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Pubblicato con lievi modifiche su Transform Italia il 06 Agosto 2025
di M. Minetti
Mamdani, Ocasio Cortez e Sanders.
La vittoria di Zohran Mamdani alle primarie per il candidato democratico alle future elezioni del sindaco di New York costituisce un elemento di riflessione sulla vitalità di una proposta socialista nel cuore del capitalismo finanziario degli USA. Delle ragioni della sua affermazione ha già scritto su Transform Italia Alessandro Scasellati, sottolineando brevemente anche la metodologia di campagna che “ha contato su un esercito di 40 mila volontari porta a porta, che spesso hanno visitato distretti tradizionalmente ignorati dai politici della macchina democratica. Per molti di questi volontari, questa è stata la prima esperienza politica. Il giovane socialista ha beneficiato anche di oltre 20.000 donatori individuali, di cui circa il 75% ha donato meno di 100 dollari”.
A differenza di Scasellati però non definirei “dal basso” questa modalità di azione sul territorio e mediatica attuata prima di lui dalla deputata del Congresso Alexandria Ocasio Cortez, appartenente al movimento DSA newyorchese e da Bernie Sanders nel 2016, durante il grande successo della campagna (anche se infruttuosa) per le primarie presidenziali del partito Democratico. Certo, lo stesso Mamdani, sul suo sito elettorale definisce la sua campagna “grassroots“, ma questo è solo un artficio retorico per compiacere l’elettorato. Nella campagna del giovane e carismatico politico c’è ben poco di spontaneo o “orizzontale” e molta tecnica e decennale progettazione politica che riesce, questo sì, a coinvolgere un gran numero di volontari e donatori. Come dicono i compagni statunitensi: “non ci sono scorciatoie!” per costruire il potere di classe.
Sanders era un politico di lungo corso ma, fino alla presentazione della sua candidatura alle primarie del 2016, e alla nuova strategia approvata nel congresso del 2015, i Democratici Socialisti Americani avevano meno di 10.000 iscritti, passati oggi a 80.000. Rispetto ad una popolazione USA di oltre 300 milioni di abitanti, risultano appena un movimento di avanguardia che ci tiene molto a mantenersi interno al Partito Democratico, nel quale riesce a far eleggere i suoi rappresentanti. In un sistema rigidamente bipartitico come quello statunitense uscire dall’alveo del Partito Democratico significherebbe scomparire. Questo piccolo movimento strutturato in circoli territoriali molto autonomi, chiamati chapter, presenti capillarmente in tantissime cittadine anche minori, ha sviluppato modalità di contatto, sopratutto diretto, con la base elettorale, mediante il “porta a porta” aggiornato anche in call-center telefonici e direct-mailing mirati condotti dallo staff. Infatti visitando i siti dei candidati (ai collegamenti che ho inserito sui nomi) la prima cosa che appare è la richiesta di contatto, la seconda la richiesta di una donazione, poi vengono la descrizione del programma e la richiesta di attivarsi come volontari. Si noti l’aspetto grafico curatissimo, le foto dei candidati, giovani, di bell’aspetto e molto carismatici nei comizi, sul web e nelle apparizioni in televisione.
I principi organizzativi
La campagna per le primarie democratiche del 2016 ereditava il database centralizzato degli elettori, il Voters Activation Network, realizzato durante la campagna per Barak Obama. Inizialmente Bernie Sanders assunse solo due organizzatori professionali, Becky Bond and Zack Exley che a campagna terminata condensarono la loro esperienza in un libro, Rules for revolutionaries, composto di 22 regole. La sesta regola è “Il lavoro è distribuito, il progetto è centralizzato” che chiarisce abbastanza bene cosa gli autori intendono per “Big organizing”, ovvero semplicemente una organizzazione di massa, contrapposta alla tradizionale territorialità del “community organizing” di Saul Alinsky, da cui provenivano anche Barak Obama e Hillary Clinton (Zaky – Bond 2016, p. 38).
La terza regola del metodo è “La rivoluzione non sarà fatta da professionisti” facendo capire che, partendo da finanziamenti molto inferiori (solo 231 mln di dollari: regola 7) a quelli dei candidati più istituzionali come Hillary Clinton, il piccolo staff di Sanders avesse dovuto affidarsi principalmente alla partecipazione di massa di decine di migliaia di volontari sui territori, curandone il recruitamento, la formazione e il riconoscimento emotivo. Le regole del metodo sono molte, alcune legate allo specifico contesto statunitense ma altre possono sicuramente essere esportate, come la nona: “combatti la tirannia dei pallosi”. Chi dirige i gruppi di volontari deve fare attenzione ad allontanare per tempo persone che annoiano e fanno scappare gli altri. Certo non è facile capire chi sia il tipo di persona che fa scappare gli altri, se è un contro-leader ipercritico che mette in discussione le direttive o semplicemente una persona che cerca attenzione, ma fondamentalmente è un elemento che non aiuta il funzionamento del gruppo, visto che ha compiti precisi da svolgere. Anche per questo la ventiduesima regola è che “i nuovi nella politica fanno i migliori rivoluzionari”.
Il metodo è contenuto
Dal metodo pratico delle campagne sostenute dal DSA si evince che ai volontari è richiesto di essere bravi esecutori, con dei gruppi coordinati da leader locali in una classica gerarchia di partito, in cui le strategie vengono decise dallo staff professionale. Perchè sia efficace, come in effetti risulta che sia, in questo metodo da partito di massa deve funzionare bene il meccanismo del riconoscimento e della rappresentanza. Il candidato forte come Mamdani e il suo programma incisivo sono il contenuto attorno a cui si mobilitano i volontari e per cui votano i cittadini. Le rivendicazioni sono definite e ben espresse e seguono un ordine di priorità che è compatibile con i bisogni delle fasce della popolazione identificate come potenziali elettori. E’ evidente come le problematiche degli affitti, del trasporto pubblico, della educazione dei figli, del salario minimo, siano quelle che stanno più a cuore all’elettorato popolare di New York, dove gli affitti sono tra i più alti al mondo e le diseguaglianze, rispetto al mondo della finanza e delle imprese multinazionali, sono stridenti.
L’organizzazione di massa è necessaria per dare una voce univoca alla classe sociale esclusa dal potere. L’altro approccio, quello frammentato in molteplici istanze territoriali delle varie associazioni di organizzazione di comunità, si presta maggiormente a trovare dei referenti politici per scopi tattici, all’interno dei grandi partiti istituzionali, organizzati in cartello, anche senza condividerne gli interessi generali. Il comunity organizing teorizzato da Saul Alinsky è ormai dominante come metodo organizzativo municipalista o comunque territoriale, attorno a tematiche precise. Punta a costruire alleanze trasversali e reti di associazioni (chiesa, sindacati, volontariato sociale, movimenti, partiti politici) senza l’intenzione di prendere il potere, ma potenziando (empowerment) la richiesta di un cambiamento da parte di alcuni attori sociali. Questo metodo aggregativo sostituisce la carente presenza territoriale dei grandi partiti con una rete, come dire, in franchising (Viviani 2015, p, 77) di presidi territoriali, a volte anche molto radicali ma alla fine dipendenti dai politici professionali che supportano nella conquista di ruoli nelle istituzioni. D’altro canto, i politici eletti aiuteranno le comunità che li hanno fatti eleggere con stanziamenti di fondi attraverso bandi ad hoc e una legislazione favorevole o atti amministrativi mirati. E’ il principio della democrazia del conflitto, (fra gli interessi dei gruppi sociali) tipica degli Stati Uniti, eredità della democrazia dei notabili ottocentesca, tendenzialmente conservatrice. Invece in Europa e nella stessa Gran Bretagna, rimane ancora l’idea residuale della rappresentanza dei partiti di massa che puntano a coalizzare i bisogni di tutti i cittadini, attorno a dei principi cardine, per attuare trasformazioni sociali.
Partito per il cambiamento o partito-cartello
Torniamo all’esempio fornito dalla vittria di Zohran Mamdani alle primarie per il sindaco di New York, e al suo programma di riforme radicali per la città: blocco degli affitti (quindi limitazione dei diritti di proprietà privata), tassare i milionari, salario minimo locale a 30$/ora (adesso è 16,50$/ora), trasporti pubblici gratuiti (ora sono a 2,90$ a corsa). Tutte cose fantastiche. Ma è vero che se i Democratici conquisteranno la carica di Sindaco a New York faranno questo, o è solo un programma elettorale molto a sinistra per recuperare il voto popolare che era migrato verso Trump e i Repubblicani?
L’emergere di candidati con una forte personalità e con un programma caratterizzato da riforme sociali è tipico di momenti in cui la sinistra liberale perde il governo. Elly Schlein in Italia è diventata segretaria del Partito Democratico, proponendo il salario minimo (PdL 1275) e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario (PdL 2067) con AVS e M5S, mentre era all’opposizione, dopo la segreteria di Enrico Letta che ha partecipato al governo Conte II e poi Draghi. Il PD è stato al governo per più di due anni con i Cinque Stelle e non hanno pensato di approvare quelle misure. Sembrerebbe quindi, e questo è un eufemismo, che il programma dei partiti coinvolti nell’alternanza sia molto differente fra quando ricoprono incarichi di governo e quando sono all’opposizione. Una volta conquistato il governo, questo vale per la destra vera come per la cosiddetta sinistra, si rivedono al ribasso le promesse e, tutelando i soliti interessi internazionali e finanziari, ci si accontenta di distribuire alle associazioni periferiche di supporto ai partiti-cartello dei limitati benefici (Viviani 2015) attraverso i meccanismi di sussidiarietà. L’aspetto evolutivo è che in questo processo emergono i bisogni dei cittadini, anche se ancora nella forma di promesse elettorali o proposte di legge.
Come ho scritto in un precedente articolo sulla evoluzione dei partiti politici, sarebbe auspicabile il ritorno alla funzione trasformativa dei partiti, attraverso dei programmi elettorali condivisi che diventino programmi di governo. Ciò può essere attuato soltanto da partiti che recuperino la loro caratteristica di intermediazione verso le masse e non verso le organizzazioni della “società civile” intese come stakeholder sui territori, in un orizzonte di conservazione della struttura sociale, con le sue diseguaglianze e stratificazioni. Il partito deve identificare pochi punti di programma attorno a cui raccogliere il consenso e poi essere certo di poterli realizzare.
Sinistra Italiana come il DSA?
In Italia chi ha saputo interpretare meglio il ruolo di elemento aggregatore delle istanze di sinistra sociale per convogliarle in una coalizione liberale e in certo qual modo conservatrice per gli aspetti economici, ma progressista per quanto riguarda alcuni diritti civili e l’ambiente, è stata Sinistra Italiana. Il suo programma elettorale, molto avanzato, è molto vicino a quello dei Democratici Socialisti Americani e, come loro, è riuscita a inserire nel parlamento alcuni deputati che però, anche supportando governi di coalizione, non hanno ottenuto nessuna delle richieste del loro programma. Attraverso il meccanismo delle primarie o con accordi di vertice, Sinistra Italiana che è un piccolissimo partito, senza una diffusa articolazione territoriale ma in contatto con realtà sociali e sindacali ben radicate, punta dove possibile a conquistare alcuni seggi nei collegi dove è più presente. Per fare questo si affida anche a candidati forti per essere visibili sui media e all’onore delle cronache come Ilaria Cucchi, Ilaria Salis e Mimmo Lucano, salvo fare qualche scivolone come nel caso di Aboubakar Soumahoro.
La differenza tra un partito o movimento politico che punta alla trasformazione e uno che punta a testimoniare l’esistenza di una sinistra nelle istituzioni democratiche, peraltro quasi totalemte asservite ai poteri sovranazionali militari e finanziari, è rilevabile dagli sforzi e le risorse che impiega per radicarsi come organizzazione di massa. Se il suo scopo è mantenere l’attuale numero di iscritti e sedi, per non turbare le attuali dinamiche nei congressi e delle cariche direttive interne, mentre gli sforzi sono destinati soltanto alla visibilità mediatica e a ottenere il supporto di attivisti (non iscritti) e associazioni territoriali, allora certamente la finalità del partito è di testimonianza, all’interno del sistema consociativo del cartel-party. Se invece l’organizzazione mira a crescere numericamente e a radicarsi come comunità, coinvolgendo i suoi iscritti e finanziatori, non solo nel lavoro di base ma anche nella scelta dei leader e dei candidati, proponendo formazione dei giovani e favorendo il dibattito capillare sul programma politico, allora le alleanze elettorali e di governo possono essere lette come un necessario passaggio da affrontare per garantirsi le risorse necessarie ad attuare il proprio progetto. Il risultato che ne consegue è che attraverso il mezzo (il lavoro condiviso per la campagna elettorale) si costituisce il fine (la comunità solidale della cittadinanza) che è il programma di governo
Anime belle e poteri consociativi
Il ruolo che un tempo svolgeva la chiesa all’interno della economia libidinale dell’individuo, oggi lo svolgono varie istituzioni collettive destinate a evolvere gli orizzonti di senso della popolazione. Intendo quella gratificazione data dalla consapevolezza (necessariamente condizionata dall’ambiente sociale) di agire moralmente, facendo il bene. La fine delle grandi metanarrazioni (cristianesimo, illuminismo, liberalismo, socialismo) ha frazionato i valori e le appartenenze in molteplici nuclei contrapposti che si contendono l’attenzione e l’opinione (chiamandole ovviamente verità o scienza). Nel contesto apparentemente naturale della democrazia del conflitto emergono le soggettività identitarie in lotta fra loro per il riconoscimento dei propri “diritti”. La politica, quindi, divide le persone in base a bisogni specifici della etnia, della religione, del genere e orientamento, dello stile di vita e di alimentazione, del linguaggio usato, dei riti collettivi a cui si partecipa. Accanto a queste faglie identitarie assume un ruolo sempre maggiore, grazie alla rappresentazione mediatica dei conflitti, l’identificazione con bisogni di “Altri“, ovviamente nella rappresentazione soggettiva che ne è stata costruita, ponendosi a loro difesa.
L’Altro può essere la Natura, il pianeta Terra, l’immigrato per chi non lo è, il povero per chi non lo è, l’animale per chi non lo è, l’omosessuale o trans per chi non lo è, la Palestinese o l’Ucraino per chi non lo è, e così via. E’ sicuramente bello che persone diverse e lontane fra loro supportino gli Altri per migliorarne la condizione. La solidarietà è alla base dell’internazionalizzazione delle lotte ma le Anime belle, che sono sempre esistite e hanno spesso rappresentato la componente più ideale e morale delle lotte politiche, sono necessariamente una minoranza, altrimenti non sarebbero belle e neppure si distinguerebbero dalle masse. La maggior parte delle persone è disposta a sacrificarsi poco ed esclusivamente per sè stessi e per i prossimi, ovvero la cerchia stretta dei congiunti. Per tutte queste persone anche il minimo impegno (che può consistere nell’andare a votare una domenica mattina) deve auspicabilmente portargli un beneficio diretto e non c’è nulla di sbagliato in questo. Ognuno lotta per la propria libertà, molto meno per quella degli altri. Bisogna rifuggire da quel razzismo morale che porta la sinistra colta e snob a disprezzare le fasce popolari e la loro presunta mancanza di cultura e valori.
Tornando all’esempio del programma politico di Zohran Mamdani gli va dato atto che i pochi punti messi in evidenza sono tutti diretti al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini elettori, forse anche per questo è riuscito a raccogliere il supporto di tante persone. Puntare sui bisogni materiali piuttosto che sulla contrapposizione ideale con l’avversario politico è evidentemente una strategia che raccoglie risultati, prendiamone atto.
Bibliografia
S. Alinsky, Radicali, all’azione! Organizzare i senza-potere, Edizioni dell’Asino, 2022.
B. Bond – Z. Exley, Rules for rivolutionaries. How big organizing can change everything, Chelsea Green, 2016.
L. Viviani, Sociologia dei partiti. Leader e organizzazioni politiche nelle società contemporanee, Carocci, 2015.