, la scena dei nazisti dell’Illinois:
Elwood: “Ehi, che sta succedendo?”
Poliziotto: “Quei figli di puttana hanno vinto il processo e fanno una dimostrazione”.
Elwood: “Quali figli di puttana?”
Poliziotto: “Quegli stronzi del Partito Nazista”.
Elwood: “Hm! I nazisti dell’Illinois. Prrr”
Jake: “Io li odio i nazisti dell’Illinois.”
Non si trattava di un parto estemporaneo della (geniale) fantasia di Dan Aykroyd e di John Landis. Nella Chicago degli anni Settanta, all’ombra di violenze politiche di ben altra portata, c’era davvero una piccola, ma rumorosa associazione neonazista di nome National Socialist White Party of America, che cercava consensi tra la popolazione bianca della città, nei quartieri in cui l’espansione del mega-ghetto nero del South Side generava maggiore attrito.
E la causa l’avevano vinta. Nel 1977 avevano indetto una manifestazione, una delle loro parate in “camicia marrone, pantaloni marrone scuro, stivali neri, più una fascia attorno al braccio sinistro raffigurante una svastica”. In costume nazista, insomma. Ma quella volta avevano scelto di tenerla proprio a Skokie, un sobborgo di Chicago che ospitava una delle più nutrite comunità di ebrei sopravvissuti all’Olocausto e i loro discendenti al di fuori di Israele. I residenti si erano energicamente opposti, e il sindaco di Skokie aveva dapprima posto una serie di limitazioni sulle modalità della manifestazione, e infine l’aveva del tutto vietata.
“Negli Anni Sessanta” commentò il settimanale TIME “i tribunali federali invocarono i principi del Primo Emendamento per proteggere le marce per i diritti civili in alcune città del Sud che si trovavano in fiamme. Nonostante le gravi minacce di violenza, le dimostrazioni risultarono pacifiche, grazie all’intervento della polizia statale e locale che intervenne su ordine di quei tribunali. Ma a quanto pare i diritti costituzionali protetti a Selma, in Alabama, nel 1965 vennero confermati nella Chicago del 1977”. I nazisti dell’Illinois fecero ricorso in Tribunale, affidando la propria causa a Burton Joseph, ebreo rifugiatosi in America dal 1939, avvocato dell’Unione Americana per i Diritti Civili, che aveva difeso anche i pacifisti arrestati per i disordini alla Convention Nazionale Democratica di Chicago del 1968. Era in gioco il Primo Emendamento, che in America garantisce la libertà di parola (il cosiddetto “free speech“). Il municipio di Skokie perse la causa, sia in primo grado che in appello; tentò infine un ricorso alla Corte Suprema, sul quale quest’ultima rifiutò di pronunciarsi per manifesta infondatezza, confermando così che la decisione adottata dai tribunali era corretta e che il diritto al “free speech” in America era talmente ampio da includere anche l’“hate speech”. Dopo la vittoria in giudizio i nazisti dell’Illinois accondiscesero a tenere la loro manifestazione altrove, mentre i residenti ebrei di Skokie dettero sbocco alla propria mobilitazione creando in città, un museo dell’Olocausto.
Questo è l’approccio americano, se si proibisce di manifestare ai nazisti in uniforme. Questa è una delle situazioni peggiori che possono verificarsi, immaginiamo più persone scampate all’Olocausto nazista che vedono per le strade della loro città manifestare nazisti in uniforme, l’avvocato Burton disse “se si impedisce a costoro di manifestare si crea la base perché si rigeneri il nazismo , cioè quello che sto combattendo.“. Secondo l’approccio americano, il libero mercato delle idee, quelle cattive e quelle buone, sono poste sullo stesso piano e le idee buone avranno la forza di uscire e prevalere, ma nel momento in cui il governo, la legge, mette mano, altera gli equilibri. La corte suprema, nel corso degli anni, ha mitigato questa situazione con il principio del clear and Present Danger, cioè quando l’istigazione all’odio evidenzia un pericolo chiaro ed imminente, allora in questo caso le istituzioni giuridiche americane intervengono, e quello che viene definito attacco personale, istigazione all’odio mirato. Dire:andiamo a bruciare un’intera razza, non è un’ istigazione all’odio, dire invece: andiamo a bruciare “tizio” in tale via o luogo, domani mattina, per loro un indice di attacco personale. È importante capire questo aspetto, quando cominciarono a diffondersi i social network, le policy, le regole alla base delle piattaforme, non partivano dalle nostre idee di base, ma sono soggette ad un pensiero di base fondato sui principi poc’anzi enunciati. Le varie piattaforme social, Facebook ad esempio, non hanno sedi in Italia, quindi tutto scaturiva dalla loro concezione di odio, per assurdo la pornografia nella loro cultura è immediatamente bannata. Se su Facebook appare una foto di nudo, dopo cinque minuti viene cancellata, mentre le espressioni d’odio, omofobiche, razziste, nella loro idea sono lasciate libere, a meno che non si tratti di un attacco personale diretto. La prima policy in assoluto di Twitter, quando esso nacque, era molto semplice, potete fare quello che volete, potete scrivere qualsiasi cosa, basta che non siano indirizzate alla persona in modo diretto o che non vi sia una canalizzazione personale. Oggi in Europa siamo in imbarazzo con una situazione di questo tipo, noi abbiamo una tradizione che ritiene giusto che lo Stato intervenga quando si palesano espressioni di istigazione all’odio ma i nostri dati sono tutti su piattaforme nordamericane, tra l’altro queste piattaforme sono gestite in 190 Stati, ognuno con una legislazione differente, inoltre non si comprende perché venga permessa tutta questa libertà a queste piattaforme, possiamo ricordare le lettere della presidente della camera Laura Boldrini a Repubblica dove si chiede che vi sia un intervento da parte di Facebook dove chiede che tutto questo odio che circola nei social sia frenato, per loro tutti questi appelli non vengono presi in considerazione perché si ritiene preminente la loro tradizione costituzionale, il primo emendamento.
Alcuni giuristi nord-americani sono propensi verso la tradizione nordeuropea, cito Jeremy Woldrom, studioso neozelandese che insegna negli Stati Uniti, il quale dice che gli europei non sbagliano ad avere un approccio così rigoroso perché l’approccio nord-americano, se ci facciamo caso, non è attento alle vittime, ma è attento ai principi del diritto,. Woldrom dice che una vittima che viene discriminata, contro cui viene canalizzato l’odio, deve essere tenuta in considerazione, la massima, che viene attribuita a Voltaire, che dice “Odio quello che tu dici ma darei la vita affinché tu possa dirlo“ è una frase bellissima, dice Woldrom, ma alle vittime chi ci pensa, a chi ha subito la violenza e riceve questo odio come tutelarlo.
Purtroppo l’approccio nord-americano è quello più influente, e sta creando molti problemi all’Europa, infatti qui si sta percorrendo la strada delle multe, delle sanzioni pecuniarie, ovvero, l’unico modo per convincere le grandi multinazionali dei social, affinché possano rimuovere i contenuti di odio e di prevedere delle multe é andar lì a toccare nei loro bilanci economici, toccare i loro portafogli. Ha iniziato la Germania, il governo tedesco sta elaborando un sistema prevedendo un’azione per cui se le piattaforme, Facebook Twitter e altro, non rimuovono i post, entro 24 ore, di gruppi neonazisti, di istigazione all’odio, di discriminazioni omofobiche, si possono comminare multe fino a 500.000 € al giorno. Quindi andare a colpire direttamente i guadagni di queste aziende escludendo una discussione più pacata affinché si possa risolvere al meglio la questione.
Potrebbe esserci un’altra soluzione, prevedere la creazione di una piattaforma social sviluppata e diffusa dall’Europa in tutto il globo, un social che si contrapponga a quelle americane, basata sui principi europei, questa è una soluzione verosimile ma non impossibile da attuare.
I dati normativi.
Quando parliamo di espressioni di odio, di hate speech, la prima definizione la troviamo contenuta nei patti internazionali sui diritti civili e politici che è un trattato che nasce dall’esperienza della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottato nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976, in piena guerra fredda, quindi la contrapposizione tra i due blocchi, USA e unione sovietica è essenziale, in particolare l’articolo 20 dice “qualsiasi propaganda ha favore della guerra deve essere vietato dalla legge”, nel primo comma si nota l’eco dell’uscita dalla seconda guerra mondiale, e qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale, religioso, politico, Che costituisca incitamento alla discriminazione, alla ostilità, all’odio, alla violenza, deve essere vietato dalla legge. Questa è la prima definizione pura di istigazione all’odio.
Possiamo dividere in sei elementi centrali poi in due gruppi da tre definizioni.
—Il primo gruppo comprende i tre ambiti in cui opera l’odio, i nazionalismi, il razzismo e la religione quali strumenti di discriminazione e di odio;
—Il secondo gruppo si orienta verso l’incitamento a tenere dei comportamenti discriminatori, ostilità e violenza.
Qual è la grande differenza che stiamo leggendo da questa definizione?
Oggi, nel mondo dei social, l’odio è diventato comune e non è più soltanto connesso a razza religione e politica, pensiamo all’odio che sta circolando nell’ambito degli animalisti, dei No Vax..
Un tempo l’odio si sollevava in quegli ambiti, la grande novità delle tecnologie e quello di aver mutato l’odio in odio comune, qualsiasi dichiarazione o informazione può sollevare odio: dalla dichiarazione di Miss Italia che avrebbe voluto vivere durante la seconda guerra mondiale, a Gianni Morandi che mette la foto mentre va al centro commerciale di domenica a fare la spesa..
Il termine incitamento all’odio ha fatto nascere parecchi dibattiti sull’idoneità o meno a portare imminente violenza nel caso concreto. I giuristi hanno cercato di comprendere se questo incitamento è realistico, ad esempio se si dovesse dire “andiamo in tal luogo a distruggere il campo rom di Perugia“ magari a Perugia non c’è nessun campo rom, quindi l’incitamento non è realistico, i giuristi hanno cercato di capire non il fatto di per sé ma l’incitamento all’odio, la sanzione si rivolge a esso. Incitamento significa creare un esercito di persone che odiano, i giuristi si chiedono se il riferimento essenziale debba essere la reale idoneità a portare imminente violenza nel caso concreto. Tanti incitamenti all’odio scaturiti dalle dichiarazioni di molti politici, vengono mantenuti, volutamente, generici, perché così consigliato dai loro avvocati, cioè di non superare il limite della reale idoneità a portare imminente violenza nel caso concreto. L’incitamento, quindi, è correlato all’idoneità di portare violenza.
Facciamo un passo indietro di vent’anni, 1997, raccomandazione del consiglio d’Europa sull’hate speech, il termine deve essere interpretato come idoneo a comprendere tutte quelle forme espressive che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’incitamento all’odio. Odio razziale, xenofobia, antisemitismo o altre forme d’odio basate sull’intolleranza comprese quelle espresse da nazionalismo aggressivo ed etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità contro le minoranze, i migranti e le persone di origine straniera. Questa definizione ha fatto un salto più consono alla contemporaneità, con una definizione più moderna, questa è l’espressione d’odio considerata oggi all’interno della Comunità Europea. Già nel 1997 si prevedeva la crisi dei flussi migratori. Per concludere questo discorso occorre riferirsi a tre requisiti affinché un’espressione possa considerarsi hate speech: una chiara volontà ed intenzione di incitare odio con la parola o ogni altro mezzo di comunicazione, oltre alla volontà ci deve essere l’incitamento vero e proprio, cioè un comportamento idoneo a causare atti di violenza nei confronti dei soggetti presi di mira, gli atti di violenza e discriminazione si devono verificare, oppure il rischio che ciò avvenga, sia imminente. Il fine delle espressioni d’odio sono: offendere, deumanizzare, molestare, degradare, vittimizzare il bersaglio oltre a cercare di fomentare, nel loro contesto sociale, insensibilità e brutalità contro le persone prese di mira.
Cosa è cambiato con l’hate speech on-line? È cambiato tutto, nel senso che è difficile comprendere le espressioni d’odio se non si comprendono le tecnologie. Si noterà che l’odio può essere istigato e diffuso con tecnologie multimediali, improvvisamente ha avuto un grande successo la falsificazione, non solo le bufale, ma i fotomontaggi, i meme finti che cominciano a circolare, i video elaborati, la tecnologia digitale permette di falsificare agevolmente le informazioni.
Fin dai primi del ‘900 in Canada e USA, quando cominciarono ad arrivare i primi gruppi di famiglie di ebrei, la falsificazione delle notizie che allora venivano diffuse attraverso la carta stampata, i quotidiani, era faticoso pubblicarli, adesso, con le nuove tecnologie, sono diventati di estrema facilità nel diffonderli. Oggi gran parte delle espressioni d’odio sono veicolate in maniera molto subdola, gli studiosi di odio politico dividono due grandi famiglie d’odio, l’odio che viene detto hot e l’odio cool, L’odio politico hot è quello, per intenderci, alla Trump, è un odio visibile, il nazista in uniforme davanti a voi con il megafono è un odio hot. L’odio cool è un fenomeno, diffuso negli ultimi 20 anni, veicolato con strumenti che ingannano e che apparentemente sono strumenti di comprensione, addirittura dando del razzista agli altri per poi veicolare le stesse idee. L’UE è molto più preoccupata per questo tipo di espressione d’odio rispetto al primo, infatti molti progetti di ricerca sono sulla natura e l’analisi dell’odio cool, questo è un problema in quanto l’odio non è correlato alle parole usate, oggi l’odio e l’istigazione all’odio vengono veicolati tramite un lessico che è difficilmente comprensibile, cioè ingannevole.
Infatti lo studioso Woldrom è stato uno dei primi ad analizzare la reazione delle vittime, cercare di immedesimarsi nei “panni” delle vittime, comprendere quale sia la potenza che le istigazioni all’odio, possano provocare. La percezione è spesso soggettiva, diversa in ogni tipo di persona, considerando, sotto il punto di vista medico, le conseguenze che le manifestazioni possano portare ai soggetti sottoposti ad azioni d’odio, cioè la vittima.
I danni più comuni sono: perdita di autostima, senso di rabbia, isolamento forzato, un costante ed immotivato atteggiamento sulla difensiva, uno stato di shock, uno stato di incomprensione e di disgusto, fino ad avere vere proprie esperienze traumatiche sul breve e lungo periodo. Queste risposte, spesso emotive, spiegano anche il motivo per il quale molti episodi, circa l’80%, non vengono denunciate. La vittima si trova in uno stato di debolezza psico-fisica, in uno stato di vergogna, subentra anche la diffidenza verso le autorità, non sensibili a comprendere questi stati d’animo. Aggiungiamo che, le persone discriminate provengono da una minoranza già discriminata. Una scala di pregiudizi che oggi tutti gli studiosi citano è quella di Gordon Allport, egli si pose, nel 1954, il problema di pesare l’odio, di valutarlo, creando questa scala, da uno a cinque, che valuta un aumento crescente della gravità dei comportamenti d’odio.
La scala Allport (dall’inglese Allport’s Scale) è una scala usata per misurare la forza del pregiudizio in una società. Sono valutati gli atteggiamenti seguiti dall’in-group (gruppo dominante), nei confronti di coloro che vengono visti o considerati facenti parte dell’out-group (gruppo minoritario, esterno). È indicata anche come scala del pregiudizio e della discriminazione di Allport o scala del pregiudizio di Allport. È stata ideata dallo psicologo Gordon Allport nel 1954.
La scala
I punti della scala del pregiudizio di Allport vanno da 1 a 5.
1. Anti-locuzione: l’antilocuzione si verifica quando un gruppo, al proprio interno, si esprime liberamente, in modo negativo, contro un gruppo a esso esterno. L’’incitamento all’odio è incluso in questa fase.Anche se la stessa anti-locuzione potrebbe non essere dannosa, potrebbe preparare il terreno a sbocchi più severi per i pregiudizi.
2. Evitare: i membri del gruppo evitano constantemente le persone appartenenti all’out-group.Anche se non c’è alcun danno diretto, si viene a creare un danno psicologico, spesso dovuto all’isolamento.
3. Discriminazione: l’out-grouup viene discriminato negando loro opportunità e servizi, mettendo in discussione i pregiudizi. I comportamenti hanno l’intenzione di svantaggiare l’altro gruppo impedendo loro di raggiungere obiettivi, ottenere istruzione o lavoro, ecc… Esempi includono leggi di Jim Crow negli Stati Uniti, lo Statuto di Kilkenny nell’Irlanda britannica, Apartheid in Sud Africa e leggi antisemitiche in Medio Oriente.
4. Attacco fisico: l’in-group vandalizza, brucia o distrugge e attacca le proprietà e gli individui associati al’out-group. Gli esempi includono i pogrom contro gli ebreiin Europa, i linciaggi dei neri e degli italiani negli Stati Uniti e le continue violenze contro gli indù in Pakistan.
5. Sterminio: l’in-group cerca lo sterminio o la rimozione dell’out-group. Cercano di eliminare la totalità o una grande frazione del gruppo di persone indesiderate. Esempi includono lo sterminio dei nativi americani, il genocidio cambogiano, la soluzione finalenella Germania nazista, il genocidio ruandese, il genocidio armeno, il genocidio degli elleni e la pulizia etnica nella guerra bosniaca.Trattiamo un altro tipo di odio, quello veicolato da parte dei due soggetti più importanti ed influenti nella nostra società: il mondo della politica e il mondo della stampa. Questi due soggetti hanno compreso che l’odio e le espressioni d’odio sono diventate una valuta, hanno un valore, si possono monetizzare.
Un esempio accaduto in Olanda, alcuni politici di partiti dell’estrema destra sono stati incarcerati, per pochi mesi, per istigazione all’odio. Quando sono usciti dalla galera il consenso del loro partito era aumentato del 6%. Un tempo, l’odio, inteso come veicolo di monetizzazione, lo si trovava solo in ambiti di partiti estremisti di destra come Lega Nord, Forza Nuova, casa Pound, e, in una forma più mitigata ma presente, in Forza Italia.
Oggi l’uso dell’odio è utilizzato da parte di tutti i politici e tutti i partiti, perché porta consenso elettorale, viene utilizzato anche in contesti politici democratici e liberali, o più tradizionali, ricordiamo alcuni congressi del partito democratico dove l’odio che circolava nei discorsi tra le varie correnti, era ben simile a quello delle formazioni politiche più estremiste. L’odio non è più agli estremi ma tutti hanno capito che l’odio porta profitto. L’hanno compreso anche i quotidiani, la stampa, il Web, i Mas media generalisti (tv e radio), esempi emblematici possiamo riscontrarli in quei quotidiani di provincia dove qualche migliaio di copie vendute in più o in meno sono importanti per l’economia della testata, le visualizzazioni sui video di YouTube, legate ad una monetizzazione diretta, ogni clic remunera l’emittente.
Diventa difficile combattere l’odio perché chi dovrebbe dare l’esempio, i media e la politica, sono delle entità molto forti ed hanno una grande influenza sul pubblico e l’opinione pubblica, rispetto a chi vuole promuovere valori di pace solidarietà ed uguaglianza. Oggi l’odio sì è istituzionalizzato, in quanto è veicolato proprio da quei soggetti che dovrebbero mitigarlo e combatterlo, questo atteggiamento crea grandi problemi.
L’odio è connesso ai fatti di cronaca, se analizzassimo con dei software appropriati, i tweet o i post su Facebook correlati a temi d’odio, l’andamento non è costante ma è del tipo ad elettrocardiogramma, con dei picchi seguiti ad immediati abbassamenti di intensità, ad esempio: si parla di un flusso di migranti scappati dalla Siria in guerra, in quella settimana il picco d’odio sarà alto dopodiché si affievolisce, nel periodo pre-elettorale ci sono dei picchi d’odio spaventosi soprattutto di odio politico, dopodiché si acquieta. La connessione con la cronaca causa sui social dei picchi d’odio che possono durare, a volte, poche ore, dalle 12 alle 24 ore. Spesso per le vittime d’odio, sui social, il tacere, il non reagire, in molti casi è un’ottima strategia. Quando il picco d’odio ha raggiunto il massimo, con la stessa velocità con cui si è diffuso, crolla, mentre alimentarlo gli si dà una sorta di sopravvivenza.
Quali possono essere gli anticorpi per questo quadro?
L’Unione Europea si è concentrata molto sui contro discorsi, il contro parlato, le campagne di informazione, sui fenomeni di autoregolamentazione. Riguardo il contro parlato, atteggiamento tipicamente nord-americano, negli U.S.A, dicono,“Le idee buone emergeranno da sole, supereranno quelle cattive, non deve intervenire lo Stato“. Ma come si fa a fare emergere le idee più buone, parlando tutti, cercando di riportare la verità, la quiete? Anche l’UE sta elaborando delle strategie per fare emergere il contro parlato, la contro parola, il problema è che la contro parola è uno degli strumenti più difficili da attuare, perché, in genere, chi attacca è avvantaggiato, rispetto a chi si difende, in quanto è posto in una posizione di svantaggio, ad esempio se qualcuno attacca gli indirizzi di posta elettronica è in vantaggio rispetto a coloro che devono difendersi. Nelle situazioni di attacco d’odio è la stessa cosa. L’asticella della intolleranza e dell’odio è molto facile innalzarla piuttosto che riabbassarla, riportare le espressioni d’odio entro i recinti della civiltà e del buon senso non funziona, ci vuole molto tempo. Proviamo ad andare sulla bacheca di un politico estremista, ad esempio Salvini, dove ci sono 1000 e più post contro gli immigrati, inseriamo un nostro post con un commento del tipo “ vorrei fare sommessamente notare che i temi trattati in questa bacheca sono razzisti“ qual è l’effetto? L’effetto è che i 1000 non cambiano quasi mai idea ed opinione e l’odio viene veicolato anche nei nostri confronti. Se dovessimo spendere ore ed intere giornate alla contro parola, nelle scuole e nei luoghi appropriati a veicolare il messaggio positivo, sarà sufficiente un clic di un politico o un apparizione o come la domenica pomeriggio da Barbara d’Urso affinché il nostro lavoro risulti vano. La contro parola è una delle cose più belle, potremmo definirla anche educazione civica digitale, o educazione alla legalità, ma è una delle cose più complicate da sostenere e veicolare. L’odio, a quanto pare, a canali preferenziali per incidere sulla mente delle persone.
Tutto questo porta al rischio di criminalizzare la rete, quando il mondo politico, i politici, non sanno più che pesci prendere. Essi si chiamano fuori perché sono il primo veicolo d’odio, la stampa si tira fuori per lo stesso motivo, i genitori, gli insegnanti, si trovano in difficoltà concreta di combattere contro questi due grandi esempi, allora si dà la colpa alla rete, la colpa è di Facebook, la colpa è di Twitter, molti stati stanno veicolando le colpe verso la rete, criminalizzando il mezzo di comunicazione a scapito delle vere e proprie fonti d’odio. Le ultime statistiche parlano di quasi un 90% di sommerso, rispetto agli episodi denunciati, c’è allora un timore che si arrivi ad un consenso sociale all’odio, cioè al fatto che l’odio sia considerato normale e quindi ad un livello di tolleranza molto alto di tutte le espressioni estreme. Oggi siamo ad un livello altissimo.
I media generalisti, tv, quotidiani cartacei ed on-line, si trovano nella medesima situazione. Se si fa una ricerca empirica molto semplice, si noterà che l’80% delle notizie passano attraverso questi strumenti di comunicazione parlano di sangue, uccisioni, aggressioni, violenze, di stalker, questo avviene perché chi costruisce le prime pagine di questi mezzi di informazione riceve molta più audience, vendita di quotidiani, clic e visualizzazioni sulle pagine Web, diventa un maggior guadagno, più entrate economiche.
In conclusione, prendiamo in considerazione l’atteggiamento europeo, dopo la seconda guerra mondiale, leggi che proibiscono l’hate speech come leggi che tutelano i diritti umani.
Guardiamo ora gli aspetti critici, cioè l’approccio europeo non è corretto, Per alcuni critici queste sono le quattro motivazioni principali:
1- chiaramente contrastare le espressioni d’odio è un’eredità lasciata al mondo moderno dagli Stati totalitari, cioè l’idea di regolamentare l’odio è nata dal gruppo di Stati totalitari, erano leggi pensate per un abuso dei diritti di libertà più che per rafforzare una maggiore tolleranza, l’unione sovietica in prima fila. Per i critici, abbiamo inglobato nei regolamenti europei delle norme liberticide.
2- come è possibile conciliare tutte queste sfumature di istigazione, l’aggressione, la violenza reale, con la certezza del diritto, molti standard interpretativi sono molto difficili da conciliare con i principi fondamentali della certezza del diritto, la persona va punita in base a una norma con il divieto di analogia, la legge disciplina specificatamente quel reato, questa difficoltà di interpretazione e di limitazione porterebbe a violare la manifestazione di libertà del pensiero.
3- le leggi che vietano le espressioni di odio possono diventare uno strumento molto utile per limitare la libertà di pensiero, soprattutto politico religioso, con la scusa di reprimere le espressioni d’odio e offese interpersonali, si potrebbe avere in mano uno strumento potente per limitare la libertà politica religiosa.
4- tutti coloro che propongono leggi di questo tipo devono ancora dimostrare in maniera convincente che vi è un collegamento diretto tra il divieto di queste espressioni è una conseguente pace sociale, cioè una diminuzione dell’odio circolante e un aumento di tolleranza.
Notiamo quali equilibri ed ingranaggi complicatissimi, quando si va a toccare l’argomento delle leggi che regolamentano le espressioni d’odio e le sue conseguenze.
Che cosa ha portato di nuovo Internet in questo quadro appena descritto;
Come primo aspetto, la permanenza dell’odio. Prima l’odio si esauriva in pochi istanti, oggi invece permane e non si riesce più a rimuovere dalla rete, la permanenza e l’amplificazione sono aspetti importanti di questo problema.
Il secondo è un ritorno imprevedibile dell’odio, in realtà l’odio ritorna e riemerge anche a distanza di tanto tempo, questo fa sì che la vittima non sia mai certa che l’espressione d’odio sia finita.
Il terzo problema è l’anonimato, oggi gli attori che veicolano le espressioni d’odio tendono a non occultare la loro identità, quindi gli attori negativi usano tranquillamente il loro nome e cognome, se dovessimo collegarci ai gruppi pieni di haters tutti sono con nome e cognome, perché se si presentassero anonimi non avrebbero quel beneficio di valutazione economica. L’idea che circola, in modo errato, che tutti coloro che usano espressioni d’odio siano anonimi non è vera, la rete porta ad un effetto disinibitorio, la rete e lo schermo creano un filtro, per cui molte persone, nella vita reale, dialogano in un certo modo, su Internet si comportano in un altro modo.
Quarto problema è la transnazionalità , i confini sono saltati completamente, nello studio della demografia si usano concetti come confini, piccolo villaggio, comunità, in rete tutto questo non ha più significato, un fatto discriminatorio che accade in un piccolo paesino di pochi abitanti non veniva alla ribalta oltre quella piccola comunità, oggi la transnazionalità della rete ha fatto saltare queste nozioni. Ricordiamo il caso di quel piccolo paese nel ferrarese che si oppose all’accoglienza di donne e bambini migranti, la rete ha reso possibile la conoscenza di quel fatto deplorevole in virtù proprio della sua natura transnazionale.
Quali sono le risposte che si possono dare a questo fenomeno?
Primo, puntare sull’educazione, aumentare la consapevolezza delle persone su questo quadro e di come si può fare per rimediare a questa situazione. Attenzione alle conversazioni on-line, l’esempio che possiamo veicolare alle persone che sono intorno a noi, i genitori devono stare attenti anche con i loro comportamenti se vogliono che i loro figli si comportino correttamente. L’esempio è dato da chi ha potere di veicolare l’opinione, gli influencer. Spesso questi non danno un buon esempio, di recente c’è la moda della gogna pubblica. Dobbiamo valutare se le leggi in vigore, ad esempio la legge Fiano, contro l’apologia del fascismo, la legge Mancino che disciplina l’istigazione all’odio, guardando le casistiche dovremmo capire quanto siano utili in questo ambito.
Un buon mix di tre elementi, l’educazione, contro parola nei confronti dei più giovani, nelle nostre associazioni; il diritto deve essere molto attento a limitare la libertà di manifestazione del pensiero, altrimenti il diritto può essere utilizzato per altri fini. Un uso intelligente della tecnologia inteso come utilizzo di quegli algoritmi di quei software che possono monitorare o tracciare le espressioni d’odio, bloccarle in maniera automatizzata. I software oggi in uso sono corretti per il 70% dei casi ma sbagliano il 30%, quindi non sono applicabili su larga scala, alcuni software censurerebbero il 30% di espressioni corrette.
Questi tre elementi, istruzione, legislazione, tecnologia, potrebbero darci una mano notevole per contrastare questo grave fenomeno, il primo elemento, l’azione educativa, avrebbe un impatto notevole in un lungo termine, gli altri due, aspetto giuridico e tecnico, avrebbero un impatto a medio e breve termine, ma tutti e tre questi elementi non potranno mai funzionare se gli attori, i politici, gli agenti dei media e dell’informazione, noi stessi, non modificheremo, in modo deciso ed incisivo, i paradigmi di comportamento e valutazione.
Ringrazio Giovanni Ziccardi che con il suo intervento, al convegno “Positive Messenger”, ha ispirato questa ricerca.