PER UNA POLITICA RIZOMATICA. Verso un nuovo paradigma politico

img – Elisatron

di V. Pellegrino

” … Bisogna ripeterlo ancora una volta: non è un caso se i termini “comunismo” e “socialismo”, quale che fosse la torsione cui erano stati sottoposti, siano stati portatori dell’esigenza e del fervore che il termine “democrazia”, appunto, non riusciva o non riusciva più ad alimentare…

La democrazia non ha sufficientemente capito che doveva essere anche “comunismo” in qualche modo, perché altrimenti non sarebbe stata che gestione delle necessità e dei compromessi, priva di desiderio, cioè di spirito, di soffio, di senso.”  Jean-Luc Nancy Verità della democrazia. Ed. Cronopio 2009

PREMESSE

Questo articolo intende svolgere alcune considerazioni sull’attuale stato delle forme e delle prassi politiche, tentando di individuare le ragioni profonde della gravissima impasse che paralizza l’azione politica tanto a livello istituzionale che di movimento ed impedisce di attuare quelle trasformazioni profonde necessarie per far fronte alle enormi problematiche che caratterizzano l’attuale fase storica.

È proprio dalla costatazione di questa impasse e dall’esigenza di svolgere un’analisi e una critica non superficiali del presente che un gruppo di persone variamente attive in quella che si dice “politica dal basso” ha deciso di intraprendere un percorso nuovo, ancora embrionale e principalmente rivolto a un’elaborazione “al passo coi tempi” di quelle che sono le complesse dinamiche che mettono in correlazione le ICT (Information and communications technology) e il loro rapidissimo sviluppo con le trasformazioni sociali, il cambiamento della soggettività nonché con il metodo e le forme della Politica1. È in particolare di quest’ultimo aspetto che vorrei qui trattare.

Partendo dal nome che ci siamo dati, il rizoma, nella caratterizzazione fondamentale che è stata attribuita a questo termine nell’omonimo volume dell’opera di Gilles Deluze e Felix Guattari uscita in Francia nel 1980 con il titolo di Mille Plateux2, si contrappone alla forma ad albero rovesciato che connota le strutture gerarchiche, stratificate e verticistiche proprie tanto delle società antiche che di quelle moderne.

Il lavoro filosofico dei due francesi, che giunge al termine di un lungo ciclo di lotte e trasformazioni sociali inaugurate in Occidente a partire dal fatidico 1968, dà la stura a tutta una serie di elaborazioni nei più svariati campi di studio e di interesse, a partire, banalmente, dalla topologia (la scienza che studia la forma degli oggetti), passando per la linguistica, fino alla sociologia e alla politica.

Una tipica analogia sviluppata a partire dal concetto filosofico di rizoma, di cui trattano più approfonditamente altri articoli di questa pubblicazione, è quella tecnologica di rete o ragnatela, in lingua inglese, web; parliamo quindi del World Wide Web e di Internet, l’infrastruttura tecnologica da cui dipende la rivoluzione materiale, cognitiva, antropologica in atto.

ANALISI

“La sovranità non può essere rappresentata, per la stessa ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta: o e quella stessa o è un’altra; non c’è via di mezzo. I deputati del popolo non sono dunque né possono essere suoi rappresentanti; non sono che i suoi commissari: non possono concludere nulla in modo definitivo. Ogni legge che non sia stata ratificata direttamente dal popolo è nulla; non è una legge.”  Jean-Jacques Rousseau Il contratto sociale – Libro terzo: Dei deputati o rappresentanti.

Date queste premesse, volgendo lo sguardo alla dimensione più propriamente politica delle nostre società, si deve constatare come il concetto astratto e metaforico di rizoma non sia realmente penetrato né nel contesto dei movimenti sociali né tantomeno in quello istituzionale. È altrettanto necessario evidenziare come la politica sia il campo delle attività umane in cui l’informatica non ha ancora dato alcun sostanziale contributo trasformativo.

Nei movimenti, la situazione del metodo e delle prassi praticate è ferma all’assemblearismo di stampo sessantottino, democratico sì ma solo nell’afflato e nei principi, ma ben lungi, nella sostanza, dal garantire effettiva eguaglianza tra i partecipanti, trasparenza dei processi e democraticità nella presentazione delle proposte e nell’assunzione delle decisioni. Le assemblee in presenza, oltre ad essere facilmente manipolabili da gruppi anche ristretti di persone che spingono verso un esito prestabilito, rappresentano di per sé un grave ostacolo alla partecipazione in quanto implicano lo spostamento fisico di chi intende parteciparvi, con conseguenti costi economici e ambientali, e con l’automatica esclusione di tutti coloro che, per un’infinita serie di ragioni più che valide (lavoro, famiglia, salute, risorse economiche limitate, ecc. ma anche sfiducia nel metodo assembleare stesso) non possono o non vogliono essere presenti. Anche la diversa predisposizione all’oralità costituisce un fortissimo elemento di discriminazione tra i partecipanti, con persone in grado di dominare la scena ed altre relegate ad un ruolo di ascoltatori. Per una più puntuale e compiuta critica dell’assemblearismo rinviamo a un eventuale, futuro intervento su queste pagine.

Sull’altro versante, quello istituzionale, la dimensione della politica si fonda, non solo in Europa e in Occidente ma, dal punto di vista formale, in pressoché tutti i paesi del mondo, Cina inclusa, sul metodo della rappresentanza. A partire dalla Magna Carta, e attraverso la fondamentale svolta storica della Rivoluzione francese, cambia il paradigma politico e si assiste al progressivo passaggio dalle monarchie assolute ai sistemi parlamentari, passaggio che sancisce la graduale ma inarrestabile migrazione del potere politico dall’aristocrazia terriera all’emergente borghesia di origine industriale.

Secondo la classica analisi marxiana che va sotto il nome di “materialismo storico”, la trasformazione della struttura economica (produttiva) delle società porta con se quella delle sue sovrastrutture: sociale, politica, giuridica, culturale3. Ma dietro ogni trasformazione economica vi è sempre una serie di innovazioni tecnologiche che la rendono possibile e, di fatto, la determinano. L’invenzione della macchina a vapore e lo sviluppo della meccanica, prima, lo sfruttamento dell’energia elettrica e l’evoluzione degli apparati elettromeccanici, poi, ha reso possibile il processo di industrializzazione della produzione. Finisce un mondo per lasciar posto ad un altro, attraverso una trasformazione non certo immediata né automatica né tantomeno indolore ma fatta di un lungo periodo di rivoluzioni, insurrezioni, sommosse, guerre e conflitti di ogni genere, spesso estremamente cruenti.

Ebbene, se la Rivoluzione industriale ha implicato il passaggio epocale dall’assolutismo al parlamentarismo, dal dominio aristocratico a quello borghese, dalla centralità della terra a quella della fabbrica, è legittimo attendersi che la Rivoluzione informatica avrà implicazioni altrettanto se non più profonde e decisive. Essa agisce infatti direttamente sul piano cognitivo e della tras-formazione del sé, della soggettività, ponendo le basi per la nascita di quel soggetto sociale nuovo che Toni Negri ha indicato con il termine moltitudine4.

Da un esame anche superficiale della situazione politica in essere, non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa e nel mondo, dalla quale emerge un’estrema frammentazione per non dire una vera e propria polverizzazione delle lotte e delle relative forme organizzative, è proprio questo nuovo soggetto collettivo che manca all’appello: una moltitudine coesa, politicamente consapevole e attiva!

Negli ultimi 10 – 15 anni non sono mancati movimenti di tipo orizzontale, caratterizzati dalla mancanza di rappresentanti formali, di una leadership e di una struttura stratificata: Social Forum, Occupy Wall Street, Gilet Jaunes , i recenti movimenti anti-austerity in Cile e in altri paesi del Sudamerica; anche il grande, nuovo movimento mondiale di ispirazione ecologista denominato “Friday for the Future” appare connotato in questi termini. Il loro maggior limite è stata un’altrettanta evidente mancanza di organizzazione, con la conseguente impossibilità di formulare proposte, assumere decisioni e mettere in campo azioni in forma collettiva, vale a dire di agire politicamente.

In campo istituzionale, il sistema della rappresentanza ed il suo stesso proprio ambito di applicazione, gli stati nazionali con le loro Costituzioni, sono entrati in profonda crisi, svuotati di senso e potere a causa della progressiva ascesa del dominio del grande capitale finanziario5. Il Capitale ha infatti potuto, voluto e saputo trarre il massimo vantaggio dall’avvento delle tecnologie informatiche finanziarizzandosi, globalizzandosi e, così facendo, rendendosi sempre più sfuggente nei confronti dei sistemi di regolamentazione, controllo e tassazione degli stati nazionali6.

Il processo di liberalizzazione economica dell’economia mondiale aveva già subito una fortissima accelerazione con il crollo del blocco sovietico e l’affermarsi del “Nuovo ordine mondiale”, sotto il controllo degli Stati Uniti e caratterizzato, in campo economico, dal così detto “Pensiero unico”: la liberta di mercato come principio indiscutibile7.

Parallelamente alla decadenza della centralità dello Stato-nazione, si è assistito alla progressiva crescita di importanza di organizzazioni sovranazionali di natura economico-finanziaria, prive di ogni legittimazione democratica pur’ anche meramente formale: Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, World Trade Organization, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, Banca Centrale Europea e la stessa Unione Europea hanno di fatto assunto le funzioni di governance internazionale al di sopra degli stati e quindi dei regimi costituzionali e giuridici che dovrebbero connotarli.

Oggi il Capitale non è più (prevalentemente) industriale ma, come dicevamo, proprio sfruttando le potenzialità delle tecnologie informatiche, si è finanziarizzato, delocalizzato, globalizzato. Grazie a ciò, non deve più rispondere alle leggi degli Stati ma al solo imperativo della massimizzazione della rendita e del profitto, predando senza riserve le risorse naturali ed umane e distruggendo il pianeta. Da questo punto di vista, la così detta “Green Economy” non rappresenta altro che l’ennesimo processo di ristrutturazione capitalistica attraverso forme di “adattamento” il cui unico e vero fine è garantire sempre e comunque, “nonostante la crisi” e persino “grazie alla crisi”, l’estrazione del profitto attraverso lo sfruttamento della terra e delle persone.

Oggi il Capitale e i suoi strumenti giuridici di controllo (copyright, brevetti industriali, proprietà intellettuale, trattati sovranazionali come TTIP, CETA, NAFTA, ecc.) costituiscono un pesantissimo impedimento allo sviluppo umano8 le cui enormi potenzialità sono legate proprio alle nuove tecnologie e alla spirale virtuosa tra sviluppo tecnologico e progresso scientifico ma sono sterilizzate dalla volontà politica di sottoporle al controllo e all’interesse finanziario9.

Ad una dimensione più circoscritta, diciamo quella tra il locale e il nazionale, il metodo della rappresentanza è sistematicamente travolto da pressioni corruttive e/o lobbistiche, con il conseguente prevalere degli interessi particolari su quelli generali, di quelli privati su quelli pubblici. Pseudo-imprenditori e loro associazioni, nel nostro paese spesso colluse se non organiche ad organizzazioni di stampo mafioso, dispongono di ingenti risorse per “comprare” il necessario sostegno politico, l’appoggio burocratico ed amministrativo ai loro intenti speculativi. I “rappresentanti del popolo” – saldamente incardinati nel sistema dei partiti, sempre più strutturati quali veri e propri comitati d’affari – non rispondono affatto ai bisogni, agli interessi e alla volontà dei rappresentati ma a quelli dei più attivi, abili e generosi corruttori.

Nell’attuale contesto di sfaldamento progressivo dello stato sociale e dello stesso stato di diritto, nel quale dilagano forme di bieco populismo se non di conclamato neofascismo, è comunque positivo che non si riscontrino grandi movimenti interpreti di un neo-luddismo, di un “luddismo dell’era informatica”. In questa fase serve infatti, al contrario, spingere verso un’accelerazione dei processi di trasformazione, di smaterializzazione della produzione che, nei fatti, implicano una sollecitazione verso la “produzione del sé” come massima espressione della produttività postmoderna, in grado al contempo di consentire il sottrarsi all’alienazione capitalistica10.

Pare tuttavia poco plausibile che l’uscita dal Capitalismo possa avvenire attraverso un pacifico ed automatico processo graduale di trasformazione dell’economia e della società legato unicamente allo sviluppo tecnologico, come certe visioni evoluzionistiche sembrerebbero far ritenere11. L’enorme e progressiva concentrazione della ricchezza12, le disuguaglianze che continuano a crescere, il mostruoso apparato repressivo di cui dispone il sistema di potere, fanno al contrario prevedere fortissime resistenze ad ogni possibile cambiamento in senso positivo.

L’impasse totale in cui si trova la Politica oggi, tanto nella sua dimensione istituzionale che in quella sociale, segna una cesura evidente. Il cambio di paradigma generale (imposto dall’altra grande e ancor più perentoria cesura – quella ecologica, quella dell’esaurimento delle risorse materiali e vitali del pianeta) dal produttivismo consumistico della società moderna alla necessaria transizione ecologica dell’economia e della società postmoderne, richiede un altrettanto netto cambio del paradigma politico perché si possa attuare: nel superamento della rappresentanza, da un lato, e dell’assemblearismo, dall’altro, serve ideare e sperimentare nuove forme di espressione della volontà politica, alias, in un sistema che vuole essere democratico, della volontà popolare.

In merito alla crisi del modello rappresentativo, alla sua intrinseca natura spuria, alla sua inefficienza rispetto ai fini dichiarati (attuare la volontà della base: sia esso il popolo dei cittadini piuttosto che dei lavoratori), è sufficiente uno sguardo alle attuali condizioni del Lavoro per comprendere come l’azione sindacale, fondata appunto anch’essa su di un metodo strettamente rappresentativo, debba essere completamente ripensata a partire da forme di partecipazione diretta dei lavoratori nelle scelte che li riguardano tanto come classe quanto come appartenenti a specifiche categorie.

La forma rappresentativa delle democrazie, prima della nascita e dello sviluppo delle tecnologie informatiche, era, per ragioni evidenti, la forma obbligata. Oggi non lo è più ed è possibile fare un grande balzo in avanti nella direzione dell’effettività, dell’incremento e dell’arricchimento della democrazia intesa in termini di partecipazione popolare ai processi propositivi e decisionali. Oggi, se non vogliamo rassegnarci a sprofondare nella barbarie che ci circonda, possiamo e dobbiamo perseguire un grado più elevato e sostanziale di democrazia! L’approccio paternalistico che vede nel popolo (categoria sempre più svuotata di senso eppur insopprimibile – titolare della sovranità in ogni sistema che si definisca democratico) un soggetto labile, inconsapevole ed incapace di autogovernarsi e che ha bisogno di essere guidato e governato da un ceto politico professionalizzato, appare sempre più inadeguato e nocivo.

ORGANIZZAZIONE

Ebbene, è ora il momento di entrare più concretamente nel tema della finalmente possibile, decisamente auspicabile, necessaria trasformazione delle forme e delle prassi politiche.

Come premessa dobbiamo distinguere due diversi contesti in cui oggi si esercita il metodo rappresentativo in campo politico: il primo è quello che potremmo definire prettamente istituzionale e riguarda la vita ed il funzionamento dei diversi livelli amministrativi (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Parlamento nazionale); il secondo è quello interno ai partiti. Per quanto riguarda il primo contesto, esistono già alcuni esempi di sperimentazione di forme partecipative nell’amministrazione di città anche di primaria importanza come nel caso di Barcellona e Madrid, dove la vittoria di liste civiche legate a Podemos ha consentito l’avvio di forme di neo-municipalismo dalle potenzialità davvero notevoli. Precisiamo che la proposta organizzativa di seguito delineata, si riferisce al funzionamento interno dei partiti anche se i principi di base, estendibili ad altri contesti, sono gli stessi: orizzontalità (eguaglianza dei partecipanti), trasparenza delle procedure, incentivazione e facilitazione alla partecipazione anche propositiva.

Delimitato in questi termini il campo proprio della proposta che vado per sommi capi ad illustrare, ad introduzione di questo passaggio credo sia utile ricordare che l’unico articolo della nostra Costituzione in cui sono menzionati i partiti è l’articolo 49: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.», dove ciò che rileva rispetto al nostro ragionamento è proprio quel “con metodo democratico” a cui è necessario dare finalmente sostanza.

Il principio fondamentale ed irrinunciabile sulla via della realizzazione di una “Politica altra” è quello di AUTO-rappresentanza, dove il nucleo significante è proprio quell’ “AUTO“. Auto come Auto-nomia, come Auto-coscienza, Auto-sufficienza decisionale ma anche come Auto-stima, capacità cioè di credere nelle forze e prerogative proprie della moltitudine. Con riferimento alla Costituzione, significa riconoscere e dare vera sostanza al principio di eguaglianza tra tutti i cittadini: siamo davvero tutti eguali davanti alla legge ed allo Stato nella misura in cui tutti abbiamo lo stesso peso nel prendere le decisioni di carattere pubblico.

Per andare oltre la rappresentanza e l’assemblearismo, per poter agire politicamente in forma collettiva e legittima nei tempi stretti che un mondo iper-mediatizzato impone, è necessario dar vita a forme organizzative il cui funzionamento si basi sulla definizione di una serie di ambiti d’azione e su un set di strumenti informatici in grado di costituire, attraverso la loro integrazione, una sorta di Assemblea permanente basata sul principio “una persona, un’idea, un voto”. Si potrebbero immaginare ambiti d’azione territoriali che dalla massima prossimità (borgo o quartiere) giungano sino al livello nazionale a cui appartiene l’insieme complessivo degli aderenti all’organizzazione. È possibile pensare anche ad ambiti sovranazionali, continentali o mondiali, applicando la stessa logica di orizzontalità e trasparenza. Va precisato che, a differenza della classica struttura piramidale tipica dei partiti tradizionali e delle organizzazioni federative in genere, questa struttura non è gerarchica (gli ambiti non sono sovraordinati l’uno all’altro) e garantisce quindi la massima autonomia tra i vari ambiti.

Ciascuno degli ambiti organizzativi deve dotarsi degli strumenti informatici essenziali al proprio funzionamento: 1) una mailing list per lo scambio di informazioni e per le comunicazioni essenziali nonché per le notifiche relative all’apertura di nuove discussioni sul forum (vedi punto 2) e delle fasi di voto sulla piattaforma decisionale (vedi punto 3); 2) un forum di discussione ove possa liberamente svilupparsi il confronto, svolgersi il dibattito, anche a livello di serrato contraddittorio; 3) una piattaforma decisionale attraverso la quale presentare proposte e assumere su di esse decisioni in modo collettivo, trasparente ed orizzontale. Questi strumenti informatici essenziali, che possono essere incorporati in una singola piattaforma multifunzione, sono integrati da assemblee sia in forma di “teleconferenza” che in presenza ogni qualvolta sia sentita la necessità di un confronto più approfondito su argomenti particolarmente importanti, delicati o controversi.

Rispetto alla questione delle “piattaforme decisionali”, è indispensabile fare dei chiari e netti distinguo tra le loro diverse tipologie. Esse possono infatti avere caratteristiche del tutto diverse a seconda che siano pensate per un uso di tipo meramente plebiscitario, tipico esempio del quale è la nota piattaforma Rousseau del M5S, dove le proposte calano solo dall’alto e agli iscritti non rimane che prendere o lasciare, o che, al contrario, siano finalizzate ad una partecipazione davvero orizzontale e aperta, dove tutti i partecipanti, a pari titolo, possono non solo votare le proposte presentate da altri ma presentarne a loro volta di proprie. Un esempio di questa seconda tipologia di piattaforma è LiquidFeedback, progettata dai Pirati tedeschi, gruppo politico di nota ispirazione libertaria, dove l’intento è invece quello di far emergere, attraverso l’applicazione di adeguate policies, una vera e propria forma di “intelligenza collettiva”, unico super-fattore potenzialmente in grado di affrontare gli enormi problemi del presente e di sfidare su questo decisivo piano chi li ha prodotti, il potentissimo Capitale finanziario globalizzato.

L’applicazione del principio dell’auto-rappresentanza vorrebbe dire inoltre “spersonalizzare” in senso positivo la politica, sbarazzandosi una volta per tutte della schiera di pseudo-leader e capipopolo che costellano ad ogni livello il panorama politico attuale, portandola ad essere espressione diretta della moltitudine, appunto, anziché di una ristretta cerchia di portatori di interessi particolari.

CONCLUSIONI

Bisogna essere consapevoli che la strada qui prospettata è cosparsa di enormi ostacoli ed ha comunque bisogno di tempi medio-lunghi per portare ad una svolta effettiva. Uno di questi ostacoli, forse il più grande insieme alla ‘blindatura’ del sistema massmediatico, è costituito dalla condizione di grave arretratezza, potremmo dire di vera e propria destrutturazione mentale, a cui è stato artatamente condotto il popolo attraverso un’opera di lunga lena che ha agito sia attraverso il bombardamento del mainstream mediatico che mediante il vero e proprio sabotaggio della scuola pubblica. Pur in salita, essa è tuttavia l’unica ad avere un respiro sufficientemente ampio e profondo per farsi interprete del radicale cambiamento che la fase storica ormai esige. Le guerre diffuse, l’entità dei fenomeni migratori, la débâcle economica, sociale e politica delle così dette democrazie occidentali, i cambiamenti climatici prodotti da un modello di sviluppo irresponsabile e insostenibile, sono tutti segni che dovrebbero indicarci l’urgenza di intraprenderla con decisione, per quanto ardua essa possa oggi apparire. In un grave momento storico come quello che stiamo attraversando, servono senso di responsabilità, coraggio e determinazione. Le scorciatoie elettoralistiche tese alla nascita di un soggetto politico antiliberista ed anticapitalista, come abbiamo ben visto dal fallimento dei reiterati tentativi in tal senso, non hanno possibilità di successo se non supportate da un “metodo” radicalmente nuovo.

Non possiamo né dobbiamo nasconderci le grosse difficoltà che un progetto così ambizioso di trasformazione delle forme e delle prassi della politica porta con se, ad iniziare dalla necessità di cambiare le nostre abitudini pratiche e mentali, di reinterpretare l’elemento cruciale della partecipazione da mero diritto civile a dovere civico di ogni cittadino in un quadro di necessaria, crescete politicizzazione del popolo. La progressiva riduzione del “lavoro umano necessario” alla produzione, libera ingenti quantità di tempo13 che potranno essere utilmente dedicate alla partecipazione politica richiesta. Si passa da una politica formalmente incentrata sui parlamenti, da un lato, e sulle piazze, dall’altro, ad una il cui cuore e un’infrastruttura elettronica che fa esprimere e mette all’opera la moltitudine, il popolo pensante e desiderante. Il fatto di “fare politica” attraverso un’interfaccia e una infrastruttura informatiche può apparire “disumanizzante” ma in un mondo già di per sé informatizzato non si vedono alternative credibili.

Queste oggettive difficoltà di attuazione non devono farci credere che, in attesa del mutare delle condizioni, sia tutto da rinviare ad un futuro di là da venire. Al contrario, questo processo può e deve essere posto in sperimentazione già oggi, mettendo all’opera quella parte comunque non insignificante della popolazione politicamente attiva. È proprio attraverso di essa che si deve costituire una “massa critica” di persone sufficientemente consapevoli, libere, non mosse da finalità personali e disposte a impegnarsi per il bene generale, in grado di avviare un processo di sperimentazione che dovrebbe poi autoalimentarsi.

Atteso che i soggetti, anche collettivi, positivamente attivi in Italia sono davvero molti e che nessuno pare disposto a riconoscere ad uno di questi la funzione di polo attrattivo di un necessario processo di ricomposizione politica che metta fine all’assurda frammentazione che li tiene separati, incapaci di lavorare insieme ad un progetto comune, è necessario favorire l’aggregazione di questa “massa critica” proponendo una sorta di “spazio neutro” che funga da luogo franco di incontro in grado di accogliere un vero e proprio “processo costituente”.

Credo sia doveroso precisare che in Italia si sono date delle forme di sperimentazione interessanti ma limitate di questo “metodo nuovo” basato sul concetto di Assemblea permanente. La prima in ordine di tempo è stata quella attuata dal Partito Pirata Italiano. La seconda, che ha goduto del sostegno e del contributo teorico e pratico anche di ex-pirati, è stata posta in essere da PrimalePersone, associazione politica nata da un’istanza respinta di democrazia interna in Altra Europa con Tsipras. È in seno a questo gruppo che sono maturate molte delle elaborazioni teoriche e delle sperimentazioni pratiche cui faccio riferimento in questo articolo.

Ognuno di noi, là dove si trova a vivere e a operare, dovrebbe quindi iniziare o continuare a tessere relazioni in questa prospettiva, verso tutti coloro che la possano comprendere e condividere, puntando all’avvio di un processo costituente aperto, dedicato a delineare i principi di una filosofia politica nuova, fondata su orizzontalità, trasparenza, partecipazione, sul superamento della rappresentanza politica tradizionale e con essa della storica dicotomia sociale/politico che tanti danni ha prodotto.

Questo processo costituente dovrebbe svilupparsi come una sorta di grande brainstorming interdisciplinare teso tra politica e altre scienze (sociologia, scienze della comunicazione, informatica, teoria dei sistemi, economia, ecc.) in grado di prefigurare e, in prospettiva, dare realtà ad una forma organizzata di “intelligenza collettiva”14 e, con essa, ad un mondo nuovo. È chiaro come in ciò sia determinante la costituzione di una “massa critica” a partire dalla quale si possa avviare un processo a catena in grado di autoalimentarsi, ma altrettanto chiaro deve essere il fatto che il processo costituente stesso deve darsi sulla base del metodo nuovo di Assemblea permanente e che esso, come suggerisce il termine, non può chiudersi, deve rimanere aperto.

Data l’esigenza di avviare sul “problema della Politica” (quella con la “P” maiuscola), sulla sua grave malattia, un ampio e profondo dibattito pubblico, ci si misura immediatamente con la dimensione della comunicazione e dell’informazione e con la totale “blindatura” a cui sono sottoposte a livello di mass-media. Mi si obbietterà che qui apro un altro fronte ma, come Guy Debord ci ha insegnato con il suo mirabile “La società dello spettacolo15, si tratta di un fronte attiguo e presidiato dagli stessi protagonisti. E non sarà la Rete in quanto tale, come abbiamo constatato dalle amare delusioni vissute dal momento del suo promettente avvento, ma l’uso consapevole e realmente liberatorio che ne sapremo fare (vedi, su questo, gli altri articoli di questo numero di Rizoma), a sbloccare la situazione.

La sfida è alta ma cambiare il corso della storia non è mai stata impresa semplice!

Note:

  1. L’uso della maiuscola si giustifica con la volontà di riferirsi al significato più alto ed essenziale di questo termine, nella necessità di distinguerlo da quello ordinario, sempre più volgarizzato e immiserito.
  2. Cfr. Mille Piani – Ed. Castelvecchi 1997.
  3. È giusto evidenziare come questa impostazione unilaterale del rapporto tra struttura e sovrastruttura sia stata oggetto di una revisione critica da parte di Engels basata sulla constatazione che “la sovrastruttura poteva reagire sulla struttura e modificarla”, introducendo così la relazione dialettica tra i due poli e riducendo il contrasto tra l’analisi marxiana a quella che Max Weber sviluppa nella sua opera più rilevante, “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” – BUR Biblioteca Univ. Rizzoli 1991.
  4. Cfr. Impero: Il nuovo ordine della globalizzazione – Michael Hardt, Antonio Negri Ed. Bur 2013.
  5. Cfr. Postdemocrazia – Colin Crouch Ed. Laterza 2003.
  6. Cfr. Finanzcapitalismo – Luciano Gallino Ed. Einaudi 2013.
  7. Sulla matrice ideologica della teoria del mercato autoregolantesi, vedi la fondamentale opera di Karl Polanyi “La grande trasformazione”, Ed. Einaudi 2000.
  8. Cfr. Karl Marx, Prefazione a Per la critica dell’economia politica 1859: “Ad un certo stadio di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con le esistenti relazioni di produzione o – ciò esprime meramente la stessa cosa in termini legali – con le relazioni di proprietà nel cui tessuto esse hanno operato sin allora. Da forme di sviluppo delle forze produttive, queste relazioni diventano altrettanti impedimenti per le stesse. A quel punto inizia un’era di rivoluzione sociale”.
  9. Cfr. Postcapitalismo – Paul Mason Ed. Il Saggiatore 2016.
  10. Cfr. Miserie del presente, ricchezza del possibile – André Gorz Ed. Manifestolibri 1998: “.. quando l’intelligenza e l’immaginazione (il general intellect) divengono la principale forza produttiva, il tempo di lavoro cessa di essere la misura del lavoro; di più, esso cessa di essere misurabile”. In un simile contesto, proseguiva Gorz, “l’allocazione universale (del reddito sociale – n.d.r.) è la più adatta a un’evoluzione che rende il livello generale delle conoscenze – knowledge – la forza produttiva immediata e che riduce il tempo di lavoro a ben poca cosa rispetto al tempo richiesto dalla produzione, dalla riproduzione e dalla riproduzione allargata delle capacità e delle competenze costitutive della forza lavoro nell’economia immateriale”.
  11. Vedi, per esempio, le conclusioni del lavoro di Paul Mason citato alla nota 9.
  12. Cfr. Il Capitale nel XXI secolo – Thomas Piketty Ed. Bompiani 2016.
  13. Cfr. La metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica – André Gorz Ed. Bollati Boringhieri 1992.
  14. Cfr. L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio – Pierre Levy Ed. Feltrinelli 1996.
  15. Ed. Baldini e Castoldi 2013.