Accelerare verso cosa?

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di D. Gambetta

pubblicato in origine su il https://www.dinamopress.it/news/accelerare-verso-cosa/ 2 febbraio 2020

Il saggio di Tiziano Cancelli “How To Accelerate” (Tlon Edizioni) ricostruisce storicamente la galassia teorica dell’accelerazionismo, indicandone possibilità e limiti interni

Uno spettro si aggira per l’internet: lo spettro dell’accelerazionismo. Teoria politica, filone immaginifico, contenitore di metodologie di pensiero tanto simili quanto provenienti da ambiti del sapere distanti tra loro, assemblaggio di pratiche musicali, artistiche, teorie cibernetiche e tecnologiche, non è affatto semplice chiarire con una semplice definizione enciclopedica quel flusso di pensieri che negli ultimi anni ha stimolato il dibattito, negli ambienti della militanza così come in accademia e nel mondo culturale. Il denominatore comune, se proprio vogliamo trovarne uno, della teoria accelerazionista, è quello per cui «l’unica via d’uscita è attraverso», e quindi, politicamente parlando, l’unico modo per superare il sistema capitalistico è quello di accelerare le sue fasi attuali e quindi la sua disgregazione sotto il peso delle contraddizioni emergenti.

Uno dei maggiori pregi di How To Accelerate, il saggio di Tiziano Cancelli edito da Tlon Edizioni, è quello di riuscire a mettere in fila, in ordine cronologico, i passaggi storici e teorici che hanno portato alla costruzione della galassia accelerazionista, e a tutte le sue attuali diramazioni. Lo fa con la dovuta documentazione, reperita tra pubblicazioni e discussioni di reddit, mettendo insieme un pamphlet sintetico quanto completo sulle variazioni del tema accelerazionista.

CCRU, L/ACC, R/ACC, U/ACC…

Cancelli parte dagli anni ‘60 e ‘70, quando l’analisi sul ruolo del desiderio e delle pulsioni nei meccanismi di produzione e riproduzione capitalistica ha origine per mano di Deleuze e Guattari dell’Antiedipo, nel quale, come ripercorre Cancelli, viene messa al centro la dinamica schizofrenica del capitalismo e del desiderio. Pulsioni costruttive e pulsioni distruttive in un alternarsi che produce costantemente sia assoggettamento che liberazione. Di qui il dubbio quasi naturale nel chiedersi in quale delle due direzioni puntare per uscire dallo stallo.

«Quale sarebbe dunque il percorso rivoluzionario? Ne esiste uno? Ritirarsi dal mercato mondiale […]? Oppure si dovrebbe andare proprio nella direzione opposta? […] Non ritirarsi dal processo, ma andare più lontano, accelerare il processo, come diceva Nietzsche».

Da queste riflessioni dei filosofi/psicologi francesi e poi dal paradosso della jouissance di Lyotard, scaturirebbe l’embrione di quel primo accelerazionismo, che negli anni ‘90 diede origine al progetto accademico più folle e visionario degli ultimi decenni: la Cybernetic Culture Research Unit (il cui sito, offline da anni, può essere comunque visitabile tramite la macchina del tempo). È il 1995 quando la filosofa cyberfemminista Sadie Plant fonda la CCRU all’interno dell’Università di Warwick. Un gruppo di ricerca a dir poco multidisciplinare, nel quale si ritrovano, oltre al controverso filosofo Nick Land, anche il musicista elettronico Steve Goodman in arte Kode9, la teorica italiana dei media Luciana Parisi, il teorico del pensiero afrofuturista Kodwo Eshun e il critico culturale Mark Fisher.

Ma di cosa si occupò la CCRU (almeno in questa prima fase)? Partendo da ispirazioni deleuze-guattariane e lyotardiane il gruppo di ricerca provò a indagare lo spirito dei tempi del capitalismo tecnologico portando a dialogare rave culture, esoterismo, science fiction e cyberpunk. Quella tensione ad accelerare il processo diventa uno stimolo all’esplorazione immersiva e psichedelica, accompagnata da letture di Lovecraft, teorie del caos di Prigogine, letteratura cibernetica di Wiener e ritmi tribali della jungle, dando origine a un gruppo di ricerca «più simile al raduno di un sabba che a un think tank universitario». Da questo esperimento nasce Cyberpositive, il primo testo di riferimento del primo accelerazionismo, nel quale già si trova il concetto di Human Security Sistem per indicare i meccanismi di controllo totale nell’era digitale, e già si fa uso delle teorie di Wiener sui feedback positivi e negativi per dare una diversa connotazione, forse più scientifica a quel senso di schizofrenia del capitale già avvertito da Deleuze e Guattari. Sempre in questi anni, si inizia a parlare di iperstizione, delle profezie che si autoavverano, mostrando il comportamento magico-linguistico dei mercati.

Le cose precipitarono quanto nel 1997 Sadie Plant decise di lasciare la CCRU, lei che era stata il collante tra il mondo accademico e un progetto che di tradizionale aveva ben poco. A prendere le redini del gruppo fu allora Nick Land, che condusse la ricerca verso una direzione sempre più delirante e onirica, fino a non trovare più alcun appoggio da parte della comunità accademica, che smise di finanziarlo. Fu nella vecchia casa dell’occultista Alesteir Crowley che Land si riparò, prima di disperdere le proprie ultime energie psichiche a rincorrere sentieri oscuri ai limiti del linguaggio, per poi interrompere le attività e muoversi successivamente a Shanghai.

Dopo anni di “silenzio accelerazionista”, fu nel 2008 proprio l’ex-membro della CCRU Mark Fisher a pubblicare Realismo Capitalista, un pamphlet che in Italia ha recentemente trovato enorme diffusione dal momento della sua traduzione e che, per le forti connotazioni anticapitalistiche, viene considerato pietra miliare del Left Accelerationism (L/Acc). Fisher restituisce un ruolo politicamente centrale alla questione del disagio psichico, e lo inserisce nel contesto economico attuale governato dal diktat (di thatcheriana memoria) della mancanza di alternativa possibile. Questo suo impegno, insieme alla sua prolifica critica culturale, ottiene il grande risultato di rimettere al centro nel dibattito politico il ruolo dell’immaginazione. E immaginare il futuro è, non a caso, il tema del saggio scritto a quattro mani da Srnicek e Williams nel 2013 (già autori del Manifesto Accelerazionista), un testo che riprende le immagini e gli stimoli della defunta CCRU contestualizzandoli in una prospettiva marxista, anti-lavorista e focalizzata sull’urgenza di un reddito incondizionato. Chiaramente, la linea suggerita dal Manifesto riprende quella famosa schizofrenia e la traduce nel dibattito sulla disoccupazione di massa invitando la folk-politics ad abbandonare il mito della piena occupazione e suggerendo di accelerare la fase di collasso in vista della prospettiva della fine del lavoro. Altri aspetti della CCRU, come il filone cyberpunk le teorie femministe, trovano invece pochi anni dopo una nuova configurazione con Xenofemminismo, elaborato da Helen Hester e il collettivo Cuboniks, che pone al centro della discussione la critica al concetto di natura.

Ma se stiamo parlando di un L/Acc è ovviamente perché dall’altra parte del pianeta il capostipite maledetto dell’accelerazionismo, Nick Land, stava riformulando un tutt’altro tipo di teoria, criticando fortemente la versione di Srnicek e Williams per non sfruttare abbastanza la direzione capitalistica come vettore di accelerazione e andando così incontro alla galassia Alt Right americana (in modi e passaggi ben documentati da Cancelli), formulando infine quello che viene appunto definito Right Accelerationism (R/Acc). Nel suo testo The Dark Enlightment, Land propone una trasformazione del pianeta in un patchwork territoriale secondo il modello delle città-stato orientali, ognuna governata da un CEO secondo un modello aziendale californiano.

Le variazioni di accelerazionismo fioccano sulla Rete e non, dal Black e Gender Accelerationism al Zero/Zombie Accelerationism, ma Cancelli si sofferma su quello che ritiene una via intermedia Tra R/Acc e L/Acc, cioè l’Unconditional Accelerationism (U/Acc), formulazione nata recentemente dalla galassia di blog e forum attorno al tema. U/Acc si propone come accelerazionismo apolitico, in cui l’attore dell’accelerazione viene messo da parte, per lasciare che il processo accelerato indichi la direzione in maniera, appunto, incondizionata.

A ormai qualche anno di distanza dall’ingresso nel dibattito di queste teorie, da un lato si può sostenere che un grande risultato del dibattito sull’accelerazionismo è stato quello di mettere in discussione un certo lavorismo della sinistra, soprattutto italiana, e di evidenziare le connessioni tra digitalizzazione e reddito incondizionato. Dall’altro lato, come Silvia Federici osserva in un’intervista uscita sul Manifesto in questi giorni, anche un eventuale accelerazionismo di sinistra, se così si può chiamare, non può permettersi di dimenticare la forza lavoro coinvolta nel processo di avanzamento tecnologico, e le disparità in campo in questo. «Ma dove vuoi accelerare?»… quante volte l’abbiamo sentito dire, per scherzo o meno! Ma fa ridere perché è vero. Infine, va anche ricordato il fatto che l’accelerazionismo è prima di tutto una corrente culturale, non un piano strategico né un programma politico o di lotta e semplicemente da questo punto di vista va considerato. A ben vedere, il paragone che nella prefazione Kulesko fa dell’accelerazionismo con il punk e tanto semplice quanto indicativo.

IMMAGINARE L’ORGANIZZAZIONE DEL FUTURO

Una dinamica che spesso si è ripresentata, nei dibattiti riguardo l’accelerazionismo ma non solo, è una miope dicotomia tra cultura e organizzazione. Nell’aprile 1924, mentre da neoeletto deputato sta rientrando in Italia, Antonio Gramsci riceve una lettera di Umberto Terracini da Mosca, che lo informa di aver dimenticato lassù la sua traduzione del «romanzo russo di cui si era curato». Il romanzo in questione era Stella Rossa di Aleksandr Bodganov che, dopo aver venduto centinaia di migliaia di copie in lingua originale, Gramsci voleva ripubblicare in Italia. Di Bogdanov si è sentito recentemente parlare, soprattutto grazie all’uscita del romanzo dei Wu Ming che ha riguardato la sua figura e il suo progetto, il Proletkult, organismo fondato da Bogdanov per diffondere un’arte e una cultura da proletari per i proletari. Primo traduttore in russo de Il Capitale(1899), filosofo, scrittore di fantascienza, medico, Bogdanov è stato per Lenin non solo un degno avversario di scacchi, ma anche un rivale politico. Il contrasto che li divideva riguardava due visioni opposte su quale fosse la strada privilegiata di condurre la rivoluzione: se tramite la politica o se tramite la propaganda culturale. Quello che spesso non si sa di Bogdanov è che, oltre a immaginare il contatto con gli extraterrestri ed essere un pioniere delle trasfusioni di sangue, era uno scienziato che tentò con almeno venti anni di anticipo rispetto ai cibernetici statunitensi del dopoguerra a formulare un nuovo tipo di scienza ibrida capace di affrontare la complessità sociale, la scienza dell’organizzazione o tektologia.

Cosa c’entrano tutti questi personaggi con l’accelerazionismo? In realtà poco ma, se vogliamo capire quali spunti può fornire tutto l’aggregato culturale prodotto a partire dalla CCRU, dobbiamo anche tornare a quel pionieristico intento di formulare nuove codificazioni del mondo, e del rapporto dell’umano con il mondo, tramite un approccio che unisce la “forza bruta”, con la jungle e i riti sciamanici, o magari appunto andando a spolverare le carte di Wiener, Bertalanffy, Prigogine e Bogdanov, o ancora cercando di ricostruire un discorso politico sulla scienza che ne riconosca le dinamiche linguistiche, per restituire un senso allargato alle pratiche di trasformazione del reale che includano quelle storicamente confinate nella categoria del magico. Non credo sia un caso se l’autore spesso purtroppo dimenticato di Inventare il futuro, Alex Williams, si sia in questi anni dedicato a una pubblicazione di stampo accademico sull’egemonia culturale passando per Gramsci e le nuove teorie della complessità. Il capitalismo moderno iperconnesso ci immerge in un caos che ci lascia impotenti. Feedback retroattivi, assemblaggi, macchine di macchine. Elaborare teorie politiche che contemplino anche l’elemento della complessità psichica e sociale e immaginare a partire da queste una società e un’economia post-capitalista stanno forse diventando necessità sempre più stringenti. Fare questo senza elitarismi significa riconoscere l’importanza di un’autoformazione tecnologica diffusa, critica e dal basso, eventualmente insieme al tentativo di riprendere in mano in modo adeguato un’analisi sul pensiero magico capace di destabilizzare il determinismo scientista, senza però a cadere in tentazioni reazionarie.