Aristocrazia e tecnocrazia diretta

di M. Minetti

In chi scrive di politica possiamo spesso riconoscere uno sbilanciamento tra la capacità di analizzare la realtà e quella di progettarne il cambiamento.
L’analisi viene condotta sulla base di concetti interpretativi comuni, appoggiando le nuove conoscenze ad una solida base di studi pregressi, ai dati, alla osservazione dei fenomeni coevi.
Il progetto di trasformazione sociale che i vari autori esprimono, invece, rappresenta molto di più l’insieme dei valori a cui fanno riferimento e l’immagine pubblica che vogliono dare di sé stessi al mondo.
La prima parte degli studi di tutti costoro è quindi utile alla conoscenza, la seconda spesso totalmente velleitaria. Per mia sfortuna, non posso a mia volta sfuggire a questa valutazione empirica. Il futuro semplicemente non è scritto e non si ispira alla teoria.

Il tramonto delle masse

Da più fronti convergono teorie che interpretano la realtà attuale come una evoluzione della egemonia unipolare degli USA, quello che Bush senior chiamò Nuovo Ordine Mondiale (NWO) in seguito alla caduta dell’URSS (1), in uno scontro multipolare in cui libero mercato e democrazia rappresentativa non sono più dei modelli indiscussi. Questo NWO è durato circa trenta anni e coincide con ciò che abbiamo chiamato globalizzazione o neoliberismo.
Nella crisi della democrazie parlamentari, dovuta alla più ampia crisi della rappresentanza politica, sono emersi molti studi che hanno definito le strutture sociali e politiche del presente o del prossimo futuro in modi diversi ma concordi, spesso con ossimori fantasiosi.
Impero (Hardt-Negri 2001, Johnson 2005, Khanna 2009, D’Eramo 2020)(2), neo-feudalesimo digitale (Dean 2020, Mazzucato)(3), psicopolitica (Han 2009), neuropotere (Stiegler)(4), tecnocrazia diretta (Khanna 2017)(5), oligarchia (Scalfari)(6), neocameralismo (Land)(7), società signorile di massa (Ricolfi 2019), imperialismo digitale (Soro 2019, p 108), aristocrazia (Stewart 2018)(8), tecnopopulismo (Castellani)(9), liberalismo autoritario (Fuller)(10), sono alcune delle categorie usate per descrivere il presente o un probabile prossimo futuro.
Il giudizio concorde è che la tecnologia e l’aumento della complessità abbiano reso necessaria, in relazione all’organizzazione gerarchica delle società, una ampia classe media (11) dedita ai servizi e alla conservazione del potere delle élite. Le rendite e i profitti hanno conquistato, nella teoria del valore marginalista, alla base del pensiero economico neoliberista (Mazzucato 2018, p. 93), il pieno riconoscimento della maggiore remunerazione rispetto al lavoro salariato, diventato invece il fattore minoritario nella composizione dei prezzi e quindi del valore.
Processi di concentrazione del potere decisionale e di governamentalità algoritmica (Stiegler 2019, p.211) hanno escluso dalla partecipazione politica gran parte della classe media, portando il luogo della decisione politica fuori dai parlamenti, che risultano svuotati di significato e lontani dalla cittadinanza. Il potere legislativo spesso non fa che ratificare le trasformazioni progettate dalle strutture di governance internazionali. Le molteplici agende, tra cui l’Agenda 2030 (12), messe a punto da tecnici assunti da istituzioni finanziarie, di ricerca, di supporto allo sviluppo e ovviamente dai governi nazionali. Il peso delle élite su queste istituzioni, tramite le fondazioni, le lobby economiche o culturali, è notevole e non trova analoghe controparti in rappresentanza delle masse.
Per il sociologo tedesco Michael Hartmann, le élite sono costituite da poche migliaia di persone in ogni nazione

in grado di influenzare significativamente le evoluzioni sociali grazie alla loro posizione istituzionale o di status economico. Ne fanno parte i membri del Governo, le punte dell’amministrazione pubblica e della giustizia, i dirigenti delle grandi aziende nazionali, ma anche determinate figure del mondo dei media. In questo senso si può parlare rispettivamente di élite economica, dei media, politica o amministrativa. (13)

La possibilità per pochi individui con una altissima formazione di intervenire su dinamiche complesse, con un monitoraggio trimestrale o quadrimestrale dei risultati, in termini di variazione del PIL o altri indici economici, ha plasmato tutti i campi della decisionalità politica e amministrativa nelle forme tipiche del neoliberismo o dell’ordoliberismo: governance e sussidiarietà.

Le politiche di governance sono strettamente correlate dal punto di vista dell’UE al principio di sussidiarietà il quale ha per certi aspetti influenzato in maniera esponenziale gli stili di governance attualmente adoperati a livello europeo. È grazie alla governance e al principio di sussidiarietà che possono attivarsi i piani di concertazione fra stati e Unione per quanto riguarda l’attuazione di particolari provvedimenti di politica internazionale. (14)

Alla direzione politica rimangono le scelte di indirizzo e il monitoraggio degli obiettivi, tutti i processi attuativi, invece, vengono gestiti, all’interno delle strutture territoriali preposte, secondo budget con progetti, bandi e finanziamenti. I servizi vengono devoluti, privatizzati ed esternalizzati, anche solo per garantire una flessibilità futura degli interventi, sotto forma di cambio di fornitura o di fornitore se il costo risulta minore. Gli amministratori e i loro staff, quindi i tecnocrati, vengono giudicati in base al grado di performatività del loro operato in termini di efficacia ed efficienza, massimo risultato con minore spesa. Mentre la spesa è facilmente quantificabile e spesso è bloccata dalla limitatezza delle risorse a disposizione, il risultato è facilmente conquistabile adattando gli obiettivi da raggiungere a quelli attesi.
Fra i vari strumenti a disposizione degli amministratori un ruolo preponderante è costituito dalla comunicazione aziendale, che sia sul prodotto, sul servizio o politica, con l’intenzione di far percepire il proprio operato come risposta coerente ai bisogni del pubblico, indipendentemente dai risultati effettivamente conseguiti.
L’elettorato e il consenso, come qualsiasi altra forma di consumo, si vorrebbero ormai produrre con campagne di propaganda bene orchestrate da partiti, istituzioni internazionali, governi, lobby finanziarie o aziende private estremamente influenti. Se ciò sia realmente possibile è tutto da dimostrare. Chi promette di spostare consumatori, elettori o followers non è detto che poi sia davvero in grado di farlo. Spesso vende soltanto i propri costosi servizi.
La novità non è la possibilità di influenzare le scelte delle masse, questo era già possibile prima dell’età moderna, con una propaganda che agiva sulla cultura, sull’immaginario e sulla distribuzione di beni materiali. La novità risiede nel poterlo fare in modo molto rapido e senza un numero enorme di persone, distribuite sui territori, dedite a quello scopo, quindi con investimenti contenuti e temporanei.
L’altro aspetto determinante della perdita di potere delle masse è la diminuzione della domanda di lavoro conseguente all’aumento della produttività. Il valore è sempre di più prodotto dal capitale fisso, che immagazzina conoscenza e lavoro morto, dalle materie prime materiali e immateriali come i dati, e sempre meno dal plusvalore originato dallo sfruttamento della forza lavoro. Le masse non specializzate, sia come soldati sia come operai e contadini, vengono espulse dai processi produttivi, così come dagli eserciti, perdendo il diritto ai riti della decisionalità collettiva come della forza di contrattazione fra capitale e lavoro, con buona pace dei teorici della rivoluzione in atto (15).

Il governo algoritmico prende il posto della burocrazia

C’è chi vede con favore questo processo di concentrazione del potere e assottigliamento delle burocrazie e dei lavoratori stabili, ad opera di ristretti gruppi di esperti nelle varie forme di tecnologia specifica (scienze applicate), facendone parte o aspirando a farne parte, e chi invece subisce una espropriazione di leadership, reddito, sovranità e cittadinanza precedentemente goduti.
Visto che i pochi prendono il posto dei molti, la costruzione del consenso attorno a questi processi di esclusione diventa centrale, permanendo formalmente la scelta democratica dei rappresentanti politici. Al dispositivo tecnocratico di governance si associa quindi la costante misurazione automatizzata del consenso nel corpo sociale, che permette di indirizzare le campagne di comunicazione a sostegno delle politiche di governo. Il contatto diretto, identificato, fra la popolazione e i leader che impersonano il potere attraverso i media, con votazioni, sondaggi, grafi, statistiche e modelli sul consenso, viene spesso definito con il termine ambiguo di disintermediazione, in quanto permette di evitare tutto l’apparato di mediazione e costruzione del consenso operati in passato dalla burocrazia dei partiti, delle amministrazioni e degli altri corpi intermedi. Questa disintermediazione, che altro non è che una nuova e più efficiente forma di intermediazione (Gerbaudo 2020, p. 98 – Soro 2019, p. 17), viene talvolta chiamata tecnocrazia diretta a sottolineare il fatto che le catene di comando sono fortemente verticali ma reagiscono molto velocemente (questione anche di ore) alle sollecitazioni della popolazione che vuole veder soddisfatte le proprie aspettative e i propri interessi. Gli attori istituzionali, che siano pubblici o privati, proveranno sempre di più a coinvolgere ampi settori della società nella condivisione delle scelte mediante processi partecipativi di advocacy (16). L’intervento mirerà quindi a plasmare le aspettative e gli interessi della popolazione sul cambiamento che si vuole provocare, agendo sulla seduzione e sul desiderio piuttosto che sulla coercizione e la razionalità (Han 2016, p. 21). Questo controllo delle tecniche del sé viene chiamato psicopolitica da Byung-Chul Han e neuropotere da Bernard Stiegler.
Chi è rimasto al di fuori dell’amministrazione del potere, come ad esempio la sinistra radicale, non riconosce invece un cambiamento sostanziale nelle nuove forme della costruzione dell’individuo e del consenso, riferendosi a schemi interpretativi superati come il conflitto capitale/lavoro o la repressione delle libertà individuali.
A volte la popolazione pensa di trovare nelle nuove identità politiche (populisti, sovranisti, reazionari, xenofobi, religiosi) dei vendicatori nei confronti delle precedenti classi dirigenti borghesi e progressiste (Nagle 2017, Rampini 2016) percepite come traditrici delle promesse fatte, ritrovando semplicemente una nuova espressione delle medesime élite aristocratiche. Per i rivoluzionari, invece nulla è cambiato. Infatti continuano a chiamare i nuovi potenti con i nomi dei vecchi: capitalisti, fascisti, padroni, borghesi. Interpretano la realtà odierna con le ideologie di cento anni fa.
La vera vittima di questa trasformazione è la piccola borghesia conservatrice o progressista e la sua forma di governo prediletta, la democrazia parlamentare. La globalizzazione ha polarizzato la ricchezza innalzando il livello di consumi dei più poveri (che restano comunque bassi) e dei più ricchi (il 10% aristocratico di cui parla Matthew Stewart) e riducendo al contempo la sicurezza economica della piccola borghesia, quella classe media fordista che costituiva l’ossatura del consumo e della opinione pubblica delle democrazie occidentali. Sembra che si sia attuato quel progetto politico di governance globale che veniva delineato nel rapporto del 1977 della Commissione Trilaterale, La Crisi della democrazia (Crozier-Huntington-Watanuki 1977, p 87): già allora la democrazia era considerata troppo partecipata (17).

I sensori nel corpo sociale

L’IoT (internet delle cose), come le smart cities, sono quell’insieme di sensori che monitorano costantemente le condizioni fisiche dei processi meccanici e degli ambienti ad alta densità abitativa o produttiva.

La governamentalità algoritmica è basata su delle tecnologie spaziali “ubiquitarie, territoriali e ambientali, sulla base delle quali ai nostri giorni sono concepiti i programmi delle smart cities basati sull’ autonomic computing e l’ambient computing, che costituiscono tecnologie invisibili ancora più attive ed efficienti, così come affermato da Mark Weiser: “Le tecnologie più profondamente radicate sono le tecnologie invisibili. Queste si integrano nella trama della vita quotidiana fino a non poterne essere più distinte.” (Stiegler 2019, p. 200)

L’infosfera è invece quell’ambiente comunicativo, monitorato automaticamente, in cui emergono e vengono prodotti gli stati emotivi dei corpi sociali. Byung-Chul Han chiama questa accelerazione della comunicazione, in cui l’emozione anticipa la razionalità, dittatura dell’emozione (Han 2016 p. 58). Tutti i dati raccolti automaticamente in grande quantità costituiscono la massa di ciò che viene chiamato Big Data, archivi inaccessibili agli umani e interpretabili soltanto da algoritmi e unità di calcolo. Gli algoritmi sono le interrogazioni formulate dagli umani alle banche dati e riflettono tutte le distorsioni e i pregiudizi che gli umani (solitamente anche poco preparati culturalmente) cristallizzano nel dispositivo macchinico. Matematici, ingegneri, fisici, esperti di machine learning hanno un sapere specifico molto settoriale e spesso tendono a semplificare fenomeni fisici o sociali con modelli che utilizzano la misura di alcuni proxy data, dati indiretti, la cui correlazione con il fenomeno è incerta (O’Neal 2017, p.17). Si utilizzano quei Proxy data semplicemente perché altri non sono disponibili e il risultato ottenuto dagli algoritmi non è poi verificabile, in quanto opaco. Chi utilizza a cascata le letture semplificate di quei modelli matematici, giornalisti, politici o decisori, generalizza ancora di più quei risultati applicandoli arbitrariamente ad ambiti differenti rispetto a quelli dove sono stati calcolati, per supportare scientificamente le proprie posizioni, che assumono così la forma del soluzionismo(18).

In merito al “come” della politica la risposta preconfezionata che ci viene fornita è una sola: i problemi devono essere affrontati tramite app, sensori, feedback, il tutto fornito da start up. Si tratta di ciò che io chiamo soluzionismo (Morozov 2016, p.35).

La decisione resta quindi nella piena responsabilità degli esseri umani, sia del decisore politico che del cittadino elettore di quel politico, ma gli elementi di conoscenza su cui quelle decisioni vengono prese si riferiscono a dei dati presunti oggettivi, già interpretati dal meccanismo di raccolta e poi piegati attraverso tutta l’elaborazione della aggregazione dei proxy data, permettendo una deresponsabilizzazione dell’azione politica. Il governo si fa automatico, come lo definisce Stiegler. “La governamentalità algoritmica non ha più bisogno di fare appello ai soggetti, dato che si <focalizza […] sulle relazioni>”(Stiegler 2019, p. 211). Attuale è l’esempio del monitoraggio dei casi di Covid e delle morti a questo imputate, calibrate sui dati macroeconomici della produzione e dei consumi, che forniscono indicazioni per la limitazione di alcune attività e non di altre in un permanente stato di eccezione (Agamben 2003). Questo monitoraggio algoritmico, che si affina e perfeziona continuamente, inglobando nella base statistica le eventuali deviazioni dalla norma, viene seguito costantemente da milioni di persone nel mondo, costituendo lo sfondo del mondo reale rappresentato(19).

Conoscenza e potere

L’età feudale coincise con l’incastellamento, iniziato generalmente intorno al X secolo in europa, dove il signore, costruttore del castello, che a volte arriva ad includere l’intero borgo, offriva la propria protezione dalle incursioni straniere. Ciò che distingueva i signori dai sudditi, costretti alla sottomissione, era la capacità di difendersi. Il possesso di fortezze, di armi e della tecnica per usarle. La forma militare della conoscenza e la ricchezza bastante per avvalersene.
Chi oggi parla di neofeudalesimo associa la disponibilità di strumenti difensivi e offensivi, materiali o anche immateriali, alla possibilità di contrattare potere con le macro istituzioni militari, con l’impero. Secondo costoro i proprietari di capitali strategici, di piattaforme di gate keeping, sarebbero come dei feudatari con eserciti privati, in grado estrarre rendite dai territori digitali e dai mercati, di contrattare la propria sottrazione alla legge, il privilegio. Per essere quindi al di sopra della legge. In sostanza per non pagare le tasse.
A mio parere questo paradigma riflette una deformazione ideologica che è un portato dell’ideologia neoliberista, ovvero che il ruolo degli Stati sia ormai tramontato in favore di una dinamica di relazioni economiche fra centri di potere individuali, identificati negli imprenditori, i capitani di ventura del nostro tempo.
Questa narrazione antistatale della libera competizione fra individui è ovviamente l’ideologia di quei capitani di ventura, propagandata a suon di dollari nel corso degli ultimi trenta anni da quella classe imprenditoriale statunitense, imitata poi in tutto il mondo dai suoi epigoni neoliberisti. Nel suo ultimo libro, Dominio, ne parla approfonditamente Marco D’Eramo rischiando però di cadere nella trappola di credere alla finzione che vuole smascherare, ovvero il reale dominio dei capitalisti, come se fossero davvero loro i sovrani dell’Impero statunitense (D’Eramo 2020, p. 200) e non una classe aristocratica che ha accumulato potere e denaro negli ultimi cento anni (Stewart 2018) e che oramai con il capitalismo ha ben poco a che vedere. Più correttamente Jodi Dean ritiene che il neofeudalesimo sia una condizione che affianca e soppianta il capitalismo, non una sua forma degenerata.

Diversamente dal capitalista, il cui profitto è il valore aggiunto generato da lavoratori salariati con la produzione di beni, il signore feudale trae profitto dal monopolio, dalla coercizione e dalle concessioni.
Le piattaforme digitali sono i nuovi mulini, i loro proprietari miliardari sono i nuovi signori feudali e le migliaia di lavoratori e i miliardi di utenti sono i nuovi contadini. Le società tecnologiche hanno una forza lavoro relativamente limitata, ma hanno modificato intere industrie, che ormai si basano sulla ricerca, l’acquisizione e l’uso di dati. La forza lavoro ridotta è indicativa del carattere neofeudale della tecnologia digitale. L’accumulo di capitale avviene non tanto con la produzione di beni e il lavoro salariato ma con la vendita di servizi, le concessioni, le licenze, i diritti, il lavoro gratuito (spesso mascherato da partecipazione) degli utenti e l’uso dei dati come se fossero risorse naturali. Proponendosi come intermediarie, la piattaforme costituiscono il terreno di attività degli utenti, l’unico luogo in cui possono avvenire interazioni. (Dean 2010)

L’idea che il capitalismo non sia più la forma prevalente della distribuzione della ricchezza, accanto a forme più nuove di estrazione della rendita e più antiche di riproduzione sociale e schiavitù, è stata avanzata recentemente, applicando il modello di economiemondo di Braudel (Braudel 1988, p.20), ad esempio da Manuel De Landa con la teoria degli assemblaggi (De Landa 2016). A differenza dei paradigmi lineari, in cui alla società patriarcale segue quella schiavistica, poi feudale, poi capitalista e ora post-fordista, Braudel e i suoi epigoni preferiscono un sicretismo policentrico in cui le varie forme di economia, ovvero di relazione sociale, si sovrappongono e si intrecciano nelle antiche forme e in quelle rinnovate. In questo senso neofeudalesimo e capitalismo possono coesistere e sostenersi mantenendo delle nicchie di società tradizionale e comunitaria oppure socialista. La stretta interrelazione tra economia cinese pianificata a trazione statale e quella statunitense, apparentemente iperliberista, ne è una dimostrazione.
L’ideologia neoliberista del libero mercato è certamente quella che si è affermata negli ultimi trenta anni, ma è una falsa coscienza, che nasconde la realtà delle relazioni geopolitiche imperiali e l’affermarsi delle altre grandi potenze militari come l’Europa, la Russia e la Cina. Come hanno ben delineato Parag Khanna nel suo saggio I tre imperi (2009) e C. Johnson in Dismantling Empire (2011), la geopolitica è rimasta alla sua dimensione di sempre, quella militare. I mercati non si conquistano solo con la moneta, dietro di questa servono le basi militari e l’aviazione per far sì che venga accettata. Per avere un esercito in grado di dominare posizioni globali serve lo Stato e una forte tassazione per pagarlo. La ricchezza deve essere estratta da chi la produce, ovvero i lavoratori, distolta da usi più sociali e pacifici come l’istruzione o la sanità (Johnson 2011, p 389).

L’ampliarsi delle differenze

Nei periodi di forte accelerazione, come quello che stiamo vivendo, le differenze individuali e sociali si approfondiscono rapidamente. Chi possiede i saperi adatti alla gestione tecnocratica del potere viene avvantaggiato e diviene indispensabile, adeguandosi alla cultura meritocratica dell’aristocrazia. Chi invece rimane legato ai saperi e alla cultura del secolo passato è destinato alla marginalità, parliamo ovviamente della maggioranza della popolazione che per Bernard Stiegler va incontro ad una forma nuova di proletarizzazione. (Stiegler 2019, p. 291)
Più di settanta anni fa Norbert Wiener, uno dei padri della cibernetica, scriveva:

La rivoluzione industriale moderna è fatalmente portata a togliere valore al cervello umano […]. L’uomo medio, provvisto soltanto di qualità mediocri, o men che mediocri, non avrà da vendere nulla che possa invogliare qualcuno all’acquisto. La soluzione, certamente, è di avere una società basata su valori umani differenti dal vendere e comprare. (Wiener 1961, p. 28)

Marginalità non significa necessariamente povertà e miseria. Questi aspetti penosi, diffusissimi nel passato, sono divenuti minoritari nella attuale società dell’abbondanza, in tutto il mondo. La malnutrizione, che fino a cinquanta anni fa era diffusa, oggi riguarda solo specifiche zone poco popolate o afflitte da guerre più o meno combattute (20).
Per marginalità intendo la condizione della larga parte della popolazione e di componenti della stessa tecnocrazia, ovvero di chi viene impiegato nei dispositivi di riproduzione della cultura, del sapere e delle relazioni sociali diseguali, che non appartengono alla aristocrazia. Ovvero di tutte e tutti coloro che, pur garantiti nel loro relativo benessere, non partecipano della sovranità generale e della redistribuzione del frutto del proprio lavoro, risultando fondamentalmente dei sudditi e dei salariati o, peggio, degli assistiti.
Le differenze non aumentano, quindi, in senso economico (21), o almeno non nella misura che viene diffusa dalle narrazioni pauperiste della sinistra in preda ai sensi di colpa. Non è vero che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, oppure che i poveri aumentano (Rosling 2018, p. 135). I ricchi sì, sono sempre più ricchi ma i poveri sono sempre di meno e diminuiscono, mentre una ampia classe media, che costituiva la maggior parte dei consumatori nei paesi OCSE, sta sperimentando una perdita del potere d’acquisto e una precarizzazione a cui non pensava di andare incontro (Gallino 2012, p. 9). Parallelamente in paesi di recente industrializzazione, come i BRICS (22), centinaia di milioni di ex poveri accedono alla condizione di classe media con salari che si aggirano sui 300-500 dollari mensili.
Proprio perché la classe media si espande e le differenze sociali e culturali vanno ad appianarsi nella comunità globale interconnessa, si tende a sottolineare e a valorizzare la differenza tra individui nella forma di micro identità, intersezioni e singolarità. L’eguaglianza era un obiettivo in una società estremamente diseguale come quella dell’ancien regime che si affacciava alla possibilità di produrre merci in serie, oggi è l’affermazione della differenza il fine della società, vista come produzione di relazioni nella libertà di essere sé stessi.
Questo culto narcisistico del sé è lo strumento migliore per estrarre valore dalle moltitudini a cui vengono offerti a pagamento innumerevoli dispositivi di personalizzazione dell’esperienza di vita, tutti socialmente stratificati.

La govenamentalità algoritmica sostantifica tali relazioni riducendole a correlazioni che fanno così da <ostacolo ai processi di individuazione> dato che dis-integra i potenziali di cui tali relazioni erano caricate, riducendoli a niente, nihil – a nient’altro che queste correlazioni formalizzabili e calcolabili (Stiegler 2019, p 212).

La soggettivazione eccedente


l’ascesa dell’IA potrebbe annullare il valore economico e il potere politico della maggioranza degli esseri umani. Allo stesso tempo i progressi nella biotecnologia potrebbero far sì che la disuguaglianza economica si traduca in disuguaglianza biologica. I super-ricchi alla fine avranno qualcosa che valga la pena fare con la loro enorme ricchezza. Mentre fino a oggi non hanno potuto fare altro che comprare qualche status symbol, presto potrebbero essere in grado di comprare la vita stessa. Se i nuovi trattamenti per allungare la vita o per migliorare le capacità fisiche e cognitive saranno costosi, l’umanità potrebbe dividersi in caste biologiche (Harari 2018, p. 162).

Seppure enormi sforzi vengono profusi nel nascondere che il dominio dell’aristocrazia imperiale avviene mediante una rendita di posizione patrimoniale, culturale e persino genetica, avviene talvolta che la conoscenza filtri, attraverso le maglie della rete, riuscendo a raggiungere coloro che a quella aristocrazia non appartengono. Il sapere strategico viene trasmesso mediante scuole selettive, pubblicazioni costose, università esclusive, formazione interna a grandi aziende e istituzioni governative. La novità consiste nella dematerializzazione della conoscenza che può essere trasportata e immagazzinata con costi minimi. La rivoluzione informatica e di internet hanno costituito una spinta alla diffusione della conoscenza al cui confronto la diffusione della stampa a caratteri mobili impallidisce. Noi non ci rendiamo conto della portata di questa rivoluzione perché l’abbiamo vissuta e per lo stesso motivo non riusciamo a sfruttarne la portata.

Una società che fosse polarizzata nello spazio sociale tra una élite della conoscenza in alto e una massa di lavoratori generici in basso, rappresenterebbe una negazione radicale della nozione di conoscenza come BPG [bene pubblico globale]. Studiosi e operatori dei sistemi formativi hanno quindi individuato nella formazione a distanza, e piú in generale nella formazione assistita dalla rete, lo strumento piú idoneo per contrastare l’avverarsi di tale situazione. Occorre però cercare, anche in questo caso, di separare le iperboli dalla realtà. (Gallino 2007, p.518)

La rete che nasconde la conoscenza fra le trappole dell’attenzione, che offre gratuitamente solo contenuti di scarsa qualità, permette anche di veicolare in spazi semi-pubblici o strettamente privati, informazioni essenziali a formare avanguardie conflittuali egualitarie. Mi riferisco per esempio ai docenti universitari, ai ricercatori e alle ricercatrici che svolgono un importante lavoro di riproduzione sociale per conto dell’aristocrazia. Mi riferisco agli studenti con profili tecnici di alta specializzazione che diventeranno forza lavoro soggettivata e quindi potenzialmente emancipata. Sono loro che progettano e implementano le infrastrutture della governamentalità algoritmica. Mi riferisco a tutta quella parte di apparato tecnocratico che riveste le posizioni più precarie e ingrate, che deve continuamente aggiornarsi e competere per essere utile al sistema di controllo e sfruttamento. Sto parlando di quella ampia classe media intellettuale, il cosiddetto cognitariato (Burgio 2014, p.83), che non fa parte dell’aristocrazia e non ne farà mai parte e che però, per quello che riguarda il profilo culturale, gli è pericolosamente vicina. Quello che cento anni fa era il fattore emancipativo di autocoscienza di classe del lavoro di fabbrica, a contatto con la più avanzata tecnologia produttiva e disciplinato dalla organizzazione scientifica del lavoro, si è trasformato nel ruolo emancipativo di autocoscienza del lavoro simbolico immateriale. Lo troviamo nella soggettivazione della forza lavoro (Negri 2008, p.88) dei tecnici e degli intellettuali delle industrie del senso (Bellucci 2019), che producono sapere e ideologia per conto dell’aristocrazia imperiale.
Il cognitariato odierno, però, diversamente dal proletariato del secolo scorso, non risconosce nella sinistra (anticapitalista) e nell’organizzazione dei lavoratori (sindacato) i valori per la propria emancipazione collettiva ma si affida spesso ad una ideologia individualista e libertariana pienamente aderente al realismo capitalista di cui ci ha parlato Mark Fisher.

Destra o sinistra?

Osserviamo i quattro idealtipi ideologici: i reazionari, i conservatori, i progressisti, i rivoluzionari.
Queste categorie che idealmente dividono la destra dalla sinistra, nella distinzione che ne faccio, non compongono una scala fra l’assolutismo e la democrazia, tra gerarchia e eguaglianza, casomai tra conservazione e progresso come orizzonte (Revelli 2007, p.6). Vi possono essere democratici e comunisti reazionari (se ad esempio puntano alla costituzione di comunità religiose o alla repubblica dell’antica Roma, alla democrazia ateniese o nostalgici del comunismo sovietico) oppure autoritari rivoluzionari che vogliono instaurare dei regimi autocratici futuristi, con nessuna origine nella tradizione. Si può altrettanto essere conservatori socialdemocratici e progressisti aristocratici, come al giorno d’oggi spesso avviene con la nostalgia dello stato sociale o l’invocazione dei tecnici al governo. Si può preferire la giustizia sociale alla democrazia o il benessere alla libertà. Non esistono valori legati fra loro a priori (Bobbio 2014, Vanetti 2019) pertanto, a mio parere, la dicotomia destra-sinistra andrebbe superata. Già un quarto di secolo fa Cornelius Castoriadis affermava che “da molto tempo il divario destra-sinistra, in Francia come altrove, non corrisponde più né ai grandi problemi del nostro tempo né a delle scelte politiche radicalmente opposte le une rispetto alle altre” (Michéa 2015, p.16).

La nostalgia democratica

C’è chi ha sostenuto, come hanno fatto i movimenti populisti di sinistra negli ultimi dieci anni che, per combattere l’aristocrazia finanziaria e parassitaria occorra oggi una rivoluzione democratica radicale, che dia realmente voce al popolo. Dopo i fallimenti in questo senso dei movimenti tecno-populisti di democrazia radicale in Europa (Gometz 2017, p.16), che si sono adeguati alla logica parlamentare della rappresentanza assumendo la conformazione degli altri partiti-immagine (23), dobbiamo concludere che il partecipazionismo non può mantenere la sua promessa, ovvero l’espressione della volontà popolare mediante la democrazia diretta.

Il participazionismo è un credo democratico radicale che considera la partecipazione, più che la rappresentanza, la fonte della legittimazione politica. La partecipazione è ritenuta il criterio normativo di una buona politica, il che significa che sono legittimi soltanto quei processi che coinvolgono attivamente i cittadini. (Gerbaudo 2020, p. 213)

Dare voce al popolo, senza che quel popolo abbia conquistato gli strumenti per conoscere, pensare, produrre e riprodurre, significa soltanto amplificare la voce e il pensiero di chi controlla l’informazione e la cultura dominante.

Fake news, “post-verità”, teorie del complotto virali, bolle informative, polarizzazione d’una sfera pubblica sempre più conflittuale e lontana dagli idilli dialettici vagheggiati dai teorici della deliberative citizen participation avrebbero infatti consentito a queste forze di avvelenare i pozzi d’un dibattito politico che si immaginava fecondo di soluzioni condivise, universalmente soddisfacenti, insomma “buone” in qualche senso non vuoto del termine (Gometz, 2017, p.14).

Le moltitudini, proprio per la loro natura pre-politica, non possono formare una propria narrazione se non riciclando e riassemblando le parti di discorsi già sentiti. Religioni, propaganda neoliberista, senso comune, localismo, tradizione e pregiudizi vengono ricomposti in una ideologia confusa e rivendicativa utilizzata da partiti che mirano alla conquista del governo e appena dopo alla loro stessa riproduzione (24). Quello che si ottiene non è una reale partecipazione ad una intelligenza e decisionalità collettiva ma una evidente forma di conformismo attorno alle figure dei leader carismatici, che produce forme spettacolari di plebiscitarismo (Gerbaudo 2020, p. 337). L’interrogazione della cittadinanza e la costruzione di processi partecipati di governo dei territori (25) divengono allora, fuori dall’ambito strettamente politico, delle tecniche di mediazione (advocacy) per ridurre la resistenza delle comunità territoriali all’intervento dall’alto. Una forma avanzata e compiutamente democratica di applicazione della governance neoliberista.

… chiave di una strategia di advocacy è il coinvolgimento delle terze parti, con azioni che promuovano un punto di vista esterno e autorevole e aggiungano contenuto al dibattito. Sarà quindi fondamentale coinvolgere opinion leader riconosciuti dalla comunità per la loro autorevolezza accademica, professionale o personale e costruire assieme a loro il percorso che porti al consenso sul progetto. Così come istituti di ricerca, associazioni sul territorio e tematiche (Giansante 2018)(26).

Le proiezioni improbabili sul futuro

Se la democrazia come narrazione unificante è stata destituita dalla tecnologia, non si può fare affidamento sulla democrazia partecipativa per ripristinarla. Bisogna adattarsi a forme di trasformazione sociale tipiche delle condizioni non democratiche, basate più sull’azione individuale che su quella collettiva. Più sulla costruzione delle coscienze e dei comportamenti individuali che non sulla azione pubblica coordinata per raggiungere obiettivi concreti. Più sulla trasformazione delle relazioni produttive nelle economiemondo che sull’organizzazione politica.
Il suggerimento operativo per la resistenza ce lo fornisce il nostro nemico naturale, il tecnico della risoluzione dei conflitti fra gli estrattori di valore dai territori fisici e digitali: “coinvolgere opinion leader riconosciuti dalla comunità per la loro autorevolezza accademica, professionale o personale e costruire assieme a loro”(27) il conflitto contro i dispositivi di assoggettamento e sfruttamento da parte dell’aristocrazia. Parallelamente, e qui l’impegno assume i contorni dell’impresa prometeica, abbiamo bisogno di una comune interpretazione del mondo, una nuova forma molteplice di metanarrazione, in grado di proiettarci in una idea di futuro che non sia mera reazione all’esistente. Una anticipazione di forme della relazione produttiva e riproduttiva la cui finalità sia l’emancipazione umana e non il disciplinamento dei dominati ai dispositivi estrattivi del capitale e della rendita.

Note

(1) “When President Bush announced his new foreign policy would help build a New World Order, his phrasing surged through the Christian and secular hard right like an electric shock, since the phrase had been used to represent the dreaded collectivist One World Government for decades”. Chip Berlet, How Apocalyptic and Millennialist Themes Influence Right Wing Scapegoating and Conspiracism, in Political Research Associates, 1999.
(2) Infatti il capolavoro di eufemismo si manifesta nell’esercizio dell’impero da parte degli Stati Uniti: anzi eufemismo è la forma di impero che hanno imposto al mondo. Intanto perché è un impero che rifiuta di esser chiamato così, un po come la classe borghese non voleva essere nominata, era “ex-nominata” secondo Barthes. Addirittura l’impero si cela ai propri cittadini: “la maggior parte degli americani non riconosce – o non vuole riconoscere – che gli Stati Uniti d’America dominano il mondo per mezzo della forza militare…” (D’Eramo 2020, p. 200)
(3) Jodi Dean https://lareviewofbooks.org/article/neofeudalism-the-end-of-capitalism, Mariana Mazzucato https://ilponte.home.blog/2019/10/13/mariana-mazzucato-impedire-che-si-realizzi-un-feudalismo-digitale-facebook-google-ecc/
(4) https://rizomatica.noblogs.org/2020/05/territori-laboratorio-per-una-economia-politica-ipermaterialista
(5) Se ben gestito, un sistema di governo di questo tipo sposa le virtù dell’inclusività democratica con l’efficacia del management tecnocratico. È il tipo ideale di governo ed è quello che chiamo “tecnocrazia diretta”. (Khanna 2017, p. 4)
(6) Eugenio Scalfari https://www.repubblica.it/politica/2016/10/13/news/perche_difendo_l_oligarchia-149655377/
(7) Land https://rizomatica.noblogs.org/2020/05/la_citta-azienda_dei_neoreazionari/
(8) Matthew Stewart https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2018/06/the-birth-of-a-new-american-aristocracy/559130/
(9) Lorenzo Castellani https://open.luiss.it/2018/06/22/lera-del-tecno-populismo-trasformazione-o-fine-della-politica-liberal-democratica/
(10) Clay R. Fuller https://quillette.com/2018/06/09/threat-authoritarian-liberalism/
(11) “si potrebbe aggiungere che la classe operaia o lavoratrice è costituita dagli individui che con la loro forza lavoro, erogata alle dipendenze di qualcuno, assicurano la produzione delle merci e del capitale, mentre rientrano nella classe media coloro che assicurano la circolazione delle une (ad esempio con il trasporto e il commercio) e dell’altro (ad esempio con il credito). Un tempo quest’ultima era chiamata piccola e media borghesia, per distinguerla dall’alta borghesia formata da imprenditori, redditieri (i proprietari di grandi patrimoni), proprietari terrieri e immobiliari, alti dirigenti delle imprese e della pubblica amministrazione. (Gallino 2012, p. 11) – https://it.m.wikipedia.org/wiki/Legge_dei_tre_settori
(12) https://www.agenziacoesione.gov.it/comunicazione/agenda-2030-per-lo-sviluppo-sostenibile/
(13) https://cambiailmondo.org/2017/12/20/michael-hartmann-le-elites-europee-ad-un-bivio-di-paradigma/
(14) https://it.wikipedia.org/wiki/Politiche_di_governance
(15) «La lotta fa un passo avanti – scrive Lotta Continua – quando distrugge la politica come attività separata, come specializzazione, come momento sindacale». [Qui si può leggere l’inizio dell’anti-politica, affermatasi in modo pervasivo a partire dagli anni Novanta] Leo Essen, Centri sociali contro legge del Valore-lavoro. Una storia triste , 2020 https://www.coku.it/index.php/it/decoder
(16) https://businessschool.luiss.it/news/ladvocacy-costruire-consenso-per-aziende-e-istituzioni/
(17) http://www.mauronovelli.it/La.crisi.della.democrazia_HUNTINGTON.pdf
(18) Parlando ad Atene nel novembre 2012, il filosofo italiano Giorgio Agamben ha descritto una trasformazione epocale nell’idea di governo, «in cui la relazione gerarchica tradizionale tra cause ed effetti è invertita, in modo che, invece di governare le cause – un compito difficile e costoso – i governi cercano semplicemente di governare gli effetti» (Morozov 2016, p. 36)
(19) https://www.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html , https://lab.gedidigital.it/gedi-visual/2020/coronavirus-in-italia/
(20) https://www.worldbank.org/en/topic/poverty/publication/fragility-conflict-on-the-front-lines-fight-against-poverty
(21) https://www.gapminder.org/answers/how-many-are-rich-and-how-many-are-poor/
(22) I BRICS https://leg16.camera.it/465?area=2&tema=760&BRICS+%28Brasile%2C+Russia%2C+India%2C+Cina+e+Sudafrica%29 , Diagrammi dinamici dei livelli di reddito https://www.gapminder.org/tools/#$chart-type=mountain
(23) Intervista su L’ Unità, 1-12-1983 a F. Adornato sulla democrazia elettronica. https://enricoberlinguer.org/home/enrico-berlinguer/documenti-politici/30-la-democrazia-elettronica.html
(24) “Le elezioni dei capi da parte delle masse si compiono con tali metodi, e sotto così forti suggestioni e altre costrizioni morali, che la libertà di decisione delle masse appare in sommo grado limitata. E se ciò non appare sempre dalle elezioni, è però un fatto costante nelle rielezioni”. Le decisioni importanti prese se non “en petit comité”, sottoponendo ai soci solo il fatto compiuto; gli accordi segreti dei capi tra di loro e l’imposizione del silenzio attorno a tali accordi: ecco i piccoli frutti quotidiani dell’oligarchia su piede formalmente democratico, un sistema in realtà assai prossimo a quello conosciuto nella storia degli Stati come plebiscitario o bonapartistico. L’oligarchia completa il proprio ciclo scegliendosi da sé i propri successori: un sintomo del passaggio al sistema della monarchia per diritto ereditario (Michels 2009, p. 3).
(25) Regione Emilia Romagna, NUCLEO TECNICO DI INTEGRAZIONE CON LE AUTONOMIE LOCALI RELAZIONE ANNUALE 2011 https://partecipazione.regione.emilia-romagna.it/documenti-e-materiali-allegati-tecnico/relazione_nucleo_2011.pdf/@@download/file/relazione_nucleo_2011.pdf in: https://partecipazione.regione.emilia-romagna.it/tecnico-di-garanzia/servizi/linee-guida-per-la-progettazione/copy_of_gli-strumenti-di-democrazia-diretta-deliberativa-partecipativa-dddp
(26) G. Giansante, docente di comunicazione politica LUISS Guido Carli, Partner Comin & Partners, https://businessschool.luiss.it/news/ladvocacy-costruire-consenso-per-aziende-e-istituzioni/
(27) ibidem.

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