Rompere definitivamente con la politica della testimonianza

conferenza economica della NATO

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di F. Cori

Il contesto storico in cui ci troviamo attualmente apparirebbe paradossale ad ogni sincero democratico o progressista che fosse vissuto anche solo venti anni fa. Il Governo Meloni è composto da forze politiche di destra, di cui una parte consistente dei suoi membri sono espressione del più rapace e irrazionale spirito di rapina verso i beni pubblici che si sia mai vista nella storia d’Italia. I casi di corruzione e malvessazione delle risorse pubbliche raggiungono addirittura i contorni del grottesco (il caso Santanchè, in questo senso è emblematico). Lo Stato rappresenta per queste persone (e per il blocco sociale di cui esprimono gli interessi) un gigantesco salvadanaio da cui attingere per arricchirsi. Il grado d’incapacità e superficialità di questa classe dirigente è talmente elevato che sono costretti, dal loro stesso operare, ad entrare perennemente in conflitto con la magistratura, scaricando sulle istituzioni dello Stato liberale uno dei capri espiatori per le contraddizioni che loro stessi non riescono a risolvere (vedi caso Almasri) nonché per i criminali che, per loro stessa incapacità sono costretti ad appoggiare.

In politica estera, inoltre, in quanto ex fascisti in cerca di legittimazione, sono stati capaci di andare anche oltre l’ultra-atlantismo del Governo Draghi (che ricordo è stato sostenuto, auspicato, forzato dai media e dai settori più atlantisti presenti nella società italiana) dimostrando un grado di completa subalternità del Governo italiano alle logiche guerrafondaie, sia europee che statunitensi, degne del peggiore servilismo della nostra storia. Il dato più grave di questa subalternità è che la politica estera ed economica di stampo protezionista da parte degli Usa e dell’Europa ha prodotto conseguenze drammatiche sulle classi popolari, prima tra tutte l’aumento a due cifre dell’inflazione che, innescata dalla speculazione sul prezzo del gas e dalla guerra in Ucraina, ha fatto lievitare i prezzi di tutti i prodotti in tutti i settori. In questo periodo, trainato dall’aumento dei tassi d’interesse, il settore bancario ha visto lievitare enormemente i propri profitti senza che il Governo fosse in grado, o ne avesse la volontà, di esercitare un minimo di tassazione per contenere le diseguaglianze – quindi la distribuzione tra l’incremento dei profitti e il crollo dei salari – nel nostro paese.

L’unico movimento effettivo contro la guerra è sorto, anche su spinta internazionale, in sostegno del popolo palestinese colpito da un genocidio feroce, trasmesso in tutte le televisioni del mondo dal Governo sionista di Netanyahu nei confronti di un popolo soggetto da oltre 70 anni ad una condizione di Apharteid. La parte più consistente di questo movimento è stata quella giovanile che si è attivata per le legittime istanze etiche di un rifiuto morale ad accettare con indifferenza un vero e proprio genocidio, rivendicato con brutalità e con estrema arroganza dai principali responsabili che, non a caso, sono stati giudicati complici di un crimine contro l’umanità, da un tribunale come quello dell’Aja, non certo imputabile di pregiudizi antioccidentali. Muovendo prevalentemente da ragioni etiche e umanitarie il movimento in sostegno della Palestina non poteva connettersi con le questioni del lavoro e dell’impoverimento delle masse popolari, tanto più che le divisioni al suo interno – derivanti da importanti e comprensibili divisioni all’interno del mondo palestinese che gli italiani non sono riusciti del tutto a sanare – ha ridotto la partecipazione di massa; il che ha impedito di far sviluppare la contraddizione sulle ambiguità del sindacato rispetto alla politica estera.

In questo contesto la domanda che ci si dovrebbe porre quotidianamente è per quale ragione, di fronte ad una sequenza di contraddizioni così potenti, sia in politica estera che interna, davanti ad una redistribuzione così marcata della ricchezza dal basso verso l’alto non emergano forze politiche e sociali che siano in grado di raccogliere il malessere generale e di tradurlo in progetto politico che definisca per queste stesse classi una prospettiva migliore di quella attuale?

Per un verso è evidente il fatto che una parte consistente dell’opposizione, in primis il grosso del Partito Democratico, condivida in pieno con il Governo le posizioni in politica estera nonché buona parte dei paradigmi di politica economica e fiscale indebolisce notevolmente le prospettive di cambiamento sulle questioni fondamentali. Mi permetterei di sottolineare che questa subalternità all’imperialismo nelle politiche di guerra dei due poli politici è comune a tutti i paesi europei ma, sia in Francia che in Germania che in Spagna – per citare solo alcuni dei paesi europei – sono sorte forze politiche e sociali che hanno cominciato a mettere apertamente in discussione i paradigmi teorico-politici dell’estremismo atlantista, e anche in Italia – seppur con una serie di contraddizioni e limiti, soprattutto in una prima fase – si è cominciato a delineare uno scetticismo piuttosto netto sulle politiche di guerra nel Movimento 5 Stelle. Le forze della sinistra di classe, seppur presenti, attive e animatrici nelle mobilitazioni sulla Palestina e in gran parte critiche sull’invio di armi in Ucraina, oltre a dividersi sulla valutazione del governo Russo (facendo così il gioco dell’avversario) non sono state in grado di coagularsi su punti comuni, semplici, comprensibili alle masse, stimolando AVS e Cinque Stelle ad essere più decisi e coerenti sulla connessione tra l’invio delle armi e la difesa degli interessi delle classi popolari. La ragione principale di quest’inadeguatezza è, dal mio punto di vista, da ricercare in una posizione autoreferenziale e sempre autoassolutoria, che potrei definire in un termine semplice “la politica intesa come testimonianza”.

Che cos’è la politica intesa come semplice testimonianza? A mio parere il virus che attraversa la quasi totalità delle forze di estrema sinistra è un legittimo e comprensibile desiderio di continuare ad esistere, una posizione di stampo fideistico sul fatto che il capitalismo è destinato a crollare e che, anche se oggi la situazione è drammatica, un giorno, quando le contraddizioni scoppieranno, le masse verranno da noi che, intanto ci stiamo preparando. Semplifico per ragioni di tempo ma credo che il ragionamento di fondo, in sostanza sia questo e per un verso lo condivido, poiché ritengo che l’Italia e la sua classe dirigente non possono continuare incondizionatamente con una politica estera ed economica che riduce progressivamente le condizioni di vita e riproduzione della classe lavoratrice; tuttavia, in questo messianesimo di fondo è completamente assente la soggettività creatrice della storia, la capacità di mettere in discussione il proprio approccio e inserirsi nella politica visibile alle masse. Dal mio punto di vista i fallimenti di tutti i progetti nati all’estrema sinistra (che noi, come Città Futura abbiamo anche sostenuto) peccavano sempre di autoreferenzialità, di mancanza di comprensione profonda della debolezza in cui ci si trovava. D’altro canto, ancora più debole mi sembra la posizione di chi, per non misurarsi mai con il problema del consenso, afferma che la partecipazione alle elezioni nella società attuale è del tutto inutile. Condivido con questa posizione l’inutilità di chi crede che il cambiamento della società avvenga esclusivamente per via parlamentare, ma dissento profondamente sul fatto che si debba eludere questo passaggio come banco di prova del livello di radicamento, di egemonia che le tue idee hanno nella società – e soprattutto tra i settori popolari.

Se è indubitabile che è il conflitto sociale il reale motore della storia ed è altrettanto vero che il conflitto sociale non è un progetto che si costruisce a tavolino ma corrisponde alla materiale condizione delle masse lavoratrici nel loro complesso, è altrettanto chiaro che queste stesse masse debbono percepire, sulla base non del nostro ma del loro livello di coscienza, una prospettiva credibile, praticabile, del superamento delle drammatiche condizioni in cui si trovano. Se una parte consistente degli italiani sono stati contrari all’invio delle armi in Ucraina e alle posizioni filosioniste e se in questi tre anni di guerra hanno anche potuto vivere sulla loro pelle gli effetti concreti di queste politiche – da cui l’enorme seguito che hanno ottenuto quegli intellettuali come Orsini, Basile, Travaglio, Fazolo, Ovadia, etc.. per le loro posizioni critiche – resta il fatto che la connessione tra economia di guerra e disagi crescenti non si è tradotta né in un concreto progetto politico, né in un percorso di mobilitazione sociale. Il percorso per connettere questi due piani presuppone un lavoro egemonico su più livelli tra loro interconnessi ma non deducibili uno dall’altro.

Provo a sintetizzarli:

1) la lotta contro le torsioni autoritarie: il DDL 1660 e il progetto di autonomia differenziata: questo terreno di lotta presuppone il più largo fronte possibile, fino al PD, poiché la difesa di uno spazio democratico rappresenta il perimetro attraverso il quale è possibile manifestare, esprimere le proprie idee ed essere ascoltati, senza questo spazio le condizioni per esercitare una critica politica si riducono drasticamente. Dentro questo terreno vanno anche inseriti i referendum proposti dalla CGIL sul lavoro.

2) Il terreno sindacale: le politiche di guerra e di rapina delle risorse riducono sempre di più i margini di contrattazione sindacale imponendo ad una parte delle burocrazie sindacali un conflitto più aspro che loro stesse non vorrebbero neanche radicalizzare – sia per la natura riformista del sindacato sia per i rapporti tra i vertici del sindacato e il PD . Anche in questo campo le condizioni impongono il massimo praticabile di unità tra lavoratori e la spinta autorganizzata verso la radicalizzazione, pena la sconfitta di tutti.

3) Sul terreno politico. Non andare più alla ricerca di soluzioni chimeriche di nuovi aggregati ma organizzarsi fuori dal Movimento 5 Stelle e da AVS, affinché queste forze (in particolare il 5 Stelle) radicalizzino le loro posizioni di alternativa sulla guerra e sulla politica economica, mostrando una nettezza e non una subalternità rispetto al PD. La condizione perché ciò possa avvenire è che nella società si sviluppi una posizione e un movimento più largo sulla guerra e sull’economia di guerra che ad oggi è troppo debole. Se nella società un tema non è sentito è difficile fare di quel tema un tema discriminante, come, in buona parte è accaduto alle scorse elezioni in cui il voto contro la guerra si è disperso in mille rivoli (Lista Santoro, 5 Stelle, indipendenti del PD, in parte AVS) facendo il gioco della Meloni, del PD e di AVS che, invece, puntando sulla praticabilità dell’elezione di Ilaria Salis ha ottenuto una crescita dei consensi.

L’ultimo aspetto, e forse uno dei più importanti, è la costruzione di una posizione contro la guerra in un’ottica di classe. Il fatto che una parte dell’opposizione al conflitto in Ucraina sia stata rappresentata da posizioni trumpiane, ultrasovraniste, razziste e scioviniste ha impedito la costruzione di un fronte popolare e di massa nell’organizzazione dell’opposizione alla guerra, permettendo ai settori più moderati e compromessi con il fronte atlantista di esprimersi apertamente su questo tema e di creare un fronte popolare e di massa di mobilitazione. Il mondo multipolare ci apre infinite contraddizioni e problemi sui quali è necessario un approfondimento e un’analisi ma nell’azione politica è fondamentale giungere ad un punto di sintesi che sia unificabile e comprensibile dalle masse, oltre che praticabile. Se nell’analisi è importante approfondire tutti gli aspetti del sistema di potere di Putin nell’azione di massa, in Italia tutto questo è inutile e financo deviante. La sintesi che va ricercata è sugli effetti delle politiche di guerra sulle classi popolari italiane e non sulla collocazione di un gruppo politico o di un altro in una determinata collocazione geopolitica. Compiere concretamente questo passaggio e riuscire a spiegarlo, in un mondo complesso come è quello attuale, con una classe dirigente italiana ed Europea e un sistema dei media intrisi di suprematismo occidentale, rappresenta quella semplicità ricercata difficilissima a farsi.