Se le macchine di Marx siamo noi

Siamo alla fine del capitalismo o ad una sua ennesima trasformazione?

di V. Pellegrino

Questo numero di Rizoma è dedicato alle città in quanto luoghi privilegiati di sperimentazione e accoglimento delle trasformazioni, dei cambiamenti, delle rivoluzioni tecnologiche, sociali e politiche. Ancora una volta, come nei vari processi di inurbamento succedutisi nella storia dell’umanità, sono le città l’epicentro e l’incubatoio dei grandi cambiamenti che le nuove tecnologie rendono possibili, con la nascita di nuovi comportamenti, stili di vita, relazioni sociali.

In molte città del pianeta è già iniziata la sperimentazione della nuova tecnologia di comunicazione mobile denominata 5G (5th Generation) in grado di far funzionare la così detta “Internet delle cose” (IdC, in inglese, IoT). L’estensione della rete internet agli oggetti si presenta come carica di potenzialità e costituirà, insieme al passaggio alle energie rinnovabili e alla elettrificazione del sistema dei trasporti, la principale colonna portante del processo di innovazione che caratterizzerà in nostro prossimo futuro. Secondo una visione alquanto ottimistica e a mio avviso un po’ acritica, l’avvento di questa nuova matrice comunicazioni-energia-trasporti basata su internet-energie rinnovabili-trasporti elettrici, ci porterà nientepopodimeno che fuori dal capitalismo, proiettandoci nell’era del “Commons” collaborativo1. Credo comunque siano davvero molti gli elementi che indicano il fatto che ci troviamo in un momento di cambiamento epocale, profondo e generalizzato; quello che, mutuando il termine dall’epistemologia, possiamo definire un vero e proprio “passaggio di paradigma”2 anche se, sull’esito di questo passaggio, sul suo effettivo approdo, preferisco, a differenza di Rifkin (vedi nota 1) e come suggerisce il sottotitolo di questo articolo, avvalermi del beneficio d’inventario, cioè della prova dei fatti.

Proprio a causa di questo stato di transizione, il mondo che ci circonda ci appare carico di contraddizioni difficili da interpretare. Le certezze che caratterizzavano un certo assetto economico, sociale, politico proprio del capitalismo industriale maturo sono ridotte in briciole e questo processo di sgretolamento è in atto ormai da almeno trent’anni. Al generale riassetto geopolitico legato alla caduta del Blocco sovietico e alle sue ricadute sul piano degli equilibri politici interni alle società occidentali, con la sostanziale scomparsa dall’orizzonte politico dell’alternativa socialista e l’affermarsi del cosi detto “pensiero unico”, si è sovrapposta l’azione del potentissimo motore di innovazione rappresentato dalla diffusione di massa delle tecnologie informatiche. Dal primo avvento di internet, alla metà degli anni ’90 del secolo scorso, all’ormai prossimo arrivo dell’internet delle cose ed allo sviluppo e applicazione della così detta Intelligenza artificiale, stiamo assistendo ad un progressivo crescendo dell’impatto delle nuove tecnologie sulle nostre vite e sui nostri rapporti sociali. I continui e rapidi progressi nel settore informatico retroagiscono poi, in termini di potenza di calcolo e capacità di modellazione digitale di fenomeni fisici e processi sociali anche molto complessi, sulla velocità dello sviluppo scientifico e tecnologico in un circolo virtuoso in grado di produrre una curva di crescita esponenziale in molti settori strategici della vita dell’umanità. Dalla bioingegneria alle neuroscienze, dalle nanotecnologie alla genomica, l’umanità sembra prossima ad acquisire le chiavi di controllo dei processi vitali e intellettivi ma tutto ciò avviene al chiuso dei laboratori e dei centri di ricerca, sotto l’unica spinta che il sistema capitalista è in grado di produrre, cioè la ricerca del profitto, senza nessun dibattitto pubblico sugli scopi e i metodi dell’attività di ricerca e senza nessun controllo anche vagamente democratico su di essa.

L’ambito in cui più rilevanti, dal punto di vista economico e politico, sono state le trasformazioni è quello della produzione e, specularmente, del consumo di beni. Rispetto a questi ultimi, è necessario sottolineare come, parallelamente all’automazione delle fabbriche e all’informatizzazione del settore terziario, si è determinata una progressiva smaterializzazione della produzione, sia in riferimento al tipo di beni prodotti che alla natura del lavoro impiegato per produrli. Come sottolinea Carlo Vercellone «la parte del capitale chiamato ‘intangibile’ (Ricerca e Sviluppo ma anche educazione e sanità) supera quella del capitale materiale nello stock globale di capitale ed è divenuta l’elemento determinante della crescita economica»3. Si tratta di trasformazioni radicali che ci hanno fatto uscire dal capitalismo industriale nato due secoli e mezzo fa, spingendoci in una sorta di guado di cui ancora non sono chiari i tratti dell’altra sponda.

Gli studiosi di tali processi hanno proposto, nel tempo di questa trasformazione tuttora in pieno corso, vari nomi per identificare questo nuovo modo di produzione: postfordismo, capitalismo postmoderno, infocapitalismo, capitalismo cognitivo o della conoscenza. Ebbene, paradossalmente, le basi teoriche su cui si fonda l’analisi e l’interpretazione di questa grande trasformazione, la vera e propria scaturigine di questa riflessione ancora aperta, sono da ricercare in un breve testo scritto oltre centosessant’anni fa. Si tratta del così detto “Frammento sulle macchine” contenuto nei Grundrisse4 di Karl Marx.

Nell’introdurre il riferimento a questo testo fondamentale, voglio fare una precisazione di carattere metodologico, filologico, precisando che, nel mio procedere, un concetto, un’affermazione, una tesi non è valida per la sola ragione che è stata sostenuta da una grande personalità ma, al contrario, si deve riconoscere la grandezza di un pensatore in quanto ha sostenuto tesi rivelatesi vere, confermate dai fatti. Non intendo quindi valermi del così detto “principio di autorità”, cosa che, riferendomi qui a Marx, ed essendo note le posture ideologiche di un certo marxismo, che tendono a farne una specie di santo e profeta, fonte indiscussa e indiscutibile del “verbo”, ritengo sia meglio precisare.

BREVE STORIA DEL FRAMMENTO

Le pagine del “Frammento” sono state scritte nel febbraio del 1858 a Kentish Town – Londra (dove Marx si trovava latitante in quanto ancora ricercato in Germania) e fanno parte di un insieme di scritti che prendono il nome di Grundrisse, ovverosia “Lineamenti fondamentali” (il sottotitolo dell’edizione italiana è Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica), che costituiscono la prima esposizione della critica marxiana dell’economia politica.

Marx, che di giorno scrive articoli per il New York Tribune, di notte riempie a ruota libera otto taccuini di appunti quasi illeggibili, grafici, schizzi, esperimenti mentali, sotto una sorta di febbre produttiva alimentata dalla speranza che la grave crisi che il primo capitalismo stava attraversando in quel momento, con il crollo di Wall Street e il fallimento a catena delle banche in Europa, potesse innescare una qualche sorta di rivoluzione europea. In una lettera ad Engels scrive: «Lavoro come un pazzo le notti intere a riordinare i miei studi economici per averne chiari almeno i lineamenti fondamentali [Grundrisse] prima del diluvio»5.

Dopo la morte di Marx, i taccuini saranno salvati ma non letti da Engels. Verranno conservati presso la sede centrale del Partito socialdemocratico tedesco sino agli anni ’20, quando saranno acquistati dall’Unione Sovietica. Pubblicati a Mosca nel 1939 – 1941, essi rientreranno in Europa con l’edizione tedesco-orientale del 1953, ma si trattava ancora di un’edizione appannaggio di una ristretta cerchia di studiosi. Servirà attendere ancora diversi anni e la traduzione nelle principali lingue europee (quella inglese giungerà solo nel 1973) perché questo testo fondamentale dell’opera marxiana possa essere studiato, letto, analizzato anche dal grande pubblico. È tuttavia opportuno ricordare che dai Grundrisse vennero esportati, in diversi tempi, alcuni blocchi dotati di coerenza e significato in sé. Kautsky pubblicherà l’Introduzione già nel 1903, mentre gli altri due più importanti brani pubblicati in forma autonoma sono quello dedicato alle “Forme che precedono la produzione capitalistica”, pubblicato in Italia nel 1956 e in Inghilterra nel 1964, ed “Il Frammento sulle macchine”, appunto, pubblicato in Italia nel 1964 da Raniero Panzieri nei Quaderni rossi6.

MARX OLTRE MARX7

Quando gli studiosi poterono finalmente visionare quanto scritto da Marx in quella fredda notte del 1858 dovranno ammettere che “pone in discussione qualsiasi interpretazione attendibile di Marx elaborata sinora”8. Paolo Virno ha sottolineato come le idee espresse nel “Frammento” non si possono “rintracciare in altri luoghi dell’opera marxiana e, anzi, suonano alternative alle formule consuete”9. Ma andiamo a vedere il perché di queste affermazioni. Immergiamoci nel testo10.

Innanzitutto, Marx esordisce sottolineando che con lo sviluppo della grande industria viene a mutare il rapporto tra l’operaio e il “mezzo di lavoro”. Mentre nell’uso dell’attrezzo semplice (la leva, il martello) è l’operaio a dominare il processo e l’attrezzo non è che una sua protesi, una propaggine in grado di esaltarne l’abilità, con l’avvento delle macchine o, meglio, del “sistema automatico dei macchinari”, è «questo automa costituito da numerosi organi meccanici ed intellettuali» ad assumere la guida del processo «cosicché gli operai stessi sono determinati soltanto come sue membra coscienti». L’operaio «si colloca accanto al processo di produzione, anziché esserne l’agente principale», diviene il suo sorvegliante. Assistiamo così al trasferimento della capacità prometeica dal lavoro vivo al sistema macchinico della produzione. Nel processo di produzione reale, nella sua determinazione, l’uomo diventa subalterno alla macchina o, più precisamente, «al lavoro scientifico generale, all’applicazione tecnologica delle scienze naturali .. e .. alla produttività generale derivante dall’articolazione sociale della produzione complessiva .. » incorporati nella macchina. «L’accumulazione della scienza e dell’abilità, delle forze produttive generali del cervello sociale, rimane così, rispetto al lavoro, assorbita nel capitale, e si presenta perciò come proprietà del capitale, e più precisamente del capitale fisso.. ». «In quanto poi le macchine si sviluppano con l’accumulazione della scienza sociale, della produttività in generale, non è nel lavoro ma nel capitale che si esprime il lavoro generalmente sociale. La produttività della società si commisura al capitale fisso, esiste in esso in forma oggettivata e, viceversa, la produttività del capitale si sviluppa con questo progresso generale che il capitale si appropria gratis.» «.. produttività generale che si presenta come un dono naturale del lavoro sociale, benché sia, in realtà, prodotto storico». Si evidenzia qui un circolo virtuoso che è quello proprio che si dà tra sviluppo della scienza e delle sue applicazioni tecniche e tecnologiche, da un lato, ed il progresso generale delle capacità sociali, dall’altro, con il corollario della produzione di nuove ed inedite forme di soggettività. Inutile precisare che il concetto di macchina nel “Frammento” è sottoposto ad un’assoluta generalizzazione, tanto che Marx specifica che «Qui lo sviluppo delle macchine non va esaminato nel dettaglio, ma solo sotto l’aspetto generale per cui nel capitale fisso il mezzo di lavoro, dal suo lato materiale, perde la sua forma immediata e si contrappone materialmente, come capitale, all’operaio». Assistiamo qui ad una sorta di estensione del concetto di alienazione: mentre nei Manoscritti del 1844 leggiamo che «l’operaio si viene a trovare, rispetto al prodotto del suo lavoro, come rispetto ad un oggetto estraneo», nel “Frammento” è lo stesso «.. processo di produzione che cessa di essere processo di lavoro”. Il “lavoro vivo” viene sussunto, assorbito nel “lavoro materializzato”; «l’appropriazione della forza o attività valorizzatrice da parte del valore per se stante – insita nel concetto di capitale – è posta, nella produzione fondata sul macchinario, come carattere del processo di produzione stesso», la produzione di valore diviene una caratteristica del processo stesso, non più dei singoli fattori produttivi, tantomeno del lavoro dell’uomo. Quindi la trasformazione del mezzo di produzione da “strumento” nelle mani dell’operaio a sistema macchinico, ad automa, rappresenta la naturale evoluzione del processo di valorizzazione proprio del capitale fisso che, in tal modo, assume la sua forma più adeguata in rapporto al capitale in generale. È qui concretamente descritto il passaggio dalla sussunzione formale alla sussunzione reale del lavoro nel capitale. Ma il capitale può autonomizzarsi rispetto al “lavoro vivo”, così subordinandolo e rendendolo astratto e fungibile, attraverso l’introduzione delle macchine nella produzione, solo nella misura in cui le macchine stesse incorporano il «lavoro scientifico generale, l’applicazione tecnologica delle scienze naturali» ma anche «la forza produttiva generale risultante dall’articolazione sociale della produzione» che, come ricordavamo più sopra, non è un dono naturale della società ma un processo di accumulazione storica. In altre parole, il sistema della macchine si appropria del “General Intellect”, del sapere sociale generale, della knowledge, per farne forza produttiva immediata. Ecco emergere qui in piena luce questo concetto nuovo, quello di “General Intellect”, che tanta fortuna avrà nella futura storia del pensiero politico.

Qui si apre una immediata contraddizione: «Nella stessa misura in cui il tempo di lavoro – la mera quantità di lavoro – è posto dal capitale come unico elemento determinante, il lavoro immediato e la sua quantità scompaiono come principio determinante della produzione – della creazione di valori d’uso – e vengono ridotti sia quantitativamente.. sia qualitativamente.. ». Con lo sviluppo della grande industria «la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, che a sua volta – questa loro powerful effectiveness [poderosa efficacia] – non è minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro produzione, ma dipende invece dallo stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall’applicazione di questa scienza alla produzione. Lo sviluppo di questa scienza.. è a sua volta di nuovo in rapporto allo sviluppo della produzione materiale.» La potenza produttiva, attraverso la messa all’opera del General Intellect, viene a svincolarsi dalla quantità e dalla qualità del lavoro umano impiegato. «Non è il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale – in una parola, lo sviluppo dell’individuo sociale – che si presenta come il grande pilastro di sostegno della produzione della ricchezza».

Posta a confronto con quello che sarebbe diventato il movimento politico che si ispirò all’opera di Marx e che denunciò il capitalismo come una forma di sfruttamento basata sul furto del tempo di lavoro, questa elaborazione, rimasta ai margini come unicum della produzione marxiana, mostra tutto il suo valore dirompente e suggerisce come, nel momento il cui la conoscenza diventa il fattore di produzione preponderante, enormemente più importante del lavoro vivo impiegato nel ciclo produttivo e di quello utilizzato per costruire le singole macchine, il problema non sia più la contrapposizione tra lavoro e capitale, la ripartizione della ricchezza prodotta tra salari e profitti, ma chi detiene il controllo del sapere.

«Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a una nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio [della forza-lavoro] deve cessare di essere la misura del valore d’uso. Il pluslavoro della massa ha cessato di essere la condizione di sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro di pochi [l’élite intellettuale] ha cessato di essere la condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla, e il processo di produzione materiale immediato viene a perdere anche la forma della miseria e dell’antagonismo. Subentra il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare il pluslavoro, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della società a un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro. »

«Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro ad un minimo, mentre, dall’altro lato, pone il tempo di lavoro come l’unica misura e fonte della ricchezza.» «Le forze produttive e le relazioni sociali – entrambi lati diversi dello sviluppo dell’individuo sociale – figurano per il capitale solo come mezzi, e sono per esso solo mezzi per produrre sulla sua base limitata. Ma in realtà [in quanto fini per l’uomo] esse sono le condizioni per far saltare questa base. La natura non costruisce macchine, non costruisce locomotive, ferrovie, telegrafi elettrici, filatoi automatici ecc. Essi sono prodotti dell’industria umana: materiale naturale, trasformato in organi della volontà umana sulla natura .. Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana: capacità scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso sono passate sotto il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità ad esso.. » Ecco qui la descrizione dell’ulteriore passaggio del processo sussuntivo dalla sussunzione formale del lavoro nel capitale alla sussunzione della società nel General Intellect.

«La creazione di molto tempo disponibile oltre il tempo di lavoro necessario.. questa creazione di tempo di non-lavoro si presenta come tempo di non-lavoro per alcuni [i disoccupati come “esercito di riserva” tenuti fuori dal sistema produttivo in quanto superflui]. Il capitale vi aggiunge il fatto che esso moltiplica il tempo di lavoro supplementare della massa con tutti i mezzi della tecnica e della scienza, perché la sua ricchezza è fatta direttamente di appropriazione di tempo di lavoro supplementare: giacché il suo scopo è direttamente il valore, e non il valore d’uso. In tal modo, suo malgrado, è strumento di creazione della possibilità di tempo sociale disponibile, della riduzione del tempo di lavoro per l’intera società a un minimo decrescente, sì da rendere il tempo di tutti libero per il loro sviluppo personale.. Quanto più si sviluppa questa contraddizione, tanto più viene in luce che la crescita delle forze produttive non può più essere vincolata all’appropriazione di pluslavoro altrui, ma che piuttosto la massa operaia stessa deve appropriarsi del suo pluslavoro. Una volta che lo abbia fatto.. da una parte il tempo di lavoro necessario avrà la sua misura nei bisogni dell’individuo sociale, dall’altra lo sviluppo della produttività sociale crescerà così rapidamente che, sebbene ora la produzione sia calcolata in vista della ricchezza di tutti, cresce il tempo disponibile per tutti. Giacché la ricchezza reale è la produttività sviluppata di tutti gli individui. E allora non è più il tempo di lavoro ma il tempo disponibile la misura della ricchezza.» Si assiste qui al rovesciamento di uno dei presupposti più scontati e radicati di tutto il pensiero economico: il principio di scarsità si tramuta in una possibilità di abbondanza pressoché illimitata.

Marx, pur scrivendo nel lontano 1858, nel pieno della crisi seguita al primo ciclo lungo dell’era capitalistica, sembra parlare dell’oggi, della situazione, carica di contraddizioni tra “miserie del presente e ricchezza del possibile”11, che stiamo vivendo nel nostro presente.

Marx in questo testo, straordinario in tutti i sensi, anche in riferimento al resto della sua pur fondamentale produzione, non usa mezzi termini: egli vede in modo inequivocabile che, con l’evoluzione del sistema capitalistico rappresentata dalla nascita della grande industria, «Il capitale lavora così alla propria dissoluzione come forma dominante della produzione.».. che diviene, ora, il General Intellect.

Ma Marx si spinge oltre e ci dice che «L’economia effettiva – il risparmio – consiste in un risparmio di tempo di lavoro; ma questo risparmio si identifica con lo sviluppo della produttività. Non si tratta quindi affatto di rinuncia al godimento, bensì di sviluppo di capacità, di capacità adatte alla produzione, e perciò tanto delle capacità quanto dei mezzi di godimento. La capacità di godere è una condizione per godere, ossia il suo primo mezzo, e questa capacità è lo sviluppo di un talento individuale, è produttività [la capacità di godere, resa possibile dall’aumento di produttività, è produttività essa stessa!]. Il risparmio di tempo di lavoro equivale all’aumento di tempo libero, ossia il tempo dedicato allo sviluppo pieno dell’individuo, sviluppo che a sua volta reagisce, come massima produttività, sulla produttività del lavoro. Esso [il pieno sviluppo dell’individuo] può essere considerato, dal punto di vista del processo di produzione immediata, come produzione di capitale fisso: questo capitale fisso è l’uomo stesso12.. Il tempo libero ha trasformato naturalmente il suo possessore in un soggetto diverso, ed è in questa veste di soggetto diverso che egli entra poi anche nel processo di produzione immediato.»

LE CONSEGUENZE DELLE TESI DEL FRAMMENTO

Che dire di questo testo straordinario? C’è da rimanere davvero a bocca aperta, tanto per la linearità e la consequenzialità del ragionamento che per la capacità dell’autore di proiettarsi, grazie alla sua straordinaria forza di astrazione e ad un uso rigoroso, coerente, scientifico, delle categorie implicate, ben oltre il suo tempo, sino a preconizzare quello che stiamo attraversando solo oggi. Ad esaltare, se necessario, queste capacità di previsione, vi è da far osservare che il sistema produttivo che osservava Marx nell’Inghilterra di quegli anni, era un sistema prefordista, sostanzialmente basato sulla produzione manifatturiera in opifici dove l’operaio specializzato, diretto discendente dell’artigiano ancora indipendente, circondato dalla manodopera a basso costo fatta per lo più da donne e bambini, era ancora l’ossatura del sistema e, l’avvento della grande industria a cui fa riferimento nel “Frammento” è ancora solo ai suoi inizi. Marx stava assistendo, proprio nel suo tempo, al passaggio che egli definirà da sussunzione formale del lavoro nel capitale a sussunzione reale13. Se paragoniamo l’alta tecnologia di quei tempi, che egli indica in “locomotive, telegrafi elettrici, filatoi automatici”, con quella che ci circonda oggi, se mettiamo in confronto quel mondo con quello odierno, comprendiamo che il Marx del “Frammento” non parla del suo tempo ma di uno a venire, del nostro. Possiamo dedurre quindi che Marx non sviluppò in modo più ampio le idee contenute in questo testo e che il concetto di intelligenza generale rimase qui confinato per la semplice ragione che il capitalismo dell’epoca non avvalorava queste ipotesi. La crisi economica cessò, il capitale e la crescita dell’apparato industriale ripresero a marciare a ritmi serrati e l’autore del “Frammento” si dedicò alla costruzione di una teoria del capitalismo in cui i meccanismi di scambio non saltano per la comparsa dell’intelletto generale e in cui non si accenna più alla conoscenza come fonte del profitto. Nel novecento si affermerà una dottrina marxista basata sul socialismo di stato, la pianificazione, la previsione dell’inesorabile implosione del capitalismo, cioè sul Marx del Capitale. Il “Frammento sulle macchine” riposerà a lungo, ma non per sempre, sotto la neve dell’Unione Sovietica per riemergere ed essere riscoperto in tempi nei quali il suo messaggio poteva trovare effettivo riscontro nella realtà.

Troviamo in queste pagine dense di significato pressoché tutte le tematiche più urgenti del nostro presente: il carattere sempre più palesemente parassitario del dominio capitalista, il tema dell’alienazione non solo dall’oggetto della produzione ma dal suo stesso processo, il primato sempre più netto della conoscenza, dell’informazione, del sapere sociale sul lavoro immediato, il cortocircuito del capitale che, nell’eterno perseguimento dei suoi scopi (la ricerca della rendita e del profitto) finisce per annientare le sue proprie basi, la possibilità della piena realizzazione dell’individuo nei termini di “Individuo sociale” e la produzione di nuove forme di soggettività, le possibilità di liberazione insite in questa teoria di evoluzione e autodistruzione del capitale che potremmo denominare, con termini attuali, del capitalismo cognitivo.

L’indicazione più significativa che si trae dalla lettura del “Frammento” è che il fattore determinante della produzione non è più né il lavoro né il capitale ma il sapere, l’informazione, e che questo “sapere”, quello racchiuso nel capitale fisso, nelle macchine, è sapere sociale, è l’uomo. Non è certo un caso se il filosofo André Gorz, uno dei più attenti e profondi studiosi delle trasformazioni del lavoro e del modo in cui queste si ripercuotono sull’uomo stesso, ha deciso di aprire uno dei suoi ultimi saggi, L’immateriale – conoscenza, valore, capitale – Ed. Bollati Boringhieri 2003, proprio citando i passi più significativi di questo scritto fondamentale di Marx, per trarne delle conseguenze non dissimili da quelle sostenute in questo articolo, con l’apertura di un doppio orizzonte: “verso una società dell’intelligenza” o “verso una società postumana.”

L’ultimo ventennio del secolo scorso, con il manifestarsi della crisi strutturale del capitalismo industriale e l’attuarsi di quella profonda ristrutturazione del sistema di produzione che ne è stata la risposta, ha visto realizzarsi un ulteriore passaggio nella continuità del processo sussuntivo che aveva già portato, con l’avvento delle macchine nella produzione, dalla sussunzione formale alla sussunzione reale del lavoro nel capitale, passaggio rappresentato dalla sussunzione della società nel General Intellect. Nonostante questo passaggio, concretizzatosi con la tecnicizzazione della vita, il tramonto della centralità operaia, l’adattamento di massa al capitalismo persino in contraddizione con precisi interessi materiali, la trasformazione antropologica prodotta dallo sviluppo economico, Toni Negri, l’autore di “Marx oltre Marx”, ribadisce che il capitalismo, come modo di produzione, rimane di natura antagonista14. Infondo anche l’algoritmo, con il suo dominio, «.. Non è altro che una “macchina” che nasce dalla cooperazione dei lavoratori, dall’intellettualità logistica, e che il padrone impone sopra questa cooperazione, sopra appunto questa intellettualità massificata. L’algoritmo è la macchina padronale sull’intellettualità di massa. La grande differenza fra i processi lavorativi studiati da Marx e quelli attuali, consiste nel fatto che la cooperazione, oggi, non è più imposta dal padrone ma prodotta “dall’interno” della cooperazione della forza-lavoro; che il processo produttivo e le macchine non sono portate “dall’esterno” dal padrone ma sono “interiorizzate”, appropriate dai lavoratori. Noi possiamo propriamente parlare di “appropriazione di capitale fisso” da parte dei lavoratori e con ciò indicare un processo di costruzione dell’algoritmo conoscitivo, disposto alla valorizzazione del lavoro in ogni sua articolazione, capace di produrre linguaggi di cui diverrà il dominus. Questi linguaggi sono dunque stati creati dai lavoratori che ne posseggono la chiave e il motore cooperativo.»15 Ecco di nuovo ricorrere il senso del titolo di questo articolo: il lavoratore, l’individuo sociale, come “capitale fisso”, come “macchina”, come algoritmo.

Secondo Negri e gli altri sostenitori del controllo operaio, dell’autogestione del lavoro, nel momento in cui questa autonomia del lavoro vivo come general intellect si dava sul luogo di lavoro, era impossibile negarla sul piano sociale. I teorici dell’intellettualità di massa hanno radicalizzato questo concetto di autonomia sostenendo che essa e la relativa emancipazione non sono un’esigenza tendenziale ma una realtà attuale (Lazzarato – Negri). Secondo loro “il lavoro si pone immediatamente come libero e costruttivo”. “Il capitale diviene un feticcio, un apparato vuoto di coercizione, un fantasma”. In questo che viene definito da Andrè Gorz, a mio avviso motivatamente, “delirio teoricista”, si trova il postulato secondo cui l’autonomia nel lavoro genera di per sé l’esigenza e la capacità dei lavoratori di sopprimere ogni limite all’esercizio della loro autonomia. Gorz replica che «l’autonomia nel lavoro è poca cosa se in assenza di un’autonomia culturale, morale e politica che la prolunghi e che non nasca dalla cooperazione produttiva stessa, ma dall’attività militante e dalla cultura del rifiuto della sottomissione, della ribellione, della fraternità, del libero dibattito, della messa in discussione radicale (quella che va alla radice delle cose) e della dissidenza che produce.»16 Gli autori che si rifanno “all’intellettualità di massa”, per una sorta di spinozismo sistemico, saltano a piè pari le questioni più importanti: l’esigenza delle mediazioni culturali e politiche dalle quali risulterà la contestazione del modo e delle finalità stesse della produzione. A che cosa e a chi servono i risultati del loro lavoro? Da dove vengono i bisogni che i prodotti si presume soddisfino? Chi definisce la maniera in cui questi bisogni o questi desideri devono essere soddisfatti e, attraverso essa, il modello di consumo e di civiltà? E soprattutto: quali rapporti intrattengono i partecipanti attuali al processo di produzione con i partecipanti potenziali, cioè i disoccupati, i lavoratori interinali, i precari, i lavoratori autonomi e quelli delle imprese subappaltatrici? A tutte queste domande il capitale ha le sue risposte e, proprio sottraendole al dibattito e alla contestazione, facendone delle “leggi naturali”, esso ha potuto asservire a sé l’autonomia dei lavoratori che invece, nel loro lavoro, sfuggono al suo comando. In altri termini: «la stessa lean production (produzione snella) produce le condizioni sociali e culturali che permettono il dominio del capitale sull’autonomia del lavoro vivo.»17

L’altra conseguenza determinante del carattere sapienziale e sociale della potenza produttiva risiede nell’impossibilità di sostenere un meccanismo dei prezzi secondo cui il valore di qualcosa dipende dal valore dei fattori impiegati per produrla: nel momento in cui il fattore determinante della produzione è il sapere sociale generale, diventa impossibile quantificare il valore economico di tale contributo per cui la determinazione dei prezzi, rimasta senza una base oggettiva, diviene aleatoria, arbitraria. In un tempo come il nostro, in cui l’informazione, di per se riproducibile in modo illimitato e a costi irrilevanti, rappresenta contemporaneamente la quota principale dell’insieme dei beni prodotti ed il principale fattore di produzione, il prezzo dei beni, non solo quelli dell’informazione, tende a zero18. Questo genere di produzione, quello basato sul sapere sociale, tende alla creazione illimitata di ricchezza a prescindere dalla quantità di lavoro impiegata è ciò si scontra con il metodo capitalistico di determinazione dei prezzi come sommatoria dei costi dei singoli fattori della produzione, la cui disponibilità, per presupposto, è sempre limitata. Forse potrebbe essere immaginata proprio in questi termini l’uscita dal capitalismo: la disponibilità gratuita o pressoché gratuita di beni prodotti socialmente a vantaggio dell’intera società, che poi altro non è che il passaggio da un regime di scarsità generalizzata ad uno di abbondanza sistemica.

Inoltre, entra in azione un potentissimo vortice ascendente, un vero e proprio processo di accelerazione nel quale l’enorme aumento della produttività reso possibile dall’applicazione delle tecnologie, ad iniziare da quelle informatiche, al processo di produzione, riduce drasticamente il tempo di lavoro necessario liberando l’uomo dalle incombenze materiali e favorendo il pieno sviluppo dell’individuo sociale, della persona, che, così arricchita, rende possibile un ulteriore balzo in avanti della produttività intesa, a questo grado di elevazione, come “capacità di godere”.

A fronte di questa analisi, dalle radici così remote ed oggi di piena attualità, che evidenzia l’allocazione sociale della produzione della ricchezza, il suo svincolarsi dal lavoro vivo immediato, la sua base cognitiva e sapienziale non lucrativa, l’ascesa del “Commons” collaborativo come alternativa ai rapporti capitalistici, emerge la necessità di rivendicare e perseguire, come primo ed immediato passo, il riconoscimento di un reddito sociale universale, garantito e incondizionato, in grado di innescare realmente e pienamente il circolo godimento/produttività sociale/godimento a cui il l’epilogo del “Frammento” conduce.

TUTTO QUESTO NON BASTA

Fin qui la teoria che, apparentemente, non fa una piega ma si scontra, a mio avviso, con le potentissime capacità repressive, di controllo, manipolazione, sovradeterminazione proprie del potere nella sua forma attuale, inteso qui come vero e proprio moloch cieco e insaziabile. Proprio quando la potenza del General Intellect promette di affrancarci definitivamente dalla scarsità e di soddisfare tutti i nostri bisogni, le miserie sembrano moltiplicarsi: la perdurante mancanza di un reddito sicuro in cui versa una vasta parte della popolazione mondiale, la precarizzazione e lo svilimento del lavoro insieme al progressivo smantellamento, restrizione, privatizzazione delle istituzioni del welfare nei paesi a capitalismo avanzato, produce una massa crescente di “esclusi” costretti a vivere ai margini della società. L’esaurimento delle capacità autorigeneranti del pianeta dovuto alla predazione incontrollata delle sue risorse produce danni sociali differenziati in funzione dello status economico ed i primi a pagarne il prezzo sono le classi più deboli, quando non intere popolazioni situate in contesti territoriali particolarmente fragili.

Vi sono molti elementi che fanno temere che la ristretta cerchia di coloro che oggi detengono la ricchezza e che controllano le risorse, non solo naturali ma anche umane, del pianeta, sia disposta a tutto pur di non perdere i propri privilegi. Inoltre, l’emergere “dal basso” di “teorie politiche” che fanno del culto del capitalismo, spogliato di ogni risvolto umano, e dell’individualismo tecnologico esasperato la propria bandiera, non fanno certo ben sperare: transumanesimo e postumanesimo sembrano voler spingere l’umanità fuori da se stessa, verso un mondo dove la dimensione sociale e comunitaria propria della specie risulta del tutto stralciata19.

Oggi le potenzialità del General Intellect e la piena realizzazione dell’Individuo sociale sono strumentalmente ma efficacemente tarpate da dispositivi di estrazione del valore del tutto artificiali e ingiustificati, basati sull’appropriazione privata della ricchezza socialmente prodotta. Essi sono: la finanziarizzazione sempre più spinta del capitale, i monopoli e gli oligopoli (Big data e il GAFAM – Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft – ne sono un tipico esempio), i brevetti e il segreto industriali, i diritti d’autore-editore, le licenze, il copyright e i marchi registrati. Questi sono espedienti economici e strumenti giuridici che il capitale ha progressivamente rafforzato via via che la produzione mutava da industriale a sociale e la ricerca della rendita prendeva il sopravvento su quella del profitto. Ci troviamo esattamente nella situazione in cui i rapporti di produzione, anziché fungere da stimolo per lo sviluppo delle forze produttive, ne costituiscono l’ostacolo. Marx si esprime in questi termini: « .. ad un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà. […] Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.»20

Non basta tuttavia l’apparente coerenza teorica delle tesi proposte da Negri e dagli altri teorici dell’intellettualità di massa ad affrontare e risolvere gli enormi problemi che ci circondano; serve invece porci, con pazienza e umiltà, tutte le domande e gli interrogativi posti da André Gorz e svolgere quel lavoro (ri)organizzativo, necessariamente di lunga lena, in quanto da costruire ex novo su nuove basi e attraverso nuove prassi, indispensabile alla concreta costruzione dell’alternativa al presente.

Il modello politico vigente in Occidente e nel mondo, basato com’è sulla delega della rappresentanza, non consente alle istituzione di svolgere le funzioni che le Costituzioni cosiddette democratiche sulla carta gli attribuiscono. Si tratta di un sistema politico, quello rappresentativo, nato in un’altra epoca, all’inizio della Rivoluzione industriale, e pensato per una classe sociale, la borghesia, la middle class, oggi in via di sparizione per come la intendiamo storicamente, schiacciata tra la caduta in miseria e l’impoverimento generalizzato da un lato e l’ascesa di un’aristocrazia del denaro e del sapere21 dall’altro.

Camminiamo lungo uno spartiacque sottile che separa il sogno della liberazione dall’incubo delle peggiori distopie e non sarà nessun automatismo tecno-evolutivo a farci propendere verso il crinale favorevole. Per questo ritengo sia ormai imprescindibile e improcrastinabile, da parte delle tante soggettività politicamente consapevoli, la ricerca, la sperimentazione e la strutturazione di nuove forme di organizzazione politica di carattere orizzontale, trasparente, decentrato, basate sul principio di auto-rappresentanza che siano in grado, anche attraverso le formazioni d’attacco del Fediverso, di costituire realmente un “Soggetto politico collettivo”, voce diretta dell’Individuo Sociale, capace di portarci, anche sul piano imprescindibile delle istituzioni, verso la realtà di un nuovo paradigma.22

NOTE

1 Jeremy Rifkin La società a costo marginale zero Ed. Mondadori – 2014.

2 Thomas Kuhn La struttura delle rivoluzioni scientifiche Ed. Einaudi – 2009.

3 Carlo Vercellone Capitalismo cognitivo Ed. Manifestolibri – 2006.

4 Karl Marx GrundrisseLineamenti fondamentali della critica dell’economia politica Ed. Einaudi – 1976.

5 Karl Marx, Lettera a Friedrich Engel dell’8 dicembre 1857, in Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, vol. XXIX, Editori Riuniti, Roma 1986, p. 566.

6 “I Grundrisse di Karl Marx. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 150 anni dopo” a cura di Marcello Muso Ed. Ets – 2016.

7 Si deve questa espressione a Toni Negri, uno degli “scopritori” del “Frammento”, ed è il titolo di un suo libro, Marx oltre Marx Ed. Manifestolibri – 2003.

8 Martin Nicolaus in Karl Marx, Grundrisse, Ed. Penguin Books, Harmondsworth – 1973.

9 Paolo Virno, “General Intellect”, in Adelino Zanini e Ubaldo Fadini (a cura di), Lessico Postfordista. Dizionario di idee della mutazione Ed. Feltrinelli – 2001.

10 Tutte le citazione che seguono in questo capito e prive di riferimento in nota sono tratte direttamente dal testo italiano del “Frammento” nella sua versione originaria, comparsa sui Quaderni rossi e reperibile a questo link. Le annotazioni tra parentesi quadra sono mie.

11 Si tratta del titolo di un libro di André Gorz, Miserie del presente, ricchezza del possibile Ed. Manifestolibri – 1998.

12 Rintracciamo qui, nel punto di edificazione teorica più alto di questo testo, le suggestioni che motivano la scelta del titolo di questo articolo.

13 Massimo Bontempelli Capitalismo, sussunzione, nuove forme della personalità reperibile in rete.

14 Toni Negri, General Intellect e Individuo Sociale nei Grundrisse marxiani in EuroNomade pubblicato il 20 maggio 2019.

15 Ibidem

16 André Gorz, Miserie del presente, ricchezza del possibile citato.

17 Ibidem

18 Jeremy Rifkin La società a costo marginale zero, citato.

19 Vedasi l’articolo di Filo Sganga Accelerare per tornare indietro: la città-azienda dei neoreazionari (inserire link) pubblicato in questo numero di Rizoma.

20 Karl Marx Per una critica dell’economia politica Ed. Clinamen – 2011. Per una critica antidogmatica della supposta visione prodigiosa, mitologica delle forze produttive in Marx, vedasi il capitolo “Critica del marxismo” in Simone Weil Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale Ed. Adelphi – 1983.

21 Vedasi l’articolo di Matteo Minetti I Signori delle metropoli (inserire link) pubblicato in questo numero di Rizoma.

22 Vedasi il mio articolo Per una Politica rizomatica. Verso un nuovo paradigma politico pubblicato nel numero zero di Rizoma.