di M. Minetti
L’articolo è stato pubblicato su Transform Italia il giorno 1 ottobre 2025.
Le recenti manifestazioni anti-immmigrazione che si sono svolte nel Regno Unito evidenziano una crescente organizzazione delle forze di destra che si sono raccolte intorno alla Brexit prima, contro le restrizioni per arginare la pandemia di COVID19 e attualmente contro gli immigrati. Soprattutto a causa del suo passato imperiale, il Regno Unito è stato caratterizzato da almeno un secolo di immigrazione legale da parte dei cittadini delle ex-colonie, diffuse in tutti i continenti. Il colonialismo inglese, differentemente da quello spagnolo e portoghese, non ha perseguito convintamente il meticciato e l’assimilazione, mantenendo la separazione tra i cittadini britannici resisdenti nelle colonie e gli abitanti autoctoni. Questa segregazione e oppressione razziale, arrivata nel Nord America al genocidio dei nativi, è stata una conseguenza della cultura religiosa protestante, della applicazione delle leggi e dalle modalità del governo dell’Impero coloniale britannico ben documentate anche dalla Prof.ssa Caroline Elkins, premio Pulizer nel 2006. Anche oggi rimane traccia di quella separazione tra coloni e colonizzati nella forma multietnica della città di Londra che mantiene le diverse comunità di origine suddivise nei vari quartieri.
L’idea di una originaria omogeneità razziale è ormai decaduta dalla retorica anti-immigrati degli ultimi decenni, mentre emerge un suprematismo di tipo culturale e religioso, prevalentemente anti-islamico, nel momento in cui nei quartieri popolari gli abitanti di origine britannica sono immersi nel melting pot multietnico, senza alcun privilegio speciale. A quei cittadini, poco istruiti e riottosi, si rivolgono i politici della destra indicando negli immigrati recenti un pericolo per la sicurezza e la identità culturale britannica. Ecco formata l’alleanza tra i milionari della finanza e del commercio internazionale, che hanno supportato la Brexit per evadere dalle stringenti regole e dalla tassazione imposte dal mercato comune europeo, e il proletariato urbano nazionalista, il cui unico motivo di orgoglio è l’origine autoctona.
A fine luglio del 2024 erano scoppiati disordini in varie città del Regno Unito, fomentati dalla estrema destra, a seguito del triplice omicidio e ferimento di varie bambine, attuato da un ragazzo diciassettenne, cittadino inglese nero e radicalizzato islamico. Gli scontri nelle strade, con incendi e saccheggi di attività commerciali di immigrati, prevalentemente musulmani, mostrava una rabbia che covava da tempo e che probabilmente originava dalla stessa esclusione sociale di cui erano vittime gli immigrati da loro presi di mira. La classica guerra fra poveri fomentata negli Usa dai MAGA, in Italia dalla Lega, in Francia dal Rassemblement National e in germania da Alternative fur Deutchland.
La stessa dinamica di convogliamento della frustrazione popolare e dei sentimenti xenofobi, in una forma molto più accettabile socialmente e mirata alla integrazione istituzionale è emersa nella più imponente protesta organizzata in UK dalla estrema destra contro l’immigrazione e le politiche di accoglienza. Il 13 settembre si sono riunite nel centro di Londra più di centomila persone, gridando slogan nazionalisti e lanciando oggetti e lattine di birra verso la polizia. Oltre a mettere in difficoltà l’esecutivo laburista, queste manifestazioni forniscono l’area di espansione degli attivisti per il nuovo partito populista di destra di Niegel Farage, ReformUK. Questa nuova formazione, originata dal Partito per la Brexit e dall’UKIP, si pone alla destra dei Tories e intende usare l’arma del coinvolgimento popolare e della democrazia diretta mediata da piattaforma, che era stata finora una caratteristica dei partiti di sinistra. Solo, con una marcia in più: l’appoggio mediatico, tecnologico ed economico dei miliardari come Elon Musk, che ha arringato la folla dei partecipanti alla manifestazione di Londra, invitandoli alla rivolta citando nientemeno che l’anarchico George Orwell di 1984.
Come accade ormai in ogni paese democratico, l’informazione-spettacolo alla ricerca di voci “scomode”, lascia ampio spazio alla tribuna di Trump, Musk e Farage, che non esita ad appoggiare la guerra di Israele contro Gaza e l’Iran, attaccare il movimento LGTBQ+ e accusare gli stranieri di qualunque nefandezza. La macchina della propaganda di destra attua incessantemente le strategie trumpiane inaugurate da Steve Bannon, che hanno dimostrato di essere risibili ad un esame razionale, ma tremendamente efficaci nel meccanismo virale e truccato della visibilità sui social network.
La mobilitazione di piazza nel Regno Unito si sta dunque polarizzando fra la sinistra laburista o radicale, che porta in piazza i manifestanti a sostegno di Gaza e dei militanti di Palestine Action, subendo centinaia di arresti, e la destra nazionalista che cavalca l’odio per gli immigrati e per i cittadini musulmani, con un supporto discreto per il sionismo.
Negli ultimi due anni i conflitti sociali si sono acutizzati per l’attualità delle guerre in corso, per le ripercussioni negative sull’economia britannica dovute alla brexit e alla fuga di capitali russi o comunque stranieri, nonchè per i tagli lineari allo stato sociale operati dai governi conservatori ma aggravati recentemente dall’esecutivo laburista guidato da Starmer.
L’impressione è che questo clima di scontro polarizzato, focalizzato su temi bandiera, che poco hanno a che vedere con la vita quotidiana dei cittadini comuni ma risultano sovraesposti nei media e nella propaganda social, si stia estendendo in tutto l’occidente democratico. L’impotenza accumulata in questi anni di retrocessione della prartecipazione democratica e di crisi della rappresentanza vanno a ritrovare modalità di espressione della volontà popolare che cercano immediate identificazioni in schieramenti semplificati. E’ quello che sempre accade di fronte alle guerre, ci si allinea con uno o l’altro degli opponenti e qualsiasi incertezza viene bandita, inseguendo una risoluzione netta del conflitto.
E’ evidente che non possono che rimanere frustrate le pretese dei nazionalisti di tornare a comunità culturalmente omogenee, bloccando le migrazioni, espellendo gli stranieri e ostacolando religioni e usanze non autoctone, magari resuscitando la grandezza dell’Impero. La condivisione, la ragionevolezza o la raggiungibilità delle aspirazioni non è considerata necessaria. Quello che interessa alle forze politiche che organizzano le masse è molto spesso una identificazione viscerale, un riconoscimento identitario. Volendo azzardare una spiegazione psicosociale suppongo sia il tentativo, riuscito, di solleticare il narcisismo degli individui che hanno bisogno di rappresentarsi in uno spettacolo che li faccia sentire migliori, aderenti al proprio sè ideale, purtroppo piuttosto distante da quello impersonato durante la settimana lavorativa e nel tempo libero.
Da questo orizzonte pre-politico di mobilitazione popolare le destre non hanno nessuna intenzione di uscire, perchè gli interessi che vanno a rappresentare sono soltanto quelli delle élites, e Trump negli USA lo ha mostrato senza dubbio. Il rilancio del nazionalismo sciovinista serve solo a vincere le elezioni e indirizzare i disoccupati verso l’arruolamento militare. Per le forze socialiste, invece, la sfida è proprio quella di canalizzare l’indignazione in protesta, governandola, per arrivare a costruire forme di organizzazione trasformativa su obiettivi condivisi. La ricercatrice e influencer politica di area liberal Sarah Stein Lubrano, nel suo recente libro Don’t talk about politics, cita le ricerche sociali di Vincent Pons, secondo cui le manifestazioni non hanno quasi nessun effetto sull’orientamento dell’opinione pubblica (Lubrano 2025, p 128), per arrivare ad affermare che comunque “funzionano perché spesso rappresentano la droga di passaggio tra la partecipazione occasionale e l’attivismo duraturo”(p. 134). Sono quindi ottimi modi per reclutare nuovi militanti, e questo vale sia a sinistra che, purtroppo, a destra.