Il municipalismo è la rivoluzione di cui abbiamo bisogno

persone in strada in una favela anni '70

img generata da IA – dominio pubblico

di C. Marotta, Consigliere regionale del Lazio.

L’Italia – e più in generale l’Occidente – sta attraversando una crisi profonda della democrazia rappresentativa. Questo fenomeno è ormai evidente: l’astensionismo cresce, i partiti tradizionali perdono credibilità e il rapporto tra cittadini e istituzioni si fa sempre più debole. La personalizzazione della politica ha sostituito il modello collettivo della rappresentanza, con leadership personali che diventano il fulcro del consenso, svuotando di significato il ruolo dei partiti.

Secondo un’analisi di Ilvo Diamanti (1) oltre il 56% degli italiani ritiene che la democrazia possa funzionare anche senza partiti politici. Questo dato non è solo una fotografia della disaffezione verso la politica organizzata, ma anche il sintomo di una mutazione più ampia: il passaggio da un modello di democrazia partecipata a uno centrato sulla figura del capo, favorito dalla spettacolarizzazione del dibattito pubblico e dalla pervasività dei media digitali.

I partiti, che un tempo erano strumenti di mobilitazione sociale, di formazione politica e di collegamento tra cittadini e istituzioni, oggi sono percepiti come meri comitati elettorali. Questo vuoto è spesso riempito da figure carismatiche, in grado di capitalizzare il consenso attraverso strategie di marketing politico più che su un reale radicamento territoriale.

Nel corso del Novecento, i partiti di massa hanno giocato un ruolo fondamentale nella costruzione della democrazia: rappresentavano visioni del mondo, costruivano identità politiche e sociali e creavano appartenenza. Oggi, questo modello è collassato. Le cause sono molteplici: la fine delle grandi narrazioni ideologiche ha reso difficile organizzare consenso intorno a progetti collettivi, il mutamento del capitalismo con la precarizzazione del lavoro e la digitalizzazione ha frantumato le classi sociali e reso inefficace il modello tradizionale della sinistra, la globalizzazione e la riduzione della sovranità hanno tolto potere ai partiti nazionali, mentre l’egemonia dei media ha trasformato la politica in un fenomeno di immagine piuttosto che in un reale lavoro sociale e territoriale.

La crisi della sinistra, dunque, non è solo organizzativa, ma anche concettuale. Come sottolineava Franco Piperno – venuto a mancare all’inizio di questo 2025, con grande perdita per il pensiero critico a sinistra – il concetto stesso di “soggetto collettivo di sinistra” è ormai obsoleto, perché fondato su presupposti novecenteschi che non esistono più. Piperno criticava la tradizione illuminista e socialista fondata sulla razionalità e sulla pianificazione economica. L’idea che lo sviluppo industriale potesse essere regolato e diretto in modo armonico è stata smentita dai fatti.

Allo stesso modo, il tentativo della sinistra di costruire un modello di sviluppo alternativo basato sulla redistribuzione del reddito ha perso efficacia di fronte alla rivoluzione tecnologica. L’automazione e l’informatizzazione hanno ridotto il lavoro manuale e intellettuale, spazzando via le basi su cui si fondava il movimento operaio. Se il Novecento è stato il secolo del lavoro salariato, della grande industria e del sindacato come attore centrale del conflitto sociale, il XXI secolo è segnato dalla frammentazione del lavoro e dalla scomparsa della classe operaia come soggetto politico unitario. Il pensiero marxista aveva previsto che il progresso tecnologico avrebbe ridotto il ruolo della forza lavoro umana, ma ciò che non era stato calcolato è il suo impatto sulla rappresentanza politica. Oggi il conflitto non si gioca più solo nelle fabbriche, ma si diffonde in mille rivoli: tra precari, gig workers, studenti senza prospettive, lavoratori autonomi sfruttati, cittadini privati di servizi essenziali.

Se i partiti sono in crisi e la sinistra tradizionale non riesce a rispondere alle trasformazioni della società, dove si può costruire una nuova politica? La risposta non può essere un ritorno alle forme organizzative del passato, ma il superamento della logica della rappresentanza centralizzata. In questo contesto, il municipalismo emerge come un’alternativa concreta e praticabile.

La politica non può più basarsi sulla pianificazione dall’alto, ma deve radicarsi nei territori, nelle relazioni quotidiane, nelle pratiche di gestione autonoma della vita collettiva. Alcuni esempi di questa tendenza sono già visibili: in molte parti d’Europa, esistono e si organizzano realtà capaci di mettere al centro le comunità, agendo la prossimità del potere politico ed amministrativo locale come motore di una nuova possibilità di partecipazione e cambiamento della realtà. Questo è, inoltre, particolarmente vero e visibile se si guarda al caso italiano, dove si è disgregata, negli ultimi dieci anni, la prospettiva di organizzare un orizzonte istituzionale a sinistra. Il vuoto è stato riempito dal basso: le esperienze civiche e municipaliste che sono fiorite nelle amministrazioni locali, a partire dai comuni delle province e dai municipalità delle metropoli, hanno dimostrato di poter rigenerare le prospettive ideali e concrete della sinistra in Italia.

Il municipalismo, infatti, non è solo gestione locale, ma una vera e propria visione politica alternativa: supera la logica della rappresentanza passiva, restituendo ai cittadini il potere di decidere direttamente sulle questioni che li riguardano, riduce la distanza tra politica e vita quotidiana, costruendo spazi di democrazia diretta, mette in discussione il primato dell’economia di mercato, proponendo modelli basati sulla cooperazione e sull’autosufficienza.

La crisi della democrazia non si risolve con la nostalgia del passato, né con la tecnocrazia. Serve un nuovo paradigma politico, basato sull’azione diretta, sulla costruzione di comunità autonome e sulla democrazia partecipativa. Il municipalismo non è una fuga dalla politica, ma un ritorno alla sua essenza più autentica: la gestione collettiva della vita in comune. E forse, in un’epoca di crisi, è l’unico vero orizzonte praticabile.

Note

(1) https://www.demos.it/a02252.php