Nel 2020 e oltre, la battaglia per salvare la persona e la democrazia richiede una radicale revisione della tecnologia convenzionale

Aral Balkan

di Aral Balkan, trad. it a cura di diorama

1 gennaio 2020

Mentre entriamo in un nuovo decennio, l’umanità si trova ad affrontare diverse emergenze esistenziali:

  1. L’emergenza climatica [1]

  2. L’emergenza democrazia

  3. L’emergenza della persona [NdT: “personhood emergecy” nell’originale]

In gran parte grazie a Greta Thunberg, stiamo decisamente discutendo della prima. Ovvio, c’è molto da discutere sul se stiamo effettivamente facendo qualcosa a riguardo. [2]

Allo stesso modo, grazie all’ascesa dell’estrema destra in tutto il mondo sotto forma di (tra gli altri) Trump negli Stati Uniti, Johnson nel Regno Unito, Bolsonaro in Brasile, Orban in Ungheria ed Erdoğan in Turchia [NdT: e Salvini in Italia], stiamo parlando anche della seconda, compreso il ruolo della propaganda (le cosiddette “fake news”) e dei social media nel perpetuarlo.

Quello di cui sembriamo del tutto sprovveduti e incerti è il terzo, anche se tutti gli altri ne derivano e ne sono sintomi. È l’emergenza senza nome. Beh, almeno fin d’ora.

L’emergenza della persona

Non si può capire l’emergenza della persona senza comprendere il ruolo che la tecnologia digitale e di rete convenzionale svolge nel perpetuarla.

La tua TV non ti guardava, YouTube sì.

La tecnologia tradizionale – non digitale, non in rete – era un mezzo di trasmissione a senso unico. Questa è l’unica cosa che un libro prodotto con la stampa a caratteri mobili di Gutenberg e il vostro televisore analogico avevano in comune.

Funzionava che quando leggevi un giornale, il giornale non leggeva anche te. Quando guardavate la TV, la vostra TV non vi guardava a sua volta (a meno che non permetteste specificamente a un’azienda di misurazione dell’audience come Nielsen [NdT: una sorta di Auditel statunitense] di attaccare un misuratore di ascolti al vostro televisore).

Oggi, mentre leggete il quotidiano The Guardian online, lo stesso Guardian – e oltre due dozzine di altre terze parti, tra cui il già citato Nielsen – legge anche voi. Quando guardi YouTube, YouTube guarda anche te.

Questa non è complottismo strampalato, è semplicemente il modello di business della tecnologia convenzionale. Io chiamo questo modello di business l’“allevamento delle persone”. [NdT: “people farming”… traduzioni migliori sono ben accette!] È parte del più grande sistema socio-economico in cui viviamo che Shoshana Zuboff chiama capitalismo della sorveglianza. [3]

Peggio: Alphabet Inc., che possiede Google e YouTube, non solo ti guarda quando usi uno dei loro servizi, ma ti segue anche in giro per il Web mentre vai da un sito all’altro. Google da sola ha occhi sul 70-80% del Web.

Ma non si fermano nemmeno qui. Gli allevatori acquistano dati anche da intermediari di dati, condividono dati con altri allevatori e sanno anche quando usate la carta di credito nei negozi fisici. E combinano tutte queste informazioni per creare profili di voi che vengono costantemente analizzati, aggiornati e migliorati.

Possiamo considerare questi profili come simulazioni di noi stessi. Contengono aspetti di noi. Possono essere (e sono) usati come proxy di noi. Contengono informazioni molto sensibili e intime su di noi. Eppure non sono di nostra proprietà, ma degli allevatori di persone.

Non è troppo esagerato dire che in questo sistema, non siamo pienamente proprietari di noi stessi. In un sistema del genere, dove i nostri stessi pensieri rischiano di essere letti dalle aziende, la nostra stessa persona e il concetto stesso di autodeterminazione sono messi a rischio.

Siamo al punto di ritornare dall’essere persone ad essere di nuovo proprietà, hackerati attraverso una backdoor digitale e di rete, di cui continuiamo a negare l’esistenza a nostro rischio e pericolo. I prerequisiti per una società libera sono in bilico nella nostra comprensione di questa realtà di base.

Se ci estendiamo usando la tecnologia, dobbiamo estendere il campo di applicazione della legge sui diritti umani per includere questo sé esteso.

Se non siamo in grado di definire adeguatamente i confini di una persona, come possiamo sperare di proteggere le persone o il concetto stesso di persona nell’era delle reti digitali?

Oggi siamo esseri frammentati. I confini del nostro sé non si fermano ai nostri confini biologici. Aspetti del nostro io vivono su pezzi di silicio che possono risiedere a migliaia di chilometri di distanza.
È fondamentale che riconosciamo che i confini del sé nell’era della rete digitale hanno superato i confini biologici del nostro corpo fisico e che questo nuovo confine – il sé esteso; la totalità frammentata del sé – costituisce la nostra nuova pelle digitale e che la sua integrità deve essere protetta dalla legge dei diritti umani.

Se non lo facciamo, siamo costretti ad agitarci alla superficie del problema, apportando quelle che non sono altro che modifiche cosmetiche a un sistema che si sta rapidamente evolvendo verso un nuovo tipo di schiavitù.

Questa è l’emergenza della persona.

Una revisione radicale della tecnologia convenzionale

Se vogliamo affrontare l’emergenza della persona, non ci resta che una radicale revisione della tecnologia convenzionale.

Dobbiamo prima di tutto capire che, se da un lato è importante regolamentare gli allevatori di persone e i capitalisti della sorveglianza per ridurre i loro danni, dall’altro è una lotta in salita contro la corruzione istituzionale e che, da sola, non porterà magicamente alla nascita di un’infrastruttura tecnologica radicalmente diversa. E quest’ultima è l’unica cosa che può affrontare l’emergenza della persona.

Immaginate un mondo diverso

Seguitemi un attimo e immaginate questo: Diciamo che il tuo nome è Jane Smith e voglio parlarti. Vado su jane.smith.net.eu e chiedo di seguirti. Chi sono? Sono aral.balkan.net.eu. Tu mi permetti di seguirti e iniziamo a chiacchierare… in privato.

Immaginate inoltre che possiamo creare dei gruppi – magari per la scuola che frequentano i nostri figli o per il nostro quartiere. In un sistema del genere, ognuno di noi possiede e controlla il proprio posto su Internet. Possiamo fare tutte le cose che si possono fare oggi su Facebook, altrettanto facilmente, ma senza Facebook nel mezzo, che ci guarda e ci sfrutta.

Quello di cui abbiamo bisogno è un sistema peer-to-peer che si colleghi al world wide web esistente.

Quello di cui abbiamo bisogno è l’opposto di Big Tech. Abbiamo bisogno di Small Tech – strumenti quotidiani per le persone di tutti i giorni, progettati per aumentare il benessere umano, non i profitti aziendali.

Passi pratici

Alla Small Technology Foundation, Laura ed io abbiamo già iniziato a costruire alcuni dei pezzi fondamentali di un possibile ponte tra il capitalismo di sorveglianza e un futuro radicalmente democratico e peer-to-peer. E continueremo a lavorare sugli altri pezzi quest’anno e oltre. Ma ci sono passi pratici che tutti noi possiamo fare per contribuire a spostare le cose in questa direzione.

Ecco alcuni suggerimenti pratici per i vari gruppi:

La gente comune

  1. Non incolpate voi stessi, siete voi le vittime qui. Quando il 99,99999% di tutti gli investimenti in tecnologia va agli allevatori di persone, non lasciate che nessuno vi dica che dovreste sentirvi male per essere stati costretti ad usare i loro servizi per mancanza di alternative.

  2. Detto questo, le alternative esistono. Cercatele. Usatele. Sostenete le persone che le producono.

  3. Comprendete che questo problema esiste. Chiamate in causa i responsabili e difendete le persone che lo fanno. Come minimo, non mettere da parte le preoccupazioni e gli sforzi di quelli di noi che stanno cercando di fare qualcosa.

Sviluppatrici/Sviluppatori

  1. Smettete di incorporare i dispositivi di sorveglianza di aziende come Google e Facebook nei vostri siti web e nelle vostre applicazioni. Smettete di esporre le persone che utilizzano i vostri servizi al capitalismo della sorveglianza.

  2. Cominciate a cercare modi alternativi di finanziare e costruire tecnologie che non seguano il modello della Silicon Valley, che è tossico.

  3. Abbassate la “crescita” come metrica del vostro successo. Costruite strumenti che gli individui possiedono e controllano, non la vostra azienda o organizzazione. Costruite applicazioni web per singoli affittuari. Sostenete piattaforme gratuite (come la libertà) e decentrate (senza impantanarsi nella palude dei blocchi).

L’Unione Europea

  1. Smettete di investire nelle startup e comportarvi come il dipartimento di ricerca e sviluppo non retribuito della Silicon Valley e investite invece in stayups.

  2. Create un dominio di primo livello (TLD) non commerciale aperto a chiunque nel mondo dove chiunque può registrare un nome di dominio (con un certificato automatico Let’s Encrypt) a costo zero con una singola chiamata API.

  3. Costruite sul passo precedente per offrire ad ogni cittadino dell’UE, pagato dai contribuenti dell’UE, un server virtuale privato di base con una quantità di risorse di base per ospitare un nodo sempre attivo in un sistema peer-to-peer che li libererebbe dai Google e dai Facebook del mondo e creerebbe nuove opportunità per le persone di comunicare privatamente e di esprimere la volontà politica in modo decentralizzato.

E, in generale, almeno è ora che ognuno di noi scelga da che parte stare.

La parte che sceglierà deciderà se viviamo come persone o come prodotti. La parte che sceglierà deciderà se viviamo in democrazia o sotto il capitalismo.

Democrazia o capitalismo? Sceglietene una.

Se, come me, siete cresciuti negli anni ’80, probabilmente avete accettato senza riflettere la massima neoliberale secondo cui democrazia e capitalismo vanno di pari passo. Questa è una delle più grandi bugie mai raccontate. Democrazia e capitalismo sono agli antipodi.

Non si può avere una democrazia funzionale e interessi di aziende multimiliardarie e la macchina della Silicon Valley per la disinformazione e lo sfruttamento ad opera delle Big Tech. Quello che stiamo vedendo è lo scontro tra capitalismo e democrazia e il capitalismo sta vincendo.

Abbiamo superato il punto critico? Non lo so. Forse. Ma non possiamo pensare in questo modo.

Personalmente, continuerò a lavorare per realizzare il cambiamento dove sento di poter essere efficace: nella creazione di infrastrutture tecnologiche alternative per sostenere le libertà individuali e la democrazia.

Abbiamo già posto le infrastrutture del tecno-fascismo. Abbiamo già creato (e stiamo creando) i panopticon. Tutto quello che i fascisti devono fare è entrare e prendere i controlli. E lo faranno democraticamente, prima di distruggere la democrazia, proprio come ha fatto Hitler.

E se pensate che gli anni Trenta e Quaranta ci hanno insegnato qualcosa, ricordate che gli strumenti più avanzati per amplificare le ideologie distruttive dell’epoca erano meno potenti dei computer che avete oggi in tasca. Oggi abbiamo il machine learning e siamo lì lì verso il calcolo quantistico.

Dobbiamo fare in modo che gli anni 2030 non siano come gli anni 1930. Perché i nostri avanzati sistemi centralizzati di acquisizione dati, classificazione e previsione, più un centinaio di anni di aumento esponenziale della potenza di elaborazione (nota dell’autore: non uso la parola “progresso”) significano che il 2030 sarà esponenzialmente peggiore.

Chiunque voi siate, ovunque voi siate, abbiamo un nemico comune: l’internazionale nazionalista. I problemi del nostro tempo trascendono i confini nazionali. Anche le soluzioni devono. I sistemi che costruiamo devono essere allo stesso tempo locali e globali. La rete che dobbiamo costruire è una rete di solidarietà.

Abbiamo creato il presente. Creeremo il futuro. Lavoriamo insieme per far sì che quel futuro sia quello che vogliamo vivere noi stessi.


VIDEO [sottotitoli in italiano]

https://video.lqdn.fr/videos/watch/861c07f7-7e9b-4e64-9765-cf1de592c8a0?subtitle=it

Il mio intervento al Parlamento Europeo alla fine dello scorso anno in occasione dell’evento “Future of Internet Regulation”.


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Note

[1] O, più precisamente, l’emergenza del nostro habitat, perché è questo che rischiamo di perdere se non agiamo con decisione e non lo facciamo subito. [#1]

[2] Spoiler alert: non lo siamo. [#2]

[3] Anche se sono affezionato al termine “capitalismo della sorveglianza” – è preciso e accurato nel descrivere l’ultima iterazione del capitalismo che abitiamo – Shoshana ed io abbiamo opinioni diverse su come definirlo. Shoshana lo vede come “una mutazione canaglia del capitalismo”, che in qualche modo implica che il capitalismo va bene per il resto. Io vedo il capitalismo di sorveglianza come una naturale evoluzione del capitalismo. I sistemi di sorveglianza delle imprese non lo corrompono, amplificano il capitalismo e la sua stessa natura estrattiva e sfruttatrice. Il capitalismo della sorveglianza, nella mia definizione, è l’interazione tra sorveglianza e capitalismo. Il capitalismo è l’accumulazione di ricchezza. Che cosa succede quando coloro che hanno accumulato ricchezza investono tale ricchezza in meccanismi di sorveglianza che permettono loro di raccogliere un’intima conoscenza della nostra vita che poi usano per manipolare il nostro comportamento per accumulare una ricchezza ancora maggiore? Si ottiene il ciclo di feedback tra sorveglianza e capitalismo che è il capitalismo della sorveglianza. [#3]

Sull’autore

Sono un attivista, progettista e sviluppatore. Sono la metà della Small Technology Foundation, una piccola associazione senza scopo di lucro con sede in Irlanda e fatta da due persone. Sosteniamo e sviluppiamo piccole tecnologie per proteggere la persona e la democrazia nell’era delle reti digitali.

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